Giovanni Sesia / Manuel Felisi – We are now
Palazzo Bevilacqua Ariosti, in occasione di Arte Fiera 2020, ospita un progetto site specific di Giovanni Sesia, le cui opere ed installazioni occupano lo spazio della corte interna e della loggia, e di Manuel Felisi, con alcune opere ed installazioni presentate nel Salone cosiddetto “del Concilio di Trento”, a memoria di una storica seduta che si tenne in questi luoghi.
Comunicato stampa
Palazzo Bevilacqua Ariosti, in occasione di Arte Fiera 2020, ospita un progetto site specific di Giovanni Sesia, le cui opere ed installazioni occupano lo spazio della corte interna e della loggia, e di Manuel Felisi, con alcune opere ed installazioni presentate nel Salone cosiddetto “del Concilio di Trento”, a memoria di una storica seduta che si tenne in questi luoghi.
Noi – siamo – ora, tre parole a riassumere tre assunti fondamentali: il nostro esserci nel mondo; la nostra presenza in un certo luogo preciso, posto ad una certa latitudine e longitudine, ed in un dato momento storico, quello appunto dell’oggi.
Torna immediatamente alla mente il pensiero di Martin Heidegger e la sua vastissima riflessione sul concetto di tempo, entità enigmatica, ed osservabile sotto svariati punti di vista. Egli lo riconduce alla umana esistenza, per sua stessa definizione destinata ad una fine, ed individua nella temporalità l’essenza stessa della vita dell’uomo. Alla domanda chiave: che cos’è il tempo? Ed in particolare: che cosa significhi esserci nel tempo, il grande filosofo del Novecento postula che l’esserci sia il tempo e che la temporalità sia l’essenza stessa della vita umana. E ancora secondo Borges: “Il tempo è la sostanza di cui sono fatto. Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume; è una tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre; è un fuoco che mi divora, ma io sono il fuoco”. Partendo da queste riflessioni e condividendone appieno le istanze, ci soffermiamo ad osservare con gli occhi del cuore il linguaggio d’artista di Giovanni Sesia e di Manuel Felisi, e la loro comune fascinazione per tutto ciò che concerne l’esserci nel tempo. Il loro sentire ed il loro gesto, che assume la forma di opere e di installazioni risultanti dall’utilizzo dei materiali più diversi, atti a raccogliere e a trasmettere emozioni, vuole essere per ognuno di loro una sorta di portale, per il tramite del quale accogliere e raccontare la memoria di un tempo d’antan; il loro anzitutto, ma anche di quanti li hanno preceduti. Ed è un linguaggio artistico che si sofferma ad osservare la presenza così come si confronta con l’assenza; sono volti ed immagini accolte e restituite a nuova vita dal gesto melanconico e carico di nostalgia di Giovanni Sesia; una sedia vuota evocatrice di coloro che ne hanno fruito; proiezioni su materiali leggeri ed effimeri così come è transitorio il loro farsi materia. Quali moderne Vanitas, a cogliere la caducità del vivere e la transitorietà della vita e delle cose, le fotografie pittoriche, emergono dai morbidi marroni del fondo, sul quale spesso compaiono numeri o scritte, segni che riportano alla realtà un racconto altrimenti solo immaginabile. Tocchi di rosso ne illuminano, a volte, la superficie. Presenze che, nel farsi materia, appartengono al tempo dell’oggi; sono ora, in un dato momento ed in un luogo e spazio preciso, uno spazio che, ci ricorda Einstein, e ancora prima Aristotele, non è assoluto, bensì ‘esiste mediante le energie ed i corpi che contiene’. Il nostro presente, in quanto spettatori, ne risulta amplificato, allorchè, nel desiderio di trattenerne la memoria, ci apriamo all’ascolto di un sapere e di un sentire antico che, a livello inconscio, continua a scorrere nelle nostre vene, ed è parte costitutiva del nostro essere uomini.
Manuel Felisi, all’interno del Salone del Concilio, dà forma ad una visione di alberi, composta in modo organico ed ordinato attraverso una sequenza di riquadri. Quelli che, egli racconta, il suo occhio vedeva da bambino, al di fuori della finestra della sua stanza. Memorie di un tempo dell’inizio, ove l’immagine si incide nell’animo, creando una corazza, attorno alla quale tutto si raccoglie. Vertigini di alberi spogli; le fronde si fanno radici, ad aprire la visione anche a ciò che l’occhio non vede, ma che pure esiste. Quale un maestro d’orchestra, egli suona un concerto simbolico; il grande piano a coda, candido come la neve, esegue la sinfonia della natura; attraverso un artificio prospettico la tastiera si fa ramo, le mani si fanno radici, una linfa che pare scorrere nelle nostre stesse vene. Ai lati, la nostra memoria di uomini è simbolicamente conservata ed organizzata entro celle frigorifere, che ne tutelano la sopravvivenza in eterno, per un tempo-altro, o meglio un tempo di altri, delle generazioni che saranno dopo di noi. Lettere d’amore, testi sacri, e i semi della natura, un orto botanico in miniatura, per garantire la sopravvivenza della specie.
Attimi di silenzio, per porsi in ascolto e ricercare dentro di sé; un tuffo alle radici della propria esistenza; il pianista poggia le mani alla tastiera dell’universo; un concerto che continua a suonare, indipendentemente dal nostro intervento; le note sospese nel tempo dell’ora, un tempo che raccoglie in sé tutti gli altri; il tempo di ieri, il tempo che sarà, e che è già in nuce nell’oggi; lo spaziotemporale del nostro respiro.