Giuseppe Buffoli – Ta ghét dè bašà ‘n_dó ‘l fulå

Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA ARRIVADA
Via Pier Candido Decembrio, 26, Milano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

su appuntamento

Vernissage
21/10/2024

ore 18,30

Artisti
Giuseppe Buffoli
Curatori
Andrea Lacarpia
Generi
arte contemporanea, personale

Galleria Arrivada presenta la mostra personale di Giuseppe Buffoli.

Comunicato stampa

Galleria Arrivada presenta la mostra personale di Giuseppe Buffoli. Il progetto è accompagnato da un testi
di Roberto Iasiuolo, Andrea Lacarpia e Rossella Moratto.

Nato nel 1979 a Brescia, Giuseppe Buffoli vive e lavora a Milano.
Si è formato all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Nel 2007 frequenta il corso d’eccellenza T.A.M.,
nelle Marche, finalizzato al trattamento artistico dei metalli, presieduto da Arnaldo Pomodoro. Lì, grazie al
confronto con altri giovani artisti e con la direzione artistica di Nunzio Di Stefano consolida la sua ricerca
artistica focalizzata sull’equilibrio e la precarietà, e realizza lavori nei quali, oltre all’impiego di materiali
scultorei, si inseriscono oggetti legati alla misurazione spaziale, livelle, fili a piombo ecc... Ne è un esempio
la scultura permanente realizzata l’anno successivo per la nuova sezione didattica presso il Museo della
Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano.
Nel 2009 prende parte alla residenza internazionale Harlem Studio Fellowship a New York (U.S.A.) dove
sviluppa lavori legati al disegno con la penna a sfera. Giuseppe Buffoli, vuole scolpire l’incorporeità delle
forze anziché la materia; gli elementi concreti paiono essere strumenti d’espressione dei legami che si
instaurano tra le porzioni d’opera e lo spazio. Nel 2017 partecipa al XIII Premio Cairo, tenutosi a Palazzo
Reale di Milano; l’anno successivo vince il premio Weir Gabbioneta per la realizzazione di una scultura
permanente da collocarsi presso la sede dell’azienda. Nel corso degli ultimi anni partecipa ad esposizioni in
Italia e all’estero.

Tra le mostre principali, ha esposto presso: Subplace (Milano), Villa Contemporanea (Monza), Dimora
Artica (Milano), Surplace Art Space (Varese), The Workbench (Milano), Piscinacomunale (Milano), Spazio
Heart (Vimercate), Palazzo dei Consoli (Gubbio), Cinema Vela (Varese), Università Cattolica (Milano),
Palazzina Storica (Peschiera del Garda), C.S.O.A COX 18, Monastero della Misericordia (Lecco), Studio de
Girolamo (Milano), Riss(e) (Varese), Binario 7 (Monza), X Biennale di Soncino, Rocca Sforzesca (Soncino),
Spazio Arti Contemporanee (Pavia), Fondazione Cicogna Rampana (Palazzolo Sull’Oglio), Castello
Visconteo (Pagazzano, Bergamo), Casa Pertrolo (Ticinallo, Varese), Chiesa di S. Rocco (Carnago,
Varese), Fondazione Bandera per l’Arte (Busto Arstizio), 18° Premio Cairo, Palazzo Reale (Milano),
Associazione Barriera (Torino), Edicola Radetzky (Milano), Galleria del Premio Suzzara (Suzzara,
Mantova), Palazzo Foppoli (Tirano, Sondrio), Fabbrica del Vapore (Milano), Castello Mediceo (Melegnano),
Palazzo Cittadini Stampa (Abbiategrasso), Museo della Scienza e della Tecnologia (Milano).
Ha partecipato ai concorsi: Premio di Scultura Weir Gabbioneta 2018 (vincitore), 18° Premio Cairo, Palazzo
Reale, Milano, 51° Premio Bice Bugatti - Segantini, Nova Milanese (MB) (premio mostra personale),
Concorso d’Incisione Sandro e Marialuisa Angelini 2006, Accademia Carrara, Bergamo (2° premio),
Concorso Libera Accademia di Pittura Vittorio Viviani 2006, Nova Milanese (MB) (2° premio), XI Salon
Primo. Sezione Grafica, Museo della Permanente, Milano (Premio Adolfo Pini).

GALLERIA ARRIVADA - Via Pier Candido Decembrio 26 – Milano / Aperta solo su appuntamento
Tel. +39 335 6013444 / +39 380 5245917 / www.arrivada.eu / [email protected]

Perché Giuseppe non mangia biscotti rotti e li preferisce interi?
Di Roberto Iasiuolo
Forse perché ama la compiutezza della loro totalità, o forse per una ignota ideologia o forse ancora per
puro gusto, egli è alla ricerca della loro perfezione, della loro essenza come metaforicamente della sua
arte.
Avvalendosi di archetipi interpretativi, che ruotano intorno ad oggetti della quotidianità, Buffoli realizza infatti
curiose forme poliedriche, (molto vicine alla pseudo sfera del matematico Beltrami) che nello sviluppo si
bilanciano tra il mondo delle geometrie euclidee sino ad abbracciare con vaghe protrusioni il mondo delle
geometrie non euclidee, quelle geometrie che lambiscono l’inesplorato, permettendo il divenire di mondi
rappresentativi e immaginativi tanto cari ad Escher, gli stessi che aprono a continui spunti di interpretazione
che egli fa suoi per fornire la chiave di lettura delle sue opere.
Caricate di valenze ancestrali riconducibili a mondi sconosciuti si concretizzano attraverso oggetti di
marcata sostanza volumetrica, dove il prevalente carattere concettuale si ibrida con linguaggi e materia
propri della cultura pop, colori e glitter innanzitutto.
Le forme che egli sviluppa ricordano asteroidi provenienti da lontane galassie o forse satelliti spaziali pronti
al lancio ma pur sempre volumi in cerca di equilibrio.
Tacchi e Cuspidi metafora della sua opera inscenano un eterno balletto alla ricerca della stabilità sulla terra
in un ritmo continuo di tacco /punta testa /spalla ...refrein ormai storico. (Don Lurio)
Il continuo equilibrio che Buffoli cerca per le sue opere si avvale senza dubbio anche di una buona dose di
ironia, che crea effetti a sorpresa, tanto da porre fragili chiocciole a sorreggere il peso del suo mondo.
Quel mondo carico anche di valenze devozionali che inducono lo spettatore ad incamminarsi nel punto
dove Res cognitans e Res extensa si incontrano. (Cartesio)
Buffoli riesce infatti a portare cervello e anima al punto di ricongiungimento, facendo coincidere l’uomo e la
sua arte.

L’equilibrio come processo continuo
Di Andrea Lacarpia
Il progetto di Giuseppe Buffoli si sviluppa nello spazio espositivo come un percorso che unisce diverse
opere emblematiche della ricerca dell’artista, focalizzandosi in particolare su cerchi sospesi e misteriosi
poliedri irregolari che, come meteoriti arrivati da distanze siderali, aprono l’immaginazione a suggestioni
cosmiche.
Dare forma all’invisibile è da sempre il cardine sul quale poggia la ricerca di Buffoli, tra sottili equilibri di
forze fisiche, complicati incastri ed ibridazioni di forme geometriche e organiche, il tutto unito da una
sempre presente ironia che trasforma la gravità dell’esistenza in ludica leggerezza. Ogni opera sembra
voler stimolare nel fruitore il sentimento di meraviglia senza eccedere nei barocchismi ma conservando
sempre l’essenzialità delle forme, in cui prevalgono geometrie e colori neutri associati a tocchi di tonalità
fluo. Ne deriva una particolare stilizzazione formale in cui prevalgono i rapporti di forza, le linee e le
peculiarità fisiche ed estetiche dei materiali.
Un’altra caratteristica della ricerca di Giuseppe Buffoli è il dialogo con la storia dell’arte e della cultura
popolare, da cui trae riferimenti che vengono metabolizzati e trasformati in modo da far parte di una
personale narrazione. Nella mostra presentata alla Galleria Arrivada, l’enigmatico solido presente
nell’incisione Melencolia I, realizzata da Albrecht Dürer nel 1514, sembra sfidare la gravità levitando a
mezz’aria e moltiplicandosi, andando a formare sorta di spigolosi meteoriti, realizzati dall’artista in legno
MDF nero e bucchero. All’interno delle sculture, sfaccettate come minerali ed aperte su un lato, si scoprono
fluorescenze e bagliori luminescenti che ritornano nelle altre sculture in mostra, in cui ad essere
protagonista è l’equilibrio dei pesi bloccato in una sospensione metafisica. Degli hula-oop sono in bilico
come aureole che fluttuano nel vuoto, andando a sacralizzare il vuoto sotto di esse e tutto ciò che può
casualmente passarci, rimarcando così il dialogo tra forze fisiche misurabili e imprevedibilità del fato, tra
razionalità e magia. L’equilibrio tra pesi e misure, tra pieno e vuoto e tra rigore e irriverenza fanciullesca
sembra essere il fine della ricerca di Buffoli, un equilibrio che si specchia nei processi della natura, come
evidenziato dalla piccola chiocciola che, alla base della scultura presente nell’ultima sala, diviene culmine
del percorso espositivo.

L’immaginazione vede
Di Rossella Moratto
Bruno Munari affermava che: “giocare è una cosa seria”. Giuseppe Buffoli sembra aver preso queste
parole alla lettera. La sua ricerca scultorea, apparentemente ironica e ludica, si rivela invece
profondamente seria: Buffoli sovverte le regole, sdrammatizza la sacralità dell’opera e ribalta le
consuetudini, suggerendo un nuovo sguardo sul mondo. La sua è una costante sfida all’idea tradizionale di
scultura, alla quale nega solidità e stabilità a favore dell’apertura verso altre possibilità. Le sue opere non
sono oggetti immutabili, ma eventi in divenire: forme aperte, precarie e instabili, che contengono in sé il
principio della propria distruzione. Esse abitano l’intervallo interstiziale dell’attesa, la dimensione della
possibilità immanente al nostro presente. Affette da una fragilità intrinseca – come ogni forma di vita –
convivono con la capacità di resistere e rigenerarsi. In questo modo, si trasformano in dispositivi narrativi
che abbracciano il paradosso.
Sculture perfette e tecnicamente impeccabili sono, al tempo stesso, incompiute perché instabili, destinate a
essere messe in crisi: l’equilibrio precario non è solo una condizione fisica, è la metafora della vita stessa,
costantemente in bilico tra costruzione e distruzione, tra il possibile e l’imprevedibile.
Buffoli gioca anche con la tradizione attraverso una pratica di reinterpretazione ludica che reinventa le
forme, sottraendole alla storia e alla logica comune. Le sculture poliedriche presentate in mostra sono un
dichiarato omaggio ad Albrecht Dürer, Il suo celebre romboedro tronco raffigurato in Melencolia I è ripreso
in una citazione apocrifa che si moltiplica in una serie di corpi cavi, neri e opachi, appesi e in bilico, che
rivelano nella loro cavità interna – il vuoto, l’antitesi della scultura intesa come massa – sorprendenti
iridescenze e colori sgargianti. Matrici e forme allo stesso tempo, sono in perenne tensione tra pieno e
vuoto, tra caduta e resistenza: frammenti di storia che hanno perso ogni malinconia e drammaticità,
proiettandosi verso il presente. Anche oggetti quotidiani come gli hula hoop (ritorna il gioco, la leggerezza),
sospesi sopra la testa dei visitatori, diventano inaspettatamente gigantesche aureole. I nimbi, ormai orfani
di santità, sembrano fluttuare nell’incertezza, a mezz’aria tra cielo e terra: simboli di una sacralità
capovolta, laica e irriverente, ribadita anche dal titolo scelto per la mostra, Ta ghét dè bašà 'n_dó 'l
fulå (“Devi baciare dove cammina”, in dialetto bresciano, strizzando l’occhio al suo paese natale).
L’esortazione suggerisce un atto sproporzionato di deferenza e devozione, che diventa beffardo in un
contesto dove l’instabilità e il paradosso regnano sovrani. Buffoli gioca anche con l’idea di culto e idolatria,
ribaltando le aspettative e mettendo in discussione l’autorità dell’opera (e dell’artista stesso) e il rapporto tra
arte e spettatore.
Il contrasto tra sacro e ironico si inserisce perfettamente nella sua riflessione più ampia sulla precarietà
dell’esistenza e sull’equilibrio sempre instabile delle cose. È proprio questa instabilità che fa entrare la
pratica artistica nel flusso della vita, prendendone temporaneamente possesso. Analogamente al gioco, è
uno strumento di esplorazione della complessità e delle contraddizioni del reale: una sperimentazione che
non è necessario comprendere, ma che basta guardare e immaginare, perché – citando ancora Munari –
“l’immaginazione vede”. Vede oltre.