Giuseppe De Mattia – Dress code

Informazioni Evento

Luogo
LAVANDERIA LAVAPIU
Via Nicola Castagna 9, Teramo, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al
Vernissage
07/04/2023

ore 18.30

Contatti
Email: celestekunst9@gmail.com
Artisti
Giuseppe de Mattia
Generi
arte contemporanea, personale

Mostra personale.

Comunicato stampa

La concentrazione della circonferenza
Il protagonista di un romanzo di Tiziano Scarpa di qualche anno fa, Il brevetto del geco, è un
artista milanese di trentanove anni deciso a mettere fine alla propria carriera mai decollata.
Depresso, ridotto sul lastrico, nei ventotto metri quadri del suo monolocale di Milano, Federico
Morpio si ritrova a fare i conti con anni di rinunce, una convivenza andata in frantumi e una
collezione di gesti dettati dalla frustrazione e dal risentimento. «Che cosa ne sarebbe stato di lui,
senza l’arte? Era una domanda a cui era impossibile rispondere. Senza l’arte non si sarebbe
ridotto al fallimento. Ma, d’altra parte, si sarebbe disconnesso dalla realtà. Non aveva alternative.
All’infuori dell’arte, non riusciva a trovare un motivo per stare attento alle cose» .1
Nel pieno del proprio tracollo esistenziale e finanziario, tuttavia, l’improvvisa malattia del padre gli
presenta una nuova prospettiva lavorativa. Morpio va a vivere nella sua casa e diventa il suo
badante. La sua quotidianità cambia radicalmente. Durante uno dei pomeriggi dedicati
all’accudimento dell’infermo, Morpio carica il cestello della lavatrice di panni sporchi e si siede
davanti all’oblò, come fosse davanti a un televisore. La lavatrice è un cervello in grado di
soppesare il proprio carico interno, di leggersi dentro, e stabilire il tempo delle operazioni; ma è
anche bocca e ano insieme, perché l’accesso e l’espulsione coincidono nella stessa apertura; e
poi è anche intestino, poiché è in grado di separare lo sporco dalla materia processata al suo
interno, e digerirlo. Dalla sua condizione di auto-esiliato dell’arte, lo spettacolo del lavaggio
automatizzato è un’esperienza rivelatrice del suo rapporto con la creazione artistica. Il movimento
vorticoso della centrifuga apre all’intuizione più stupefacente: la velocità centripeta del cestello,
spingendo il bucato ai bordi delle sue pareti, lo fa sparire come se non ci fosse più. «L’esistenza
T. Scarpa, Il brevetto del geco, Torino, Einaudi, 2015, p. 10.1
Celeste LAVAPIU
spinta al massimo coincideva con l’inesistenza» . Morpio si interroga se, così come la centrifuga2
schiaccia i tessuti ai confini della propria circonferenza, schizzandoli all’esterno in una espansione
contenuta, allo stesso modo sia possibile l’esercizio di un pensiero che non lavori per
concentrazione, attraverso un movimento rivolto all’interno, bensì per espansione, o meglio, per
circonferenziazione. Spingere la materia ai lati e fare il vuoto al centro, girargli attorno, per poter
vedere. È possibile creare delle opere in cui pensiero e sguardo agiscano allo stesso modo? Che
«aderiscano potentemente addosso alle circostanze» in cui si trovano?3
Se Federico Morpio apprende una lezione di estetica dal programma di funzionamento di una
lavatrice, l’artista Giuseppe De Mattia, invitato a partecipare al programma espositivo di LAVA
PIU, decide fin da subito di impiegarla nel suo intervento, intitolato Dress code. Il protagonista
del romanzo, di fronte alla macchina, si interroga sulla natura del proprio fallimento: è mancanza
di talento, la sua, oppure semplicemente non è stato in grado di intessere le giuste relazioni?
Lo stupore dellə artista che per la prima volta legge il romanzo di Scarpa sta, in parte, nel ritrovare
i pensieri che avrà affrontato almeno una volta - ma probabilmente molte di più - in quelli del
personaggio. Federico Morpio è una caricatura letteraria non più di quanto non lo sia il mondo
dell’arte contemporanea in carne e ossa. Eppure la frustrazione, la sensazione di collocarsi in una
posizione di lateralità rispetto alla Storia, alle cose che accadono, secondo Maurizio Ferraris è il
sentimento dominante dell’umanità del nostro tempo. Non solo nel piccolo, egoico,
autoreferenziale mondo dell’arte.
Nel corso della sua attività più che decennale, Giuseppe De Mattia torna sulle dinamiche e sulle
implicazioni del mestiere di artista - tutte efficacemente condensate nel personaggio de Il
brevetto del geco - come “la necessità di vendere ad ogni costo le proprie opere, l’accusa
reciproca di plagio tra gli artisti, il timore della truffa che soggiace ad ogni acquisto di arte
contemporanea ”. Nel 2019, nella mostra “Esposizione di frutta e verdura” presso la galleria4
Matèria di Roma, mette in scena la parodia di un mercato ortofrutticolo come metafora della fiera
d’arte, in cui frutta vera e frutta di ceramica rivelano la propria differente natura solo nei giorni
successivi all’opening, con il deperimento degli ortaggi. Nell’opera di De Mattia il mercato
sembra coesistere nella duplice forma di luogo di affezione dell’infanzia trascorsa al Sud negli anni
Ottanta, ma anche nella sua variante meno nobile di mercato nero. Ad esempio in Ladri di
piastrelle (2022), l’installazione concepita negli spazi di OPR Gallery a Milano, in cui replica una
decorazione ceramica di azulejos portoghesi, oggetto di un mercato illegale da dare in pasto ai
turisti delle città iberiche, pensati per essere venduti al pubblico a un prezzo accessibile,
decretando anche lo smembramento dell’opera. In Dress code il mercato rionale funziona anche
da punto di contatto essenziale dell’artista con il territorio con cui per la prima volta si trova a
lavorare, Teramo. De Mattia si fa accompagnare dallə curatorə, il giorno prima dell’opening, al
mercato del paese limitrofo, per acquistare capi usati da impiegare nella performance. I vestiti
devono essere necessariamente recuperati da venditori ambulanti poiché non già puliti, come
quelli nuovi di negozio: i capi vengono infatti lavati-digeriti dalla lavanderia a gettoni messa in
funzione dall’artista durante la performance che, subito dopo, li stira, li assembla in diversi outfit e
li ripone in una busta, con tanto di cartellino. Ogni abito confezionato viene messo in vendita, così
come per Ladri di piastrelle, a un prezzo economico, per ribadire il carattere anti-elitario dell’arte
di De Mattia: «Se un artista ti piace è giusto che tu possa possedere almeno una sua opera ».5
Ogni vestito impacchettato è un personaggio, un costume, un ritratto, un quadro. Ogni multiplo
prodotto non rientra propriamente nella categoria estetica del ready-made, poiché prevede un
intervento di accurata rigenerazione dell’oggetto. Inoltre, l’operazione dell’artista non implica una
defunzionalizzazione del prodotto di consumo, non ne decreta l’irreversibile ingresso nella sfera
dell’arte come oggetto sollevato dalla propria funzione, perché nessuno vieta ai collezionisti di
indossare gli abiti una volta acquistati. Con Dress code, De Mattia sembra rispondere
affermativamente alla domanda di Morpio sul pensiero per espansione, che segue il movimento
della centrifuga, per creare un’esperienza artistica potentemente aderente alle circostanze in cui si
trova. Le opere che nascono dalla performance al mercato prima e nella lavanderia poi, sono
found objects processati, in cui il discrimine tra opera d’arte e bene di consumo manifesta tutta la
sua fragilità e inconsistenza. L’apparentamento tra opera d’arte e merce è qui ancora più
evidente. Esso è motivato non dal valore d’uso degli indumenti (per il fatto cioè di rimanere
utilizzabili), ma piuttosto per il loro valore simbolico. Come evidenzia Emanuele Coccia ne Il bene
delle cose, la qualità di una merce è determinata dal significato simbolico che le persone le
attribuiscono, ed è tale carica significante a rendere le cose passibili di scambio . Centrale diventa
allora l’attivazione da parte dell’artista attraverso una compra-vendita a prezzi popolari, di una
possibilità di relazione con un pubblico - come quello di LAVA PIU - non composto propriamente
da collezionisti. Un pubblico che, attraverso l’acquisto, è messo nella condizione di riconoscere il
valore dell’operazione, investendo del denaro. L’opera, proprio come qualsiasi merce, ha valore in
quanto inserita in un sistema di relazioni e di scambio. «Una comunità pura e assoluta di uomini
senza le cose non è mai esistita e non esisterà mai: è nelle cose e attraverso le cose che gli uomini
possono incontrarsi» . L’umanità è sempre esistita attorno a dei beni, in luogo di un mercato di7
circolazione delle merci. L’opera d’arte non è estranea a questo discorso.
Da un’altro punto di vista, a venir meno è la mediazione tradizionale della galleria d’arte che,
come solleva l’artista, spesso spinge i collezionisti a comprare non in quanto motivati
dall’interesse per le opere, ma piuttosto dal prestigio delle gallerie stesse, veri e propri brand di
beni di lusso.
Infine, per altri versi, De Mattia non fa altro che mettere in evidenza le dinamiche proprie del
commercio dei beni e, in particolare, del mercato dell’arte: l’artista, lə creativə, lə influencer, è
colui o colei che prova sempre a venderti qualcosa, anche quando non lo sta esplicitamente
dichiarando. De Mattia invece lo mostra, non lo nasconde, anzi ne fa il centro della sua opera.
NON È CHE, SENZA VOLERLO, IO VOLESSI PROPRIO QVESTO? NON È CHE LA MIA ARTE,
COSÌ COM’È, CONTA NON PER LE POCHE OPERE CHE PRODUCO, MA PER QUEL CHE MI
COSTRINGE A VIVERE ?8
Sono le parole che Federico Morpio immagina di scolpire su una lapide. A noi viene da chiederci
se invece Giuseppe De Mattia potrebbe mai creare una variante di questa domanda che suoni più
o meno così:
“NON È CHE, SENZA VOLERLO, IO VOLESSI PROPRIO QUESTO? NON È CHE LA VITA, COSÌ
COM’È, CONTA PER LE OPERE CHE MI COSTRINGE A PRODURRE?”