Giuliano Scabia – Andare in Oca

Informazioni Evento

Luogo
MUSEO MARINO MARINI
Piazza Di San Pancrazio , Firenze, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

Aperta sabato, domenica e lunedì 10.00 – 19.00

Vernissage
29/06/2022

ore 19

Biglietti

Biglietto intero 10€, ridotto 6€ gratuito la prima domenica del mese

Artisti
Giuliano Scabia
Curatori
Andrea Mancini, Massimiliano Marino, Stefano Rovai
Generi
personale, disegno e grafica

Un omaggio grafico al grande innovatore della cultura e del teatro recentemente scomparso, a partire dalla saga dei romanzi di Nane Oca.

Comunicato stampa

Inaugurerà mercoledì 29 giugno al Museo Marino Marini di Firenze (piazza San Pancrazio) “Giuliano Scabia. Andare in Oca”: un omaggio al poeta, drammaturgo, romanziere e affabulatore che negli anni ’60 ha portato l’avanguardia nel teatro italiano, in parallelo con Carmelo Bene, e che ha dato vita, insieme a Vittorio e Franco Basaglia, al celebre Marco Cavallo, diventato il simbolo della fine dei manicomi. Promossa da Museo Marino Marini e Fondazione Giuliano Scabia, con il contributo di Fondazione CR Firenze e la curatela di Andrea Mancini, Massimo Marino e Stefano Rovai, la mostra è un gioco tra letteratura e design. Frasi tratte da uno dei lavori più noti e studiati di Scabia – il ciclo dei quattro romanzi pubblicati da Einaudi che raccontano le avventure di Giovanni, detto Nane Oca – escono dai libri per prendere posto sulle pareti del Museo. Ad arricchire l’esperienza, proiezioni immersive e la voce dello stesso Scabia che legge parti delle sue opere, oltre a disegni, schizzi e appunti inediti dell’autore. Durante il vernissage, in programma alle 19.00 alla presenza della presidente del Museo Patrizia Asproni e dei curatori, l’attore Annibale Pavone interpreterà pagine dal primo capitolo della quadrilogia “Nane Oca” con interventi musicali di Jacopo Yahya. La mostra, allocata nella cripta dello spazio espositivo, sarà visitabile dal 2 luglio al 19 settembre 2022 (info: www.museomarinomarini.it).

Con Nane Oca ci troviamo di fronte a una saga dialettale e paesana, che esplora radici popolari con ironia e con sguardo capace di radiografare, con l’immaginazione, i nostri tempi di smemoratezza e globalizzazione. Una favola contemporanea in cui realtà e immaginazione si incontrano e si confondono, costantemente intrecciate al lavoro sulla lingua, sul dialetto, sui giochi di parole. Nane è figlio di una fata divenuta donna per amore di Celeste, suonatore di viola pomposa. Le sue mirabolanti avventure avvengono nel Magico Mondo dei Ronchi Palù, nel Pavano Antico. Tra battaglie di bande di bambini, apparizioni di esseri favolosi come la Vacca Mora, l’Uomo Selvatico, suor Gabriella che vola, zio Ade, le oche tremende cannibalesse, lo Scarbonasso Serpente e molti altri, si snodano le avventure di questo ragazzo così facile ad “andare in oca” (ovvero perdere la testa) per amore della bella Giostrina.

L’allestimento, a cura di RovaiWeber design, costruisce un viaggio incantato nelle parole e nei mondi fantastici dei quattro romanzi. Brani salienti della saga di Nane Oca incontrano la grafica diventando grandi illustrazioni parlanti, che offrono ai visitatori un racconto visuale che si riassume in un colpo d’occhio. Invadono le pareti del Museo anche i celebri calligrammi – poesie visive tipiche della produzione di Scabia: rose disegnate con la scrittura, addirittura un intero erbario di piante fatte con le parole – oltre alle famose oche di cartapesta create da Scabia stesso, disegni preparatori e annotazioni che ripercorrono il lavoro di questo artista straordinario che, negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, ha dilatato la scena teatrale entrando negli ospedali psichiatrici, nei paesi più sperduti, nelle periferie industriali, creando con le persone e le comunità che incontrava, scegliendo di rimanere al di fuori del teatro in senso stretto per cercare luoghi inconsueti e sperimentare in una lingua nuova e differente. Padovano ma adottato dalla città di Firenze, presente in tutte le avventure letterarie del Dopoguerra, visionario e sperimentatore, per anni ha insegnato al DAMS di Bologna, dove è stato il punto di riferimento per due generazioni di attori, teatranti, clown, scrittori e poeti.

“Giuliano Scabia era un cantastorie, una figura magica di affabulatore, una personalità poliedrica e affascinante che dialogava con il fantastico creando personaggi allo stesso tempo familiari e fiabeschi” – commenta Patrizia Asproni. E continua: “Il Museo è onorato di poter ospitare un omaggio alla sua poesia e alla sua poetica e ringrazio i suoi familiari e i curatori per averci offerto questa possibilità “

Nato nel 1935, Giuliano Scabia inaugura la sua carriera con la poesia, pubblicando la raccolta “Padrone & Servo” (1964). Collabora con il compositore Luigi Nono scrivendo il testo per l’opera “Diario italiano” e, dopo l’incontro con il regista Carlo Quartucci, compone i suoi primi testi per teatro, tra cui “Zip-Lap-Lip-Vap-Mam-Crep-Scap-Plip-Trip-Scrap e la Grande Mam alle prese con la società contemporanea”, presentato alla Biennale di Venezia del 1965. A Torino crea un laboratorio che si muove per i quartieri inventando teatro nello spazio degli scontri. Entra al Dams di Bologna nel 1972, creando con i suoi studenti, azioni originali il cui frutto più noto è Il “Gorilla Quadrumàno”, portato sull’Appennino Reggiano e nei quartieri periferici delle grandi città, fino al Festival Internazionale del Teatro di Nancy. Alla Biennale Teatro diretta da Luca Ronconi, nel 1975, lavora nell’entroterra veneziano alla ricerca della “vera storia” di Mira e del petrolchimico, trasformando gli incontri in azioni teatrali e musicali. Poi scopre una vena felicissima di narratore fantastico che ha prodotto il ciclo di Lorenzo e Cecilia e quello di Nane Oca. L’ultima sua opera pubblicata è “Commedia olimpica”, con i testi di due spettacoli creati per il Teatro Olimpico di Vicenza. È scomparso a Firenze a maggio 2021.

Massimo Marino, saggista e critico, scrive sul Corriere di Bologna, su riviste e sul web. Ha analizzato e narrato le scene teatrali contemporanee nei libri “Lo sguardo che racconta. Un laboratorio di critica teatrale” (Carocci, 2004), “Teatro delle Ariette” (Titivillus, 2017), “Teatro del Pratello” (Titivillus, 2019) e nell’e-book “Il teatro è indistruttibile” (edizioni di doppiozero, 2021). Ha insegnato nei Conservatori, all’Accademia di Arte Drammatica, al Dams di Bologna. Ha in preparazione per La casa Usher una monografia su Giuliano Scabia.

Andrea Mancini ha sempre unito l’insegnamento in varie università al teatro attivo, scrivendo di storia e organizzazione del cinema e del teatro. Tra i titoli “Pier Paolo Pasolini, Poet of Ashes” edito da City Lights di San Francisco, “Bread & Puppet. La cattedrale di cartapesta” (Titivillus), e altri volumi tradotti in varie lingue. Ha poi realizzato oltre cento mostre dedicate allo spettacolo, in ogni parte del mondo fino al Lincoln Center di New York.

Stefano Rovai dirige a Firenze insieme a Susanna Weber e Niccolò Mazzoni RovaiWeber design, attivo su più ambiti: dalla cultura all’editoria, all’industria della moda, del vino, alle istituzioni pubbliche e private. È docente di Laboratorio di design della comunicazione presso l’Università degli Studi di San Marino. Come fotografo ha pubblicato i volumi “Lost and found” (Firenze 2010), “The look out” (Firenze 2013) e “Uncertain Shapes” (Firenze 2013).

Il Museo Marino Marini è nato dalla volontà di Marino e Marina Marini che, alla fine degli anni Settanta del Novecento, individuarono l’ex chiesa di San Pancrazio di Firenze come luogo ideale al quale legare la donazione di opere che l’artista, poco prima di morire, aveva fatto alla città. La ristrutturazione della chiesa, recuperata dopo secoli e ridestinata a una funzione pubblica, è stata realizzata dagli architetti Lorenzo Papi e Bruno Sacchi che hanno saputo creare un allestimento a immagine e somiglianza di quel mondo così affascinante di Marino Marini, uno dei personaggi più significativi della cultura figurativa del Novecento. Il museo ospita 183 opere di Marino Marini: disegni, litografie, dipinti, sculture, tutte esposte al pubblico sui quattro livelli del museo. Parte integrante del museo, recuperata alla visita del pubblico dopo un lungo restauro, è una delle meraviglie del Rinascimento fiorentino: la Cappella Rucellai, capolavoro assoluto dell’architetto Leon Battista Alberti, con il Tempietto del Santo Sepolcro.