Giovanni Campus – Tempo in processo
Con la mostra Tempo in processo di Giovanni Campus il CAMeC dà vita a una nuova formula di premio artistico che consiste nella produzione di una personale dedicata all’artista vincitore della rassegna annuale Settembre d’Arte. Il CAMeC acquisisce l’opera premiata e si assume il compito di documentare il lavoro dell’artista selezionato dalla giuria tecnica.
Comunicato stampa
Con la mostra Tempo in processo di Giovanni Campus il CAMeC dà vita a una nuova formula di premio artistico che consiste nella produzione di una personale dedicata all’artista vincitore della rassegna annuale Settembre d’Arte. Il CAMeC acquisisce l’opera premiata e si assume il compito di documentare il lavoro dell’artista selezionato dalla giuria tecnica.
Giovanni Campus è risultato validissimo vincitore insieme a Luca Matti dell’edizione Settembre d’Arte 2011.
In Campus non vi è alcuna separazione tra pittura e scultura risultando entrambe presenti in modo sostanziale e costante in tutto il suo lavoro cinquantennale. Anziché generi separati il Maestro affronta la pittura e la scultura come mezzi espressivi in continua possibilità di dialogo e di confronto.
Come illustrato in catalogo da Marco Meneguzzo, “percorrendo l’itinerario della mostra la mente riporta a una sola parola: “misura”. In ogni suo gesto Campus ‘misura’ qualcosa, e prima ancora, in ogni suo sguardo Campus ‘misura’ lo spazio entro cui si trova, ne stabilisce coordinate, decide il proprio punto d’osservazione, indirizza lo sguardo dello spettatore, gli suggerisce addirittura come percepire quello spazio segnato dalle proprie linee.
L’accentuarsi di questo suo metodo si vede perfettamente nelle stanze del museo, semplicemente perché sono a loro volta definite, sono ‘chiuse’, perfettamente newtoniane nella loro geometria da ‘white box’: in questo caso, allora, ogni elemento inserito da Campus nel biancore del non-colore rimanda a una misura ancor più astratta, ancor più platonica di quanto non ci avesse abituato sinora, e questo anche se le sue linee-forza, le sue direttrici dello sguardo, sono di fatto tavole che egli sposta a forza di braccia.
E proprio in questo già si intravede una delle caratteristiche del suo lavoro, che è al contempo molto mentale e molto fisico. L’arte porta con sé sempre una componente di fisicità: il suo intento è di rendere visibile una misura, senza che questa perda la sua capacità di astrazione o, meglio, senza che venga meno il suo invito a considerare lo spazio che ci circonda anche come uno spazio ideale, nel vero senso platonico dell’aggettivo.
Del resto, tutta la sua attività è stata improntata a questo concetto, a questo senso dello spazio, sin da quando, negli anni Settanta, in piazza Duomo a Milano tendeva un lunghissima molla d’acciaio tra lo stupore dei passanti, o quando, qualche anno dopo, sulle scogliere sarde, faceva aderire delle robuste cime agli anfratti, alle sporgenze degli scogli, con l’intento, ancora una volta, di dare forma, misurandolo, a uno spazio umano.
Nel corso degli anni la sua arte è mutata non tanto nell’azione artistica, quanto nella definizione e nella considerazione dello spazio e della sua metaforica misura; un’azione sostanzialmente identica a se stessa, la storia fa corrispondere idee anche diversissime tra loro, e l’opera dell’artista – coerente col proprio linguaggio ma non con lo spirito del tempo – assume significati persino contrastanti tra di loro, se si pensa al prima e al dopo: non è importante, perché la coerenza nel caso dell’arte è infinitamente meno interessante della capacità di essere flessibili, di trasformarsi, di assorbire, di essere testimoni, pur restando fedeli a se stessi.
Giovanni Campus misura lo spazio: lo faceva negli anni Settanta e lo fa ora, ma ai nostri occhi la sua opera ha un significato profondamente diverso, segno che quel lavoro è capace di attraversare le trasformazioni e di trasformarsi a sua volta, di non essere perciò archeologia della Modernità”.
cenni biografici
Giovanni Campus nasce ad Olbia nel 1929. Vive e lavora a Milano.
Nel 1948 lascia la Sardegna e segue gli studi classici a Genova. È in questa città che nasce il suo interesse per la pittura e, da autodidatta, sperimenta le varie tecniche tradizionali anche con uso di materiali diversi e innovativi.
Negli ultimi anni Cinquanta è a Roma nella Galleria di Antonio Russo e, dal 1961 al 1965, con l’incisore Carlo Guarnirei, frequenta la Libera Accademia Belle Arti di Livorno.
Nel 1969, lasciato il lavoro per dedicarsi interamente alla pittura, si trasferisce dapprima al Quartier delle Botteghe di Sesto San Giovanni e in seguito, nel 1973, in Brera a Milano dove opera attivamente nel clima dialettico della ricerca poetica e di impegno civile specifici del tempo.
Per circa un decennio (1964- 1974) con opere ‘aperte’ a vari elementi e con gruppi di opere relazionate, realizzate il materiali diversi con prevalenza del metacrilato, partecipa a rassegne ed incontri d’arte d’avanguardia, agli interventi sul territorio, promossi in Italia e all’estero, dalle Gallerie Giraldi, Numero e dai Centri Operativi Sincron, Technè di cui è co-fondatore.
Numerosi sono stati i soggiorni di lavoro negli anni fine Sessanta e Settanta a Parigi e negli Ottanta e Novanta a New York.