Giuseppe Mestrangelo – L’alieno
La ricerca non più funzionale, ma formale, dell’artista Mestrangelo si giova anch’essa di nuove tecniche, quelle dell’arte che ha battezzato ‘fotonica’, in cui la contemporaneità del mezzo luminoso è sfruttata nella sua flessibilità (mentale e fisica) per creare suggestioni.
Comunicato stampa
La luce come rivelazione, come essenza del divino: dal medium aureo riflettente dei
mosaici bizantini che abbaglia (umilia, quasi) e rimanda al Creatore, allo squarcio della
taverna di San Luigi dei Francesi, le valenze religiose sono molte, forse scontate, ma
sempre presenti nella storia della cultura occidentale (e non solo). E’ la innovativa tecnica
applicata da Suger a Saint Denis che crea quella lux mirabilis et continua in cui inedite
istanze estetiche si sostanziano in un’idea teologica ben precisa: “Claret enim claris
quod clare concopulatur, Et quod perfundit lux nova, claret opus Nobile”; quella ‘luce’
- però - è ‘nuova’ in senso metafisico tanto quanto in senso materiale, perché ottenuta
grazie a conquiste misurabili e concrete. La ricerca non più funzionale, ma formale,
dell’artista Mestrangelo si giova anch’essa di nuove tecniche, quelle dell’arte che ha
battezzato ‘fotonica’, in cui la contemporaneità del mezzo luminoso è sfruttata nella sua
flessibilità (mentale e fisica) per creare suggestioni, per suggerire un pensiero, in una
perfetta sinergia tra la luce manipolata e quella reale, e talvolta quella dipinta, come
negli interventi in cui fili di materia luminosa colorata si intersecano con oggetti culturali e
artistici, a ricucire uno strappo nella nostra percezione tra l‘energia creatrice dell’uomo,
nella serie dilatata nel tempo di una tradizione culturale, e la contemplazione dell’oggetto
finito da parte nostra. Evita, Mestrangelo, il triste esito dell’esibizione fine a sé stessa di
un virtuosismo dovuto solo al nuovo mezzo, per invitarci a meditare. Non che il lavoro
degli artisti del XX e del XXI secolo non abbia affrontato con mezzi simili un problema
estetico, che è già stato declinato, per dire random, da Fontana a Merz, dal monumentale
Eliasson all’accattivante (e spesso cinetico) Nauman: ma il background di Mestrangelo
rende l’utilizzo fresco e, se si può dire, più cosciente del rapporto col passato, sempre
stimolante e mai solo citazionistico. Le opere qui esposte intervengono su realtà materiali
che concentrano in sé storie millenarie: il libro, la cultura scritta, il peso della tradizione,
da una parte, e dall’altra il senso dell’icona cristiana, visualizzata attraverso l’immagine
chiave di questa realtà religiosa, quella del Crocefisso. La parata di veri libri antichi, chiusi
da un filo di luce che li chiude in modo apparentemente definitivo (già visti qui a Bologna
nella monografica Sutura del 2009 al Museo della Musica), Cogniti defensor, richiama
alla mia mente le parate di manoscritti e stampati delle grandi raccolte biblioteconomiche,
in primis quella Biblioteca Malatestiana cesenate che, sola, conserva ancora intatto sia
il contenuto che il contenitore di una libraria tardomedievale. I volumi, posti ciascuno su
un leggio, sono invece pronti a rivelare il loro contenuto, a dispiegare ancora il distillato
della nostra esperienza culturale occidentale: solo, necessitano di qualcuno che guardi,
apra, e si riappropri di ciò che è suo. La luce vale anche come invito e come guida,
per passare dalla dimensione del ‘custodito’ - il libro chiuso per proteggere quello che
racconta, discute, visualizza - a quello della sutura (appunto) di uno strappo, una ricucitura
in cui si interviene a riconnettere, e riattivare, presenze lontane ma ancora fondanti.
Mi piace invece leggere il Cristo trapuntato di luce, l’Alieno, su due differenti binari.
Uno è quello stesso da cui parte Mestrangelo, dal valore se non teologico stricto
sensu - una chiave religiosa tradizionale mi pare assente dall’opera, così come un valore
devozionale - almeno storico e culturale. Il Salvatore non tanto come oggetto di culto,
quanto icona cardine di una Storia, fatta di recupero dei diseredati, di emancipazione,
di reazione contro la prevaricazione; cosa farebbe oggi, cosa faremmo noi oggi?
la luce, forse, anche in questo caso ci può guidare. L’altro spunto, estraneo all’autore (ma
è proprio del vero artista suggerire interpretazioni non preventivate), è indubbiamente
personale, ma spero non troppo forzoso: per un medievista, intessere una trama di fili
luminosi attorno e dentro un’immagine di Cristo crocefisso rimanda concettualmente a
quella evidenziazione delle linee costitutive della materia che proprio la luce - dipinta,
anzi ‘scritta’ nelle forme essenziali e segniche dell’arte allusiva bizantina - formava nelle
grandi croci del XII e del XIII secolo, come quella presente nella sala delle Collezioni
Comunali d’Arte di Bologna, in cui l’evocazione mistica dei ‘primitivi’ ben si accorda al
senso essenziale delle opere che vi vengono inserite.
Fabrizio Lollini
Giuseppe Mestrangelo - 7 marzo 1956
Vive ed esercita la sua professione di lighting designer ed artista a
Milano, dal 1971. Studia illuminotecnica e fisica della luce
applicandola con successo all’illuminazione di opere d’arte, tanto
da rendere il suo studio una realtà unica nel suo genere. In parallelo,
sviluppa la sua ricerca artistica che, dalla grafica alla pittura, lo
portano a sperimentare negli anni, l’uso della luce in varie forme di
espressione tra cui arte visiva e performativa. Studia espressione e
gestualità corporea sulle teorie di Etienne Decroux (1898 -1991) con
autorevoli artisti della materia tra cui Marcel Marceau (1923 -2007).
Tra gli anni ottanta e novanta applica la tecnica della luce all’opera
d’arte creando una sintesi tra il lighting designer e l’artista.
I suoi lavori contemporanei, consistono nella concettualizzazione del
fattore compositivo fotonico, applicato ad ogni forma di espressione.