Gruppo A12/ Baukuh

Informazioni Evento

Luogo
PINKSUMMER - PALAZZO DUCALE
Piazza Giacomo Matteotti 28r, Genova, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al
Vernissage
02/02/2013

ore 18.30

Artisti
Baukuh, Gruppo A12
Generi
arte contemporanea, doppia personale

Mostra doppia personale

Comunicato stampa

pinksummer - Drammatica e paurosa l'immagine che avete scelto per l'invito della mostra da pinksummer. Il medesimo angelo, sulla tomba della famiglia Ribaudo al cimitero di Staglieno, scelto dai Joy Division per la copertina del singolo” Love we will tear us apart”. Partiamo da ciò che vi unisce: d'acchito in comune avete Genova e Stefano Boeri, oltre all'architettura in sé. L’imprinting con il genius loci vi ha insegnato solo a darvela a gambe levate? L'approccio sociale (politico?) e sconfinante di Boeri invece?
baukuh - Al di là della – fin ovvia – associazione con la condizione “terminale” di Genova, città di vecchi e soprattutto con poco interesse per un qualsiasi futuro, l'angelo dei Joy Division lo abbiamo anche scelto un po' per caso. In certo modo è anche rivelatorio che si tratti di un'immagine di Genova prodotta dal di fuori, che è ormai la nostra condizione. Peraltro nel nostro caso, noi (cinque su sei) non siamo nemmeno di Genova. Abbiamo scelto ad un certo punto di lavorare lì, poi abbiamo preferito muovere lo studio, ora vorremmo (almeno parzialmente) riaprire anche a Genova. Sarà che facciamo gli architetti, ma abbiamo un rapporto molto poco sentimentale con le città. Le città si possono usare, per un po', poi magari si cambia idea, poi magari si cambia idea un'altra volta. Quanto al genius loci di Genova, detto da gente che viene da fuori, non ci dispiace. Certo, è chiaramente suicida, ma ha una sua grandezza.
Quanto a Stefano Boeri, era una scelta obbligata, non è che ci fossero molte alternative. Non so se avete un'idea della situazione dell'architettura in Italia alla fine degli anni novanta. Quindi anche per chi, come noi, in un certo senso aveva interessi anche piuttosto distanti da quelli di Stefano, era abbastanza inevitabile finire per lavorare con lui. E poi Stefano è una persona estremamente intelligente e generosa, capace di mettere assieme persone molto diverse. E ha il pregio di non considerarsi, lui per primo, un fallito, il che, lavorando con lui, ti dava l'impressione – del tutto eccezionale in quel contesto – che potesse anche darsi il caso che non fossi un fallito nemmeno tu.
Gruppo A12 - Siamo due gruppi di architetti, anche questa dimensione di lavoro collettivo, seppure portato avanti con modalità e storie differenti ci accomuna, ma probabilmente anche con la città e con Stefano Boeri abbiamo avuto rapporti molto diversi. La canzone parla di un amore tormentato e Genova non è una città facile. Imparare a vederla un po' anche con gli occhi di chi ne sta fuori è un esercizio che sarebbe salutare per tutti i genovesi. Quanto a Stefano, lo abbiamo incontrato all'inizio degli anni '90, noi poco più che ventenni, lui poco più che trentacinquenne al suo primo incarico di insegnamento come professore associato. Sicuramente una ventata di aria fresca in un sistema accademico piuttosto stantio, con in più la capacità di coinvolgerti facendoti sentire alla pari. A12 stava nascendo proprio in quel periodo, da lì sono nate una serie di collaborazioni, anche se con il gruppo in quanto tale non sono proseguite poi così a lungo.
pinksummer - Abbiamo letto da qualche parte che dopo la fine del classicismo e il tramonto del modernismo, rispetto all'architettura siamo in un tempo di post-critica, di post-teoria, probabilmente di post e basta (anche nell'arte siamo dentro all''imperativo " mordi e fuggì" del curatore, un po' assimilabile al "vendi guadagna e pentiti" della finanza agnostica o becera che sia). In questo senso l'architettura è da intendersi come un mestiere sprofondato nel mero pragmatismo e sempre nello stesso senso la mostra da pinksummer potrebbe essere considerata un'aporia, una impossibilità, un'assurdità, o anche solo una perdita di tempo?
Gruppo A12 - In realtà nell’architettura, a fronte della crisi economica che ha colpito in maniera pesantissima il settore immobiliare, e di una disciplina che si è adagiata sugli stilemi di alcuni professionisti di larga fama, ultimamente si assiste a una grande ripresa di interesse per il “disegno”, i progetti “speculativi” (nel senso di speculazione intellettuale, non immobiliare), e tutto ciò che per l’architettura corrisponde abbastanza alla ricerca pura.
Come gruppo si può dire che la maggior parte della nostra attività è stata improntata a questo tipo di ricerca, anche se a causa del nostro atteggiamento molto più pragmatico che teoretico ciò si è tradotto in installazioni effimere invece che testi, diagrammi o grandi tavole disegnate.
Rispetto all’abuso del “post” è probabilmente dovuto a un vizio della critica che non è capace di definire più nulla se non in rapporto a quello che c’è stato prima.
baukuh – A esser sinceri, di pragmatismo/affarismo, al momento ce n'è ben poco. Il mercato immobiliare sembra essere morto per mai più risorgere (e probabilmente non risorgerà, perlomeno nei termini in cui lo abbiamo conosciuto fin qua) per cui, in uno scenario di disoccupazione giovanile attorno al 35% sembra difficile immaginare che si possa essere così impegnati a far soldi da non poter fare una mostra.
Per quanto riguarda invece tutta quella fila di post-qualcosa che dicevate, crediamo che sia una prospettiva che non aiuta molto. Forse è proprio l'assunto di base di tutto il modernismo e postmodernismo eccetera che va messo in discussione. Non possiamo più pensare nei termini di uno sviluppo storico univoco a cui dobbiamo solo restare agganciati, come se lo Zeitgeist viaggiasse sulla motocicletta e noi dovessimo starci attaccati come se fossimo sul sidecar. Direi che Latour ha chiarito a sufficienza che questo tipo di modernità è solo una superstizione.
pinksummer - Una domanda scema per Baukuh. A proposito del vostro "Due saggi sull'architettura" ( Sagep editori 2012) abbiamo pensato all'interno di una comparazione assai arbitraria al film di Milos Forman “Amadeus”. Giorgio Grassi è Salieri, poveraccio e Aldo Rossi è il Mozart della storia dell'architettura, poverino?
baukuh - “Amadeus” di Forman è uno dei film più stupidi di tutti i tempi, e Mozart sembra semplicemente uno scemo posseduto da uno spirito superiore che è esattamente quello che NON pensiamo a proposito del lavoro intellettuale. Lavorare è fatica, per tutti, e Mozart non era certo quel demente fortunato che sembra dal film (che riteniamo proprio fascista nel dare un'idea dell'arte di quel tipo).
Quindi la risposta è che Grassi è Salieri e Rossi anche lui è Salieri, ma soprattutto anche Mozart è Salieri, anche perché altrimenti sarebbe solo un pirla.
pinksummer - Una domanda per Gruppo A12. A proposito dei vostri interventi al Kröller-Müller Museum e alla Biennale di Venezia Arti Visive del 2003: persiste una differenza sostanziale tra "impianto" o anche "dispositivo architettonico" (cosi abbiamo sentito definire le vostre architetture in quelle occasioni), rispetto all'architettura vera e propria? E se esiste, è solo un problema di temporaneità o anche di responsabilità?
Gruppo A12 - Quei termini hanno un significato specifico e sono stati probabilmente utilizzati per descrivere i nostri interventi perché, messi di fronte al progetto di una particolare tipologia architettonica (il padiglione espositivo temporaneo) la nostra risposta è stata assai più ampia di una mera risoluzione del tema architettonico dal punto di vista formale e funzionale. Allargandosi ad una riflessione sulla natura dello spazio collettivo e della condizione urbana. Entrambi quegli interventi possono essere considerati una sorta di manifesto di un’idea di architettura piuttosto precisa, valida in senso generale. La loro natura effimera, su cui molti si sono concentrati è stata per noi del tutto accidentale ed è legata al fatto che, per varie ragioni, quasi solo nel contesto delle esposizioni d’arte contemporanea siamo riusciti a trovare lo spazio per esprimere queste idee.
pinksummer - Avete rapporti con l'architettura vernacolare?
Gruppo A12 - In qualche modo è impossibile non averne (bene o male anche tutta l’architettura “colta” o “d’autore” ha origine da lì), ma non possiamo dire di avere un interesse specifico per il tema o un particolare “gusto” per l’estetica vernacolare, le tecniche costruttive tradizionali o le architettura spontanee, anche se l’aspetto di alcuni nostri lavori potrebbe sembrare riconducibile ai temi dell’auto-costruzione, che è una delle possibili interpretazioni del termine che usate. Il nostro approccio alla costruzione del progetto, anche nei suoi aspetti formali, è molto più concettuale.

baukuh - No.
Se per “vernacolare” si intende un prodotto di qualche minoranza da compatire, di qualche poveretto a cui gettare un'elemosina per mettersi l'anima in pace, allora è una cosa eticamente disgustosa. Non crediamo per niente alla presunta “architettura senza architetti”, che è sempre e solo architettura fatta da “architetti” (perché tali sono, anche se non hanno il timbro dell'ordine) oppressi, dimenticati, sfruttati. Se questa “architettura senza architetti” ha raggiunto un qualche risultato formale – e spessissimo è andata così – è sempre e solo perché c'era un progetto consapevole, e quindi c'era un architetto, anche se se ne sono perse le tracce.
Se invece per “vernacolare” si intende solo un'estetica “pittoresca”, dove tutto è un po' più sfumato, un po' più aggiustato, un po' più gentile, un po' più innocuo, quella è semplicemente robaccia.

pinksummer - Il superdutch Rem koolhaas curatore della prossima biennale di Venezia, che ne pensate?
Gruppo A12 - In linea con la tendenza degli ultimi anni di affidare la direzione della biennale a importanti architetti internazionali invece che a critici o teorici dell’architettura. Sicuramente nel caso di Koolhaas siamo di fronte ad un architetto nella cui attività il peso della ricerca è per lo meno equivalente a quello della professione e ad uno dei personaggi che più radicalmente hanno cambiato il modo di fare architettura degli ultimi 30 anni, quindi siamo curiosi di vedere come affronterà il compito.
baukuh - Koolhaas non c'entra niente con il “Superdutch”, che è il titolo di un libro di Bart Lootsma che forse dieci anni fa faceva incazzare, ma adesso fa solo tenerezza. Peraltro Koolhaas ha sempre detestato quel libro e non lo si può certo rimproverare per “Superdutch”, anzi, forse lo si può rimproverare al contrario per aver infierito contro quel povero cristo di Bart Lootsma, che gli è toccato emigrare in Austria, ma forse non è una questione molto interessante...
Koolhaas sarà un ottimo curatore. Direi che ha diritto di far quello che vuole e che noi ci fidiamo. In generale, di Koolhaas, Gerhard Richter, Derek Walcott e Steve Albini ci fidiamo. Possono fare tutto quello che vogliono.
pinksummer - Le città si ammalano e a volte muoiono anche, talvolta accade per cause naturali tipo che i porti s'insabbiano, altre volte è una politica infetta a insabbiarle. Genova sta morendo un po', non è irrorata da buoni collegamenti, è dissanguata dall'emigrazione costante. Genova è sempre più bella però. L'Architettura, quella vera, quella della città e per la città, non quella prepotente e individualista delle archistars, potrebbe essere una medicina? Ma non è un gatto che si morde la coda? L'architettura della città, della comunità può prescindere da una politica sana?
Gruppo A12 - No l'architettura non può essere una medicina per la società. Aldo Rossi, tra una sinfonia e un quartetto, a proposito delle relazioni tra politica e città, ci dice che "la città realizza se stessa attraverso una propria idea di città". Città, architettura, opera d'arte sono prodotti della società che le esprime. La qualità dell'architettura dipende almeno altrettanto dalla committenza che dagli architetti. Quindi una buona architettura pubblica è possibile solo quando la committenza pubblica (la politica) è consapevole dell'importanza della qualità dello spazio in cui vivono i cittadini, è convinta della necessità di un progetto coerente per ottenerla ed è determinata a superare tutte le difficoltà che dargli concretezza comporta. Ma non c'è nessun legame tra qualità dell'architettura e "sanità" della politica, per come potremmo intenderla noi oggi. Se rivolgiamo lo sguardo al passato ci accorgiamo che spesso anche regimi corrotti e feroci tiranni hanno prodotto architetture meravigliose.
baukuh - Per la specifica malattia di Genova, l'architettura non può essere una medicina. Solo la politica potrebbe esserlo.
pinksummer - Rispetto a questa riflessione che andrete ad annotare in forma di mostra da noi, muovete da approcci speculativi che conducono a esiti differenti. Voi baukuh rimandate a un pragmatismo che ci piace definire impropriamente "effetto farfalla". Agite pochissimo, ma siete affatto modesti: un fremito di ala appena percettibile, che provoca un ciclone (seppure contenuto e tendenzialmente quantificabile in potenza) di effetti migliorativi dello spazio e di conseguenza della vita in quello spazio. Avete una soluzione e la soluzione cresce e si sviluppa nel ventre dell'architetto.
Mantenendo questo stile inaspettatamente astrologico adatto all'anno appena iniziato, diremmo che Gruppo A12 è cresciuto nutrendosi genuinamente anche e soprattutto di architettura radicale, il vostro linguaggio rivendica la linearità etica modernista, l'utopia è il vostro faro, ma la quadratura cinica del postmoderno non è passata invano, e dunque quella luce che seguite, pur mantenendosi fulgida , incorruttibile e fatata tende a splendere in un mondo alla rovescia, dove il progresso e il mito positivo e positivista dell'eterna giovinezza si schiantano rovinosamente. Voi lo fate schiantate di più amplificando semplicemente il rumore dello schianto. Tendete a non uscire dalla dimensione speculativa, talvolta l'architettura appare un pretesto, ma poi ci si accorge che è la condizione, la pietra fondante. Non avete soluzioni, ma ci viene da pensare che anche se ne aveste qualcuna in tasca vi sembrerebbe ingenuo offrirla, perché non potrebbe essere che parziale rispetto ai problemi che ponete o meglio che la storia pone e sui quali focalizzate per eccesso. In "12/11/1972" la mostra che presentaste nel 2002 da pinksummer, bella, il percorso era dal presente al passato e viceversa, per mostrare e dimostrare come la città possa essere letta come una sorta di diario scritto nell'alfabeto piuttosto oggettivo dell'architettura, in cui vengono annotati, consapevolmente o meno, tutti i cambiamenti della società. Focault entrava dentro al linguaggio e vi dimorava come si potrebbe dimorare dentro a una città di mattoni e cemento in barba alle regole sistemiche di Giorgio Grassi elencate, analizzate e interpretate da baukuh nel loro "Due saggi sull'architettura". Nel nuovo progetto partite dal presente e il futuro lo deducete (noi sceglieremmo però il verbo evocare).
A Genova comunque vedere le farfalle è improbabile quanto incontrare Tredicino che corre dentro allo stivale delle sette leghe.
Cosa presenterete da pinksummer?
baukuh - Noi presentiamo una cosa molto semplice: un progetto che si intitola “Demolire Genova” e che propone la demolizione dell'1% del volume edificato di una città che negli ultimi venticinque anni ha perso un quarto della sua popolazione e che, allo stesso tempo, vive in una condizione idrogeologica disastrosa. Si tratta di un lavoro che è parte di una ricerca più ampia, che si intitola “Genova meno uno percento” (www.genovamenounopercento.it) e che coinvolge anche altri studi di architettura genovesi (Gosplan, OBR, Sp10, Una2) e che vuole richiamare l'attenzione su un problema e su una possibile opportunità che la città rischia di ignorare. Il progetto è descritto da due grandi disegni che restituiscono la situazione attuale e le trasformazioni proposte utilizzando come caso di studio la valle del Bisagno. Nonostante il titolo volutamente terrificante, “Demolire Genova” suggerisce una politica di demolizioni molto minute, piccoli, cautissimi interventi “chirurgici”. Questa cauta strategia consentirebbe di incrementare la quantità di suoli permeabili, di spazi verdi e di spazi pubblici a disposizione della città. Gli interventi proposti sono deliberatamente poco appariscenti; nei due disegni la differenza tra la situazione attuale e lo scenario proposto è pressoché impercettibile, eppure riteniamo che queste modeste trasformazioni potrebbero riattivare pezzi di città e promuovere quindi trasformazioni più ampie.
In fin dei conti, non ci stanchiamo di ripeterlo: noi siamo realisti. Se c'è una cosa che non ci interessa, sono le utopie. Le cose che proponiamo si possono sempre fare, anche se forse richiedono un piccolo cambiamento di prospettiva.
Gruppo A12 -Ritorniamo a rivolgere il nostro sguardo alla città di Genova concentrandoci su un fenomeno generale che qui si presenta in maniera particolarmente evidente: il progressivo invecchiamento della popolazione nella società occidentale. E’ una tendenza che si appresta a raggiungere un punto di soglia critica e ci interessano le possibili conseguenze sull’organizzazione delle città e dei loro spazi. Se rivolgiamo lo sguardo al passato, di fronte a cambiamenti di questo genere solo le avanguardie artistiche ed il pensiero utopico sono riusciti a proporre visioni dotate di un respiro sufficientemente ampio. Tuttavia, nel loro slancio verso il futuro, tutte le visioni utopiche o radicali hanno sempre posto al loro centro un uomo sano, nel pieno delle sue energie e potenzialità, della sua maturità e delle sue capacità produttive e riproduttive. Cosa succede invece se proviamo a mettere al centro di un’utopia un idealtipico uomo anziano? Un uomo, o una donna, che ha oltrepassato la soglia dei 65 anni e deve fare i conti con una condizione di debolezza se non di malattia? E soprattutto cosa significa costruire una visione urbana per una città dedicata e costruita su misura per questo genere di persone? In mostra presenteremo una raccolta di appunti per il progetto di una nuova utopia urbana, interamente dedicata agli anziani.

pinksummer - Una domanda per A12 ispirata da un articolo recentissimo (oggi) apparso sul Domenicale del Sole. Il progetto che andrete a presentare da pinksummer muove dall'idea di statistica e di probabilità per leggere un futuro non proprio radioso. Carlo Rovelli nell'articolo afferma che "La probabilità è la gestione oculata e razionale della nostra ignoranza", e che "Il teorema di Bayes fornisce una formula per calcolare come cambia la probabilità da attribuire a un evento, quando vengo a sapere qualcosa di più". Rispetto alla propensione della popolazione genovese a invecchiare oltre misura, avete per caso individuato una possibile varianza, quantomeno su scala locale, alla decadenza, che non sia un maremoto, la carestia, la guerra o la pestilenza?

Gruppo A12 - Da una rapida indagine su internet apprendiamo che il teorema di Bayes sta alla base dei filtri anti-spam dei programmi e-mail, ovvero è grazie a quel teorema se perdiamo messaggi di importanza vitale, senza riuscire ad evitarci quotidiane proposte di improbabili business da parte di sedicenti ex ministri centroafricani... quindi non siamo granché fiduciosi al riguardo. Tuttavia nel 1999 Nitin Desai, Sottosegretario Generale delle Nazioni Unite per gli Affari Sociali, in occasione del lancio dell’Anno Internazionale delle Persone Anziane, affermava: "La longevità è un successo. È qualcosa che gli esseri umani hanno voluto fin dall’anno zero! Il fatto che la stiamo raggiungendo non dovrebbe essere considerato un problema. Dovrebbe essere considerato una conquista.” Noi aggiungiamo che, sempre dall’anno zero, l’apertura al cambiamento ed un atteggiamento progettuale e visionario si sono sempre dimostrati strategie particolarmente efficaci in situazioni difficili.

GRUPPO A12 / BAUKUH

Opening Saturday 2 February, 2013, 6.30 pm

Press release

pinksummer - Dramatic and frightening is the image you have chosen for the invitation card of your exhibition at pinksummer. The same angel on the Ribaudo family's tomb at the cemetery of Staglieno, that was chosen by the Joy Division for the cover design of their single” Love we will tear us apart”. Let's start from what Baukuh and Gruppo A12 have in common: Genoa and Stefano Boeri first, not to mention architecture itself. Did the common imprinting from the city, its genius loci, only taught you how to get away as fast as you can? What about Boeri's social (political?) approach?
baukuh - Beyond the - obvious - association with the “terminal” condition of Genoa, city of older people and most of all of no interest for whichever future, we chose the angel of Joy Division a little by chance. In a sense, it is also significant that this image of Genoa was produced outside the city, which is by now our condition. Moreover in our case, we (five on six) are not even from Genoa. At a certain point we have chosen to work there, then we have preferred to move the studio and now we would like (at least partially) to reopen our studio in Genoa. It is maybe because we are architects, we do have a very little sentimental relationship with the city. Cities can be used for some time, then you may change idea, then maybe you changes idea once again. About Genoa's genius loci, speaking from our position of people who come from outside, we do not dislike it. Sure, it is clearly suicidal, but it has its own greatness.
As far as Stefano Boeri, that was an Hobson choice, as there were not a lot of other options. I do not know if you have an idea of the situation of the architecture in Italy at the end of the Nineties. Therefore even those, whose interests were rather distant from Stefano's, ended up to work with him almost unavoidably. Also Stefano is an extremely intelligent and generous person, able to gather together very diverse people. And he has the virtue of not considering itself a loser, which, while working with him, gave you the impression - completely exceptional in that context - that it could even happen that you may not be a loser, you either.
Gruppo A12 - We are two groups of architects, we share the same dimension of collective work too, even though carried out with different modalities and stories, and probably we are different even in our relationship with the city and Stefano Boeri. Joy Division’s song it is about a tormented love and Genoa is not an easy city. Learning to see it a little like the eyes of someone from outside do is a useful exercise that would be healthy for all Genoese people. Concering Stefano, we have met him in the beginning of the Nineties, when we were a little more than twenty years old. A little older than thirty five, he was at his first teaching assignment as associate professor. For sure that was a breath of fresh air in a rather creacky academic system, with the ability of involving you and let you feel you at par as a plus one. A12 was being born just in that period and from there a series of collaborations is been born, even though they did not continued then therefore over a long time span.
pinksummer – Somewhere we read that after the end of the classicism and the sunset of modernism, for architecture we are in the time of post-critic, of post-theory, probably just post and that's all (also for visual arts we are in the imperative hit-and-run of the curator, somehow close to the sell-earn-and-regret of the finance, agnostic or boor as it might be). In that sense, architecture is meant to be a trade sunk into the mere pragmatism and, in the same sense, the exhibition at pinksummer could always be considered an aporia, an impossibility, an absurdity, or just a loss of time?
Gruppo A12 - Actually in architecture, in front of the economic crisis that has hit in the heaviest way the real estate industry and in front of the discipline that has been lain down on the stylistic marks of some professionals of fame, we see an uprising interest for drawing, speculative projects (in terms of theory of knowledge, not real estate speculation) and for all what can pretty much represent the purest research to architecture. One can say that the majority of our activity as a groop has been based on that kind of research, even though, because of our much more pragmatic than theoretical attitude, everything has been ending up in temporary installation instead of texts, diagrams or big that has been translate in ephemeral installations instead that witnesses, diagrams or large drawing plates.
Regarding the abuse of “post”, that is probably due to a defect of the critics, that is not capable to define anything if not in connection with what it happened before.
baukuh - To be honest, there is very little pragmatism/profiteering at the moment. As real estate market seems to be dead and never resurrect (and probably it will not resurrect, at least as we have been knowing it so far), within a 35% juvenile unemployment scenario, it seems difficult to imagine that one can be so busy in making good money that he is not able to have an exhibition.
For what concerns all that list of post-something that you have mentioned, we believe that it is a perspective, which does not help very much. Perhaps it is just the fundamental assumption of the whole modernism and postmodernism that should be discussed. We cannot think in terms of an univocal historical development, to which we just should clutch, as if the Zeitgeist was riding a motorcycle and were attached like a sidecar. I would say that Latour has made clear enough that this type of modernity is just superstition.
pinksummer - A silly question for baukuh. Concerning your Two Essays On Architecture (Due saggi sull'architettura, Genova, Sagep editori, 2012), we have been thinking at a much arbitrary comparison to the movie “Amadeus” by Milos Forman. Giorgio Grassi is Salieri, poor thing, and Aldo Rossi is the Mozart of the history of architecture, poor thing?
baukuh - “Amadeus” by Forman is one of the more stupid movies of all the time and Mozart simply looks like a dumb guy possessed by a superior spirit, which is exactly what we do NOT think about intellectual work. Working is a hard work for everybody, and for sure Mozart was not such a lucky lunatic as he is pictured by the movie (that we consider totally fascist for giving such an idea of the art)
Therefore the answer is that Grassi is Salieri and also Rossi is Salieri, but above all also Mozart is Salieri, even because otherwise it would be just a jerk.
pinksummer - A question for Gruppo A12. Something on your participations to the Kröller-Müller Museum and to the Venice Biennale of 2003: does it persist any substantial difference between architectonic "system" or even "architectonic device" (these being the definitions of your work, that we heard on those occasions) and actual architecture? And in case that difference exists, is it just a matter of temporality or even of responsibility?
Gruppo A12 - Those terms have a specific meaning and they have been used to describe our interventions probably because our answer to a particular typology of architecture (the temporary exhibition pavillon) was much wider than a mere solution of the architectonic theme in terms of form and function and opened a reflection on nature of collective space and the urban condition. Both of those participations can be considered some sort of manifesto for a rather precise idea of architecture, generally valid. Their ephemeral nature, on which many people focused, has been completely accidental to us and is related to the fact that, for several reasons, contemporary art exhibition are almost the only context, where we manage to express such ideas.
pinksummer - Do you have any relationship with vernacular architecture?
Gruppo A12 - For some reasons, it is impossible not to have it (believe it or not, even the "cultivated" architecture or “auteur architecture" origins from there). We cannot say that we have a specific interest for the topic or a particular “taste” for vernacular aesthetics, traditional construction techniques or spontaneous architecture, even if the appearance of some our jobs could recall self-made constructions, which is one of the possible interpretations of the term that you used. Our approach to the construction of the project, also in about its formal aspects, is much more conceptual.
baukuh - We don't.
If “vernacular” refers to the achievement of some minority to sympathize with, of some poor thing to whom you give something to charity to set your mind at rest, then it is ethically disgusting. We do not believe at all to the “architecture without architects”, that it is always and solely architecture made by “architects” (because such are they, even if they do not have the stamp of the order) overwhelmed, forgotten, exploited. If this “architecture without architects” has reached some formal achievement - as most of the time did - it was always just because there the awareness of a project and therefore an architect was there, even though his track got lost.
If instead by “vernacular” you mean simply a picturesque appeal, where everything is a little blurred, a little adjusted, a little more gentle, a little more innocuous, that is just crap.
pinksummer - Rem Koolhaas the Superdutch is going to be the curator next Venice Biennale of architecture. What do you think about it?
A12 Group – That follows last year trend of entrusting the direction of the Biennale to important international architects rather than architecture critics or theorists. Of course, Koolhaas is an architect whose activity is equally shared between research and building practice, one of the most influential personalities who have radically changed the way of making architecture during last 30 years. Therefore we are curious to see how he will carry out that assignment.
baukuh - Koolhaas has nothing to do with the “Superdutch”, the title of a book by Bart Lootsma, that used to piss off people about ten years ago, but that now is just touching. Moreover Koolhaas has always disliked that book and of course you cannot blame him for “Superdutch”. On the contrary, you can blame him for having raged at that Bart Lootsma, poor devil who ended up emigrating to Austria, but maybe the issue is not very interesting...
Koolhaas will be an excellent curator. I would say that he has the right to do whatever he likes to and we trust him. Overall, we trust in Koolhaas, Gerhard Richter, Derek Walcott and Steve Albini. They all can do whatever they want.
pinksummer - Cities get ill and sometimes they die too. Sometimes that happens for natural causes, like the sanding up of harbors, other times is an infected politics that slow them down to death. Genoa is dying a little bit, it is not basted by good connections, it is bleed white by the consistent emigration. Genoa is more and more beautiful though. Could the Architecture, the true one, the one of the city and for the city, not the overbearing and the individualist one of archistars, be a medicine? Isn't it a dog chasing its own tail? Can the architecture of the city, of the community, prescind from a healthy politics?
Gruppo A12 - No, architecture cannot be a medicine for the society. Aldo Rossi, between a symphony and a quartet, on the relationships between politics and cities, says that " the city actualize itself through its own idea of city". City, architecture, artwork are products of the society that they express. The quality of the architecture depends at least equally on both the patronage and the architects. Therefore, a good public architecture is possible only when the public patronage (politics) is aware of the importance of the quality of the space where citizens live, it is convinced of the necessity of a consistent planning to obtain it and it is determined to face all the difficulties of making that happen. But there is no link between quality of the architecture and "health" of politics, as we mean it today. If we look back at the past, we realize that often also corrupted regimes and ferocious tyrant have produced wonderful architectures.
baukuh - For Genoa's specific disease, architecture cannot be a medicine. Only politics could it be.
pinksummer - Regarding the reflection that you are going to elaborate in form of exhibition at our gallery, you move from different approaches leading to different outcomes. baukuh refer to a pragmatism, that we like to improperly define "butterfly effect". You act very little, but you are everything but modest. A barely perceivable quiver of a wing provokes a cyclone (even though contained and tendentially quantifiable in terms of power) of effects that improve space and, consequently, life in that space. You have a solution and the solution grows and develops inside the belly of the architect.
Keeping on with this unexpectedly astrological style, good for the year just begun, we would say that Gruppo A12 has grown bigger on genuine food and, most of all, on radical architecture. Your language claims the ethical linearity of modernism, utopia is your beacon, but the cynical quadrature of postmodernism was not in vain, therefore the light you follow, still shining, incorruptible and enchanted, tends to shine on a wrong way round world, where progress clashes with the positive and positivistic myth of eternal youth. You let it crash louder, by simply amplifying the noise of the crash. You tend not to get out the speculative dimension. Sometimes architecture seems like a pretext, but then one notices that it is the condition, the foundation stone. You do not have solutions, but we suspect that, even if you had some in your pocket, it would look like ingenuous to you offering it, because that could be nothing but partial, compared to the problems you pose or, better, that history poses and that you round-off upwords.
12/11/1972, the beautiful exhibition that you presented at pinksummer in the 2002, developed from the present to the past and vice versa, in order to show and to demonstrate how a city can be read as a sort of diary, written with the rather objective alphabet of architecture, where all the changes of the society are consciously or not recorded. Focault entered into the language and he inhabited it as one could inhabit a city of bricks and mortar in spite of the systematic rules by George Grassi, analyzed and interpreted by baukuh in their essay Due saggi sull'architettura. In your new project you start from the present and you deduce the future (we would rather use the verb to evoke).
Anyway, seeing butterflies in Genoa is as improbable as coming across Tredicino that runs after the seven-league boot.
What will you present at pinksummer?
baukuh - We present something very easy: a project called “Demolishing Genoa” that proposes the demolition of 1% of the built-up area of a city, that has lost a quarter of its population in the last twenty-five years and that, at the same time, is in a disastrous hydrogeological situation. The work is part of a broader research, titled “Genova meno uno percento” (www.genovamenounopercento.it) that involves other Genoese architecture workshops (Gosplan, OBR, Sp10, Una2) to point out a problem and a possible opportunity, that the city risks to ignore. The project is described through two large drawings that represent the current situation and proposed transformations by using as sample the Bisagno valley. In spite of the intentionally terrifying title, “Demolishing Genoa” suggests a program of very tiny demolitions, small, very cautious “surgical” interventions. This cautious strategy would concur to increase the amount of poriferous grounds, greens areas and public spaces available to the city. The intervention we present are purposely not very showy; the difference between the current situation and the proposed scenario visualized by the two drawings is almost imperceptible. Nevertheless we think that such minor transformations could reactivate some parts of the city and hence promote wider transformations.
In the end, we do not get tired of repeating it: we are realist. If there is something we are not interested in, that is utopia. It is always possible to make happen what we propose, even though perhaps to do that a small change of perspective is needed.
Gruppo A12 - Let's get back to Genoa and focus a general phenomenon that here is particularly sensible: the progressive aging of the population in western society. That is a trend that is going to reach a critical point and we are interested in the possible consequences on the organization of the cities and their spaces. If we look back to the past, in front of such kind changes only avant-garde movements and utopistic thinking have been able to provide enough large-scale visions. However, in their leap towards the future, all the utopic or radical visions have been always based on an healthy man, full of energies and potentiality, mature and effectively productive, endowed with reproductive abilities. What happens instead, if we try to put in the center of our utopia a typical old man? A man, or a woman, older than 65 years, who needs to face a condition of weakness if not illness? And most of all, what does it mean to design a city devoted and purposely built for that kind of people? What we are going to display in our exhibition is a collection of notes for planning a new urbanistic utopia, entirely dedicated to old people.
Pinksummer - A question for A12, inspired by a very recent article appeared today on Sunday issue of the newspaper Il Sole 24 Ore. The project you are going to present at pinksummer moves from statistics and mathematical probability to read a not-so-bright future. In his article, Carlo Rovelli affirms that "probability is the careful and rational management of our ignorance" and that "the theorem of Bayes supplies a formula for calculating the probability for an event to occur, when I end up knowing something more about it". Concerning Genoa inhabitants inclination to get older and older, did you by chance find, at least on local scale, any possible alternative to decay, different from seaquake, scarcity, war or epidemy?
Gruppo A12 - After quickly surveying on the Internet, we have learnt that the theorem of Bayes find its application in anti-Spam filters and e-mail programs, which means that it is thanks to that theorem that we lose messages of vital importance, without any success in avoiding daily proposals for improbable business from self-styled Central Africa ministers… therefore we do not really trust in that. However in 1999 Nitin Desai, Under-Secretary-General for Economic and Social Affairs of the United Nations, on occasion of the launch of the International Year of Older Persons, asserted: “Longevity is a success. It is something that human beings desired since year zero! The fact that we are achieving it would not be considered a problem. It should be considered conquest.” We add that, since year zero on, open to change and project-oriented, visionary attitude always turned out to be effective strategies in difficult situations.