Girolamo Marri – Nulla e’ più tuo
Anche se non esiste un accordo preciso e lineare tra le diverse opere esposte, il progetto prova a svilupparsi in un percorso coerente chiedendo allo spettatore di soffermarsi sulle strutture profonde che regolano il rapporto con la nostra identità, anche nelle sue forme più sclerotizzate e banali; usi, costumi e comportamenti che danno vita nel bene o nel male a un forte senso di appartenenza, canzonati e derisi quando ci si trova in una posizione di forza, indispensabili ed essenziali quando si è soli di fronte all’alterità.
Comunicato stampa
GIROLAMO MARRI
“Nulla è più tuo
E' inutile ridere
E' inutile piangere
Nulla è mai tuo”
CLAUDIO BOTTELLO CONTEMPORARY
Torino
Dal 2 novembre al 10 gennaio 2012
A cura di Alessandro Carrer
Testi di Marisa Vescovo e di Bruno Barsanti
La Galleria Claudio Bottello Contemporary inaugura il 2 Novembre 2011 alle ore 18 e 30 la mostra “Nulla e' più tuo E' inutile ridere E' inutile piangere Nulla è mai tuo”, personale di Girolamo Marri.
Performance dell'artista alle ore 18 e 47
Girolamo Marri è un giovane artista che vive tra Roma, Torino, Londra e Shanghai – racconta il curatore della mostra, Alessandro Carrer - descriverlo per intero sarebbe insulso quanto inutile, non gli renderebbe giustizia. Per capire bisogna invece incontrarlo, vedere, parlare, partecipare alle sue azioni o fargli un po' male. Nel corso delle sue peregrinazioni da un capo all'altro del globo, ha insegnato ai cinesi a fare un caffè all'italiana, si è fatto portare al guinzaglio per la Tate Gallery a Londra e ha concesso alle orde di passanti di Shanghai di poter finalmente calpestare un occidentale. Humor e ironia costituiscono i tratti costanti del suo lavoro, mentre il mezzo espressivo può cambiare ogni volta. I diversi temi che affronta ruotano invece intorno all'idea di fraintendimento ed equivoco, spesso giocato nei termini della relazione tra identità nazionali differenti, incontro o conflitto fra culture: le azioni e le performance sono l'occasione per riflettere sui rapporti di potere che regolano lo scambio tra saperi e l'appuntamento quotidiano con “l'altro da sé”, senza però delineare mai una posizione netta, una scelta precisa.”
Nei lavori fotografici che compongono la serie “The Graft”, l'artista è ritratto nella sua condizione di forestiero/immigrato, seminascosto da alberi, muri, persone o oggetti che compongono l'”arredo” urbano della metropoli cinese nella quale si è trasferito: ogni immagine apre una sottilissima soglia, uno spazio quasi invisibile nel quale si manifesta la schizofrenia dello “straniero in terra straniera”, perennemente diviso fra la necessità di innestarsi nella nuova cultura in cui è venuto ad abitare e l'impossibilità di abbandonare definitivamente quella d'origine. Gli altri lavori in mostra sono invece pensati appositamente per la galleria, un'installazione site specific e un'azione/performance in cui l'artista prosegue la sua riflessione sul concetto di tradizione, memoria, appartenenza. Anche se non esiste un accordo preciso e lineare tra le diverse opere esposte, il progetto prova a svilupparsi in un percorso coerente chiedendo allo spettatore di soffermarsi sulle strutture profonde che regolano il rapporto con la nostra identità, anche nelle sue forme più sclerotizzate e banali; usi, costumi e comportamenti che danno vita nel bene o nel male a un forte senso di appartenenza, canzonati e derisi quando ci si trova in una posizione di forza, indispensabili ed essenziali quando si è soli di fronte all'alterità.
Quello che manca, cui la parola scritta non può dar voce e richiede presenza, è la fisicità dell'artista, un corpo e un volto capaci di far si che “tutto tenga”, la straordinaria capacità di dar vita ad una “grammatica della fantasia” che si realizza nel praticare l'arte.