Giovanni Sesia – Nel segno della memoria
Occhi e volti che raccontano storie. Storie drammatiche di miseria, solitudine, disperazione, abbandono. Nel segno della memoria scava negli animi e nelle pieghe della pelle di un’umanità disperata e reclusa.
Comunicato stampa
Io ho detto che non so cosa sia la follia.
Può essere tutto o niente.
È una condizione Umana.
In noi la follia esiste
ed è presente come lo è la ragione.
Franco Basaglia
Occhi e volti che raccontano storie. Storie drammatiche di miseria, solitudine, disperazione, abbandono. Nel segno della memoria scava negli animi e nelle pieghe della pelle di un’umanità disperata e reclusa. Sono ritratti psicologici quelli che sfileranno da venerdì 7 marzo 2014 (inaugurazione ore 18) nello Spazio per le Arti Contemporanee del Broletto di Pavia: immagini prese dagli archivi fotografici di diversi ospedali psichiatrici d’inizio Novecento, tra cui l’Ospedale Psichiatrico di Novara (1875-1978), che con abilissima maestria Giovanni Sesia ha fatto sue, riscrivendole e traducendo così in segni le membra e i pensieri dei soggetti. L’artista milanese porta alla luce le tracce che eventi e passioni hanno lasciato sul campo e, con le parole scritte e i segni non decifrabili che si intrecciano alle fotografie, ricreate e dipinte, sembra voler restituire voce ai malati.
La mostra, aperta fino al 23 marzo 2014, è organizzata dall’Assessorato alla Cultura, Turismo e Marketing territoriale del Comune di Pavia, e vede i lavori di Giovanni Sesia animarsi grazie alle videoproiezioni create da Stefano Sgarella, che ha curato l’allestimento multimediale.
Un evento che ha a che fare col sociale. L’arte di Giovanni Sesia si sviluppa anche nella sua funzione sociale – dichiara l’Assessore alla Cultura, Turismo e Marketing territoriale Matteo Mognaschi – e si pone al tempo stesso come toccante testimonianza e spietata denuncia della condizione manicomiale.
Prima dipingevo quadri astratti, usando gli stessi colori di adesso; i seppia, i marroni, le terre – spiega Giovanni Sesia –. Un giorno un amico psicologo ritrovò casualmente in uno scantinato delle scatole di negativi provenienti da un manicomio e decise di mostrarmeli, pensando potessero venirmi utili. Al momento non ne vidi l’utilità per la mia attività, però rimasi impressionato non tanto dall’idea che provenissero da un archivio sanitario quanto da un luogo che fu la destinazione di esseri dimenticati in vita e dimenticati in morte, poiché la maggior parte di quei negativi finiti in una cantina sarebbero scomparsi in qualche discarica. Allora incominciai a farli stampare in grandi dimensioni, caricandoli in seguito di quella che era la mia pittura. Per me fu una rivelazione e se ci penso sono portato a credere d’aver dipinto in astratto per usare poi le mie pennellate come carica di emozione complementare a queste immagini. Da quel momento il lavoro è andato per la sua strada, sviluppando anche altre traiettorie.
Segregazione, medicalizzazione ed esclusione totale; letti di contenzione, celle di isolamento, camicie di forza ed elettroshock punitivi: i lavori di Sesia cercano di andar oltre l’indagine superficiale, e inquadrano nell’obiettivo della loro arte i segreti, i misteri, i bisogni, le paure, i dolori e le vergogne dell’anima. Le linee degli occhi e i colori dell’iride suggeriscono il passato nudo e crudo, e (forse anche) il futuro degli uomini e delle donne che campeggiano nelle opere. Ci costringono a non dimenticare e a riflettere sulla follia e sulla sua cura.
Prigioniero nella nave da cui non si evade, il folle viene affidato al fiume dalle mille braccia – scriveva Michel Foucault nella sua Storia della follia –, al mare dalle mille strade, a questa grande incertezza esteriore a tutto. Egli è prigioniero in mezzo alla più libera, alla più aperta delle strade; solidamente incatenato all’infinito crocevia. Il folle è dunque il Passeggero per eccellenza, colui che non conosce il paese al quale approderà né tantomeno quello da cui proviene. Egli non ha verità, non ha patria, radici e dunque nemmeno memoria.
Giovanni Sesia, provando ad andare al di là del semplice fare artistico, cerca con i suoi volti sofferenti di restituire umanità alla follia, di ridarle una voce, una memoria, di aiutarla ad approdare in un porto sicuro dove il Passeggero non possa più sentirsi tale, e riesca quindi a riconquistare, un tassello alla volta, la propria identità di essere umano, per troppo tempo relegata a ombra, persa nell’oblio del silenzio e dell’indifferenza.
L’artista abbatte le mura del manicomio e prova a ridurre le distanze, costringendo lo spettatore a confrontarsi con il diverso, con la paura di ciò che è altro, e l’inevitabile pregiudizio che si viene a creare. Il risultato è un cortocircuito emotivo: gli sguardi dei suoi sconosciuti come le pieghe dei suoi lenzuoli smuovono vibrazioni che vanno ben oltre il contenuto dell’opera.
Ricordare dunque il manicomio, come fa Sesia con il suo lavoro, il manicomio chiuso da trent’anni ma sempre pronto a riaprire, il manicomio come metafora dell’esclusione, può diventare opportunità per riflettere, per dirla con Foucault, sul fatto che ogni società si può misurare dal modo in cui organizza e vive il rapporto con l’altro o, citando Basaglia, che ogni società è tanto più civile quanto più sa riconoscere e dar luogo alla follia che la abita – commenta Domenico Nano, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL di Novara.
Biografia: Giovanni Sesia
Giovanni Sesia nasce a Magenta (Milano), nel 1955. Dopo aver frequentato l’Accademia di Brera a Milano inizia a realizzare dipinti caratterizzati dall’accentuato cromatismo e dal segno forte. In seguito la sua pittura si sviluppa sulla ricerca tonale e sul contrasto tra luci e ombre lavorando tra astratto gestuale e suggestioni figurative. E’ in questo periodo che si avvicina alla fotografia quale mezzo tecnico da affiancare all’espressività pittorica. L’artista riesce a raggiungere un perfetto equilibrio fra i due linguaggi espressivi, senza farne prevalere l’uno sull’altro e in modo che l’uno aiuti l’altro a superare il proprio limite.
La svolta è alla fine degli anni ’90 quando viene in possesso di un vecchio archivio fotografico di un ospedale psichiatrico in abbandono. Le immagini scelte da Sesia evocano la storia e la memoria e questa tendenza lo ha portato a privilegiare sempre più volti, luoghi e oggetti.
La fotografia diviene per l’artista un pretesto su cui si innesca tutto il suo istinto e la sua ricerca artistica e l’equilibrio che l’opera trasmette è dato dalle pennellate e dalla grafia, segni che creano una sinergia tra spazi pieni e vuoti, ma in perfetta combinazione tra loro. Dalle antiche lastre trovate nei manicomi, alle vecchie immagini rinvenute, agli scatti da lui eseguiti, i soggetti scelti appaiono al tempo stesso lontani e familiari ed hanno la forza di penetrare nell’anima e di chiedere di non essere dimenticati. Sesia li riscatta dall’oblio e li offre a colui che li guarda con rispettoso amore.
I soggetti, scelti con estrema cura e passione, sono antichi ed atavici ed il solco in cui Sesia si muove è inevitabilmente intriso di tradizione. Utilizza abilmente i colori caldi della terra, i bruni, l’ocra e poi la ruggine per porre l'accento sull’umanità dei suoi soggetti.
Sostenuto dalla critica e dal pubblico, questo artista si sta imponendo sempre più sulla scena nazionale ed internazionale.
Ha tenuto numerose mostre personali in Italia e all’estero.