Giulio Turcato – Dalla forma poetica alla pittura di superficie

Informazioni Evento

Luogo
CAMEC - CENTRO ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA
Piazza Cesare Battisti 1, La Spezia, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

da martedì a domenica, 11.00–18.00; chiuso il lunedì, tranne il Lunedì di Pasqua

Vernissage
05/02/2016

ore 18

Artisti
Giulio Turcato
Curatori
Marzia Ratti, Eleonora Acerbi
Generi
arte contemporanea, personale

A vent’anni dalla scomparsa di Giulio Turcato (1912-1995), una delle voci più originali del produzione artistica del XX secolo, il CAMeC della Spezia attinge al suo formidabile corpus, ne ripercorre il sorprendente iter e gli rende omaggio con un progetto espositivo di oltre 80 opere.

Comunicato stampa

A vent’anni dalla scomparsa di Giulio Turcato (1912-1995), una delle voci più originali del produzione artistica del XX secolo, il CAMeC della Spezia attinge al suo formidabile corpus, ne ripercorre il sorprendente iter e gli rende omaggio con un progetto espositivo di oltre 80 opere.

Siamo nel cuore del Golfo dei Poeti, a La Spezia, Città dei Musei (ne ospita ben 7), al CAMeC, il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea della città. La mostra prende il via dalle opere degli esordi di Giulio Turcato: siamo nell’immediato secondo dopoguerra (Natura morta con pesci del 1945 e La presa delle terre del1948). E’ proprio in quegli anni che Turcato, senza essere cubista a tutti gli effetti, assorbe dalla lezione cubista “educazione, disciplina e coscienza formale”, ma “senza cedere ad astrazioni” che facciano dimenticare la “realtà” e l'“uomo” (cit. dal manifesto dei post-cubisti, a cui aderisce), cercando un possibile (o impossibile?) compromesso tra libertà formali e contenuti di impegno sociale. Proseguendo nel percorso espositivo, ecco le espressioni della sua adesione all’astrattismo nel momento di più accesa e dura querelle fra ‘realisti’ e ‘astratti’: si tratta di opere significative degli anni Cinquanta e Sessanta (Giardino di Miciurin, 1953; Mosche cinesi, 1956, La pelle, 1963).
Più avanti ancora, arriviamo alla sua particolare interpretazione dell’Informale e alla sua indagine intorno al colore e al colore-luce dei Cangianti (anni Ottanta e primi Novanta).

“Si può dire che nell’uomo vi sono ragioni quasi biologiche che l’hanno sempre spinto verso l’arte. Penso che questa avventura è quella che lo contraddistingue immediatamente dagli altri esseri…” (cit.1957).

Spiega la Mostra “Dalla forma poetica alla pittura di superficie”
Marzia Ratti, curatrice con Eleonora Acerbi dell’esposizione. “Il titolo allude agli estremi del percorso linguistico di Turcato: a partire dagli inizi, influenzati dai maestri francesi delle avanguardie storiche, fino all’approdo alle sue originali astrazioni informali”.
Visitando la mostra si ripercorre infatti in oltre 80 opere tutto il suo percorso creativo, durato quasi mezzo secolo. Vediamolo. Continua Marzia Ratti: “E’ una selezione ragionata di opere che seguono la maturazione artistica del poliedrico autore che ha spaziato dalla pittura, suo campo di elezione, alla grafica, al design, alla scenografia e alla scultura: la raccolta dunque riflette, oltre al divenire del suo linguaggio visivo, anche i passaggi cruciali delle congiunture sociali e culturali del secondo Novecento. E fu un divenire tormentato nel panorama italiano per il particolare quanto controverso intreccio tra ricerche formali tendenti all’astrazione e l’adesione all’impegno politico per un’arte di massa, libero da forzature di tipo contenutistico. In questo scontro tra figurazione e a-figurazione, condizionato fortemente da istanze ideologiche –sottolinea la curatrice- Turcato si mantenne sempre in una posizione autonoma e insofferente ad ogni dogmatismo estetico”.

“Le libertà espressive sono di chi se le prende. Quando non c’è lo spazio se ne può inventare un altro. Il metodo per inventarlo è già quasi il nuovo spazio”. (1965).

Lo afferma Turcato, in uno di quei numerosi scritti che hanno accompagnato lo svolgersi della sua attività, come complemento inseparabile del suo impegno nel campo dell’arte e della sua visione del ruolo sociale dell’artista. Possiamo leggerne una ricca e stimolante selezione nel volume curato da Flaminio Gualdoni.

Nella mostra trova posto anche una digressione dedicata al disegno e al meno coltivato, ma sorprendente, versante tridimensionale installativo: con una Porta e una Finestra (degli anni Settanta), due grandi installazioni che possono rivivere solo in occasioni espositive, ma anche con le Oceaniche, sagome lignee dai colori squillanti, ispirate da un suo viaggio compiuto in Kenya. Infine, provenienti dalle raccolte del CAMeC, si possono ammirare altre due importanti opere: Cantiere, del 1951, che ricevette il Premio nazionale di pittura “Golfo della Spezia” e un Senza Titolo della serie Pelle, riconducibile al decennio successivo, entrato nelle raccolte civiche attraverso l’importante donazione di Giorgio Cozzani.

GIULIO TURCATO. Nasce a Mantova nel 1912, ultima le esperienze formative e professionali a Venezia e Milano, e nel 1947 si trasferisce definitivamente a Roma, dove prosegue il suo percorso di ricerca. Si iscrive qui al PCI perché condivide con il partito l’idea che la cultura deve avere rapporti ed effetti sul rinnovamento della società.

Ma il suo spirito libertario e antiaccademico continua ad andare controcorrente anche all’interno del partito “rivoluzionario e d’opposizione”. L’artista attraversa qui fasi cruciali, prendendo parte alle compagini più significative che vivono in Italia e nella capitale nell’immediato secondo dopoguerra (il Fronte Nuovo delle Arti, Forma 1, il Gruppo degli Otto), ma senza mai interrompere la sua vocazione fortemente individuale e sperimentale, e sempre con una “partecipazione laterale e di transito” (come sottolinea il critico Flaminio Gualdoni).

“Il disegno astratto, sempre che sia eseguito dalla mano di un artista, dà la percezione in forma più dinamica di quanto egli scopra nella sua fantasia” (1956).

Verso la fine del 1946, con Fazzini, Guttuso e Monachesi, redige il Manifesto del neo-cubismo, espressione della necessità di rinnovare il linguaggio nel raffigurare la realtà. E già nel 1947, sottolinea di praticare un’arte non solo marxista ma anche formalista, in aperto dissenso con l’estetica del PCI.

Turcato dunque fu sempre uno spirito inquieto e battagliero, libero, creativo e ribelle nella politica come nell’arte, dove mai si adeguò al conformismo imperante del cosiddetto “realismo socialista” del Pci. Ammirò per un breve periodo anche la rivoluzione cinese, per poi rimanerne deluso. Restò nel Pci fino al 1956, quando dopo l’invasione di Budapest da parte delle truppe del Patto di Varsavia, avvenne la rottura definitiva. Durissimo fu lo scontro diretto con Palmiro Togliatti e Antonello Trombadori, voce ufficiale del partito in tema d’arte. Turcato, 10 anni dopo, spiegherà anche altre ragioni per cui lasciò il PCI. Eccole.

“Perché, a parte le considerazioni politiche, nel PCI non esiste un minimo di libertà d’espressione per gli artisti. L’equivoco sta nel fatto che ti dettano come devi dipingere, come devi seguire un determinato schema figurativo. Che poi ora ci sia qualcuno che fa l’espressionista non vuol dire nulla. Per il PCI tutta la pittura che non si adegua a certe direttive è pittura borghese. Cioè, pittura di una società marcia”.(1956).

Distintiva e assolutamente personale è la sua adesione alla pittura Informale, adesione che coincide con l’abbandono della tela come supporto. Spicca e stupisce il suo imprevedibile utilizzo di materiali i più diversi fra di loro; come la gommapiuma, il cui “crostone scabroso è pieno di avvertimenti nuovi e di meraviglia”, svela lo stesso Turcato; così come risalta l’incredibile immissione di oggetti a mo’ di frammento narrativo (pillole medicinali, banconote), o sollecitazione formale (catrame, sabbie, polveri luminescenti e fluorescenti), fino a mettere in discussione, con l’originale impiego di tratti di stile basati su segni e gesti, tutti quegli elementi tradizionali di espressione artistica come le linee, i colori e gli elementi figurativi oltre che i supporti stessi dell'opera e gli strumenti per eseguirla. Parlano da soli tanti titoli: La Pelle, Ritrovamenti, Tranquillanti, Superficie Lunare, Arcipelago, Astrale, Itinerari, Oltre Lo Spettro, Cangiante.

“Bisognerebbe che la scienza riuscisse a scoprire se c’è una volontà nel mollusco che costruisce la sua dimora nella conchiglia e perché riesce a farla così bella…” (cit. 1957)

Da segnalare, infine, una curiosa quanto stimolante particolarità nella Mostra, in perfetta sintonia con l’eclettico impianto artistico dell’ autore: una sala del CAMeC ospiterà, concepita da Andrea Nicoli, docente del Conservatorio “G. Puccini”, La Spezia, un’installazione sonora dialogante con le opere esposte. Così la racconta l’autore: “l'istallazione musicale sarà concepita nella sala che ospita l'opera in più elementi Oltre lo spettro, ulteriore indagine intorno al colore portata avanti dall'artista negli anni Settanta, e sarà il frutto delle suggestioni e degli stimoli generati dall'impatto visivo e trasposti nel linguaggio musicale contemporaneo”.

Tutto il periodo della mostra sarà accompagnato da incontri di approfondimento e workshop.