Giuseppe Marcotti – Macchine paradossali e concettose
Le macchine paradossali e concettose di Giuseppe Marcotti creano un ambiente immersivo ad alta temperatura poetica. La galleria si trasforma così, stavolta, in una sorta di Cape Canaveral per un viaggio imprevedibile tra le onde di una inedita tempesta spa¬zio-temporale generata da macchine celibi, paradossali e concettose.
Comunicato stampa
Negli spazi della galleria ArteArte di via Galana 9, a Mantova, le macchine paradossali e concettose di Giuseppe Marcotti creano un ambiente immersivo ad alta temperatura poetica. La galleria si trasforma così, stavolta, in una sorta di Cape Canaveral per un viaggio imprevedibile tra le onde di una inedita tempesta spa-zio-temporale generata da macchine celibi, paradossali e concettose.
La mostra è la dichiarazione di esistenza di un artista che reclama, da sempre, l’insurrezione contro ogni manufatto piccolo borghese (a partire dal quadro d’appartamento con i sottoprodotti figurali o neo astratto-informali), contro l'idea di fondo e più vasta della società occidentale, per un percorso a favore della riscoperta di una attività artistico-creativa come fonte di piacere e di gioco: una attività, se vogliamo, del tutto inutile e fondamentalmente estetica perché rivolta a creare arte.
L’artista, in galleria, sarà il vero protagonista di tale esperienza, per raccontare la speciale dimensione temporale dei suoi pezzi e della ricerca del rapporto di empatia che si può produrre con lo spettatore. Dirà dell’azione delle sue diavolerie tecniche, dello scollinamento oltre ogni qualsivoglia rappresentazione illusionistica di ordine prospettico spaziale.
Perché stavolta ci sarà spazio solo per il movimento di vecchie ruote dentate, di manometri volti a misurare la pressione di inverosimili ma credibili respiri pneumatici, per toccare una vitalità formale e una leggerezza poetica fatta di freschezza autentica e di un’ironia strabiliante.
Oltre gli ineludibili riferimenti a Munari e a Tinguely, oltre gli ovvi anelli di congiunzione della Mec-Art e dei concettualismi sessantottini, qui si palesano i risultati di trent’anni di esplorazioni nei sussulti segreti degli anfratti espressivi più ricchi di una energia primordiale e sotterranea che, come di onda di luce, si rapprende nella felice bellezza dei suoi spiazzanti marchingegni. Emerge alla fine l’ottimo lavoro di Giuseppe Marcotti tutto giocato sulla contaminazione tra la cultura di massa e le tecnologie post industriali: ne fuoriescono opere astruse, arcani meccanismi in grado di fornire scioccanti scariche elettriche e inenarrabili reazioni chimico/ormonali: veri e impressionanti viaggi nel tempo. I suoi congegni, i suoi «concept time», oggetti gravidi di poteri e saperi, sono costruiti – così afferma l’autore - «per potersi spostare nel tempo-spazio di ognuno di noi, per poter tornare indietro nel nostro passato o per cercare il nostro futuro...».
Ma ciò che più conta è che le opere di Giuseppe sono fantasiosi lampi di luce, scritture esplosive, apparizioni celibi per scapoli neo-duchampiani, per le curiosità avventurose e oniriche di tutti noi. Queste dispositivi sorprendenti e paradossali sono infatti speciali sculture costruite con oggetti metallici scacciati dai circuiti produttivi, congegni arrugginiti e abbandonati, scarti segnati dal tempo che entrano a far parte di un firmamento meccanico trouvè. Ma questi oggetti rivivono magnificamente nei suoi manufatti/sculture che oltrepassano la staticità dell’oggetto chiuso e bell’e fatto, all’insegna di una processualità concettosa e post concettuale. Alla fine la sua ricerca travagliata si offre, dunque, come fonte di fragrante meraviglia e di ispirato stupore, grazie anche a un lessico sensuale ed emozionale in grado di coinvolgere ogni riguardante.
La mostra si affida al solido e sempre stimolante intervento critico di Gianfranco Ferlisi e alla verve di Maria Grazia Todaro che sono riusciti a tracciare le coordinate di un artista emergente e di assoluto valore.