Giuseppe Pirozzi – Il signore delle forme
Mentre i bronzi spingono verso la superficie levigata delle cose – il riflesso barocco e funebre del loro apparire – le terrecotte (come queste, della mostra di Linee Contemporanee) ci portano nella cella nascosta di ciò che desiderando temiamo, quell’intimità del delirio che ogni oggetto inutilmente nasconde.
Comunicato stampa
In un’artigianale poesia, Giuseppe Pirozzi ha scritto due versi straordinari nel farci capire la sua poetica, avvicinarci alla macchina di un sapienziale fare arte: “Con le mie mani / forze antiche ho ascoltato / e i miei pensieri plasmato”. Versi semplici, dedicati a un bambino, Gesù, per il quale aveva appena costruito uno spazio sospeso, il vuoto che regge la rete stellare su cui trentasei formelle mettevano in scena i frammenti di una storia muta se non per lampi, segni allusivi, particolari senza voce per il troppo gridare: l’antico tempio di Gerusalemme devastato occupa lo stesso spazio di una colomba di creta e il grande e il piccolo si equivalgono nella rappresentazione indicibile. Quei versi ci dicono che Giuseppe Pirozzi si vede pensato dalla sua arte, dalle sue mani, che ne custodiscono la forza e il progetto. Il suo lavoro, l’infaticata opera di lunghi anni, è una rappresentazione di ciò che resta dopo il diluvio: una congerie di oggetti urta contro la stanchezza di morte , la violenza subìta, la necessità di riordinare ciò che è rimasto, le ombre e le cose, la memoria e il peso dei nostri corpi distrutti. Le sue terrecotte sono il livello elementare di una sintassi necessaria, il drammatico passaggio dall’inorganico all’interpretazione che il fuoco costruisce di quella radice originaria, dove la terra somiglia alla carne e ha la bocca del desiderio. Rispetto ai suoi bronzi, esse mostrano ciò che quelli eludono, la realtà profonda alla quale non possiamo sottrarci e contro cui, alla fine, la forza del tempo riconduce. Mentre i bronzi spingono verso la superficie levigata delle cose - il riflesso barocco e funebre del loro apparire - le terrecotte (come queste, della mostra di Linee Contemporanee) ci portano nella cella nascosta di ciò che desiderando temiamo, quell’intimità del delirio che ogni oggetto inutilmente nasconde. Il suo - se proprio dobbiamo trovare per l’arte di Giuseppe Pirozzi un più giusto nome- è un interiore informale, un processo linguistico inarrestabile nel parlarci dell’ombra, quest’unica realtà, che produce gli oggetti e l’illusione concreta che ci strugge. Scultore con la nostalgia di una bidimensionalità che, nella sua inaccessibile verità, ci è negata se non nei sogni, i pensieri estremi dei numeri, l’illusione del disegno. Conosco pochi disegni di Giuseppe Pirozzi, ma sono abbaglianti, essenziali, come arcaiche tracce dell’incanto di Altamura.
Rino Mele
Giuseppe Pirozzi inizia la propria attività artistico-espositiva nel 1954, con la frequenza al corso di scultura dell’Accademia di Belle Arti di Napoli. Nel 1960 ottiene l’incarico alla cattedra di Plastica presso il Liceo Artistico di Napoli e nel 1964 diviene docente dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove insegna fino al 2001.
Ha esposto in numerosissime rassegne d’arte nazionali e internazionali ottenendo prestigiosi premi e riconoscimenti della critica. Ha tenuto, inoltre, mostre personali in gallerie d’arte in Italia e all’estero. Ha prestato la propria opera per interventi di architettura e arredo urbano e, quale vincitore di concorsi nazionali per opere d’arte, ha realizzato opere di grandi dimensioni installate presso edifici e spazi pubblici.
Dall’inizio degli anni Sessanta la sua attività artistica figura in molteplici pubblicazioni di arte contemporanea e storia dell’arte italiana. Si sono interessati alla sua opera i maggiori critici d’arte italiani, tra i quali L. Vergine, L. Caramel, E. Crispolti, V. Corbi, R. Causa, L. Carluccio, F. Menna, etc. Le sue sculture si trovano oggi in collezioni private e pubbliche in Italia e all’estero. Nel 2000 è insignito del titolo di Accademico Scultore dell’Accademia Nazionale di San Luca.
Attualmente vive e lavora a Napoli.
Giuseppe Pirozzi, Memoria bruciata, terracotta ingobbiata, 2014