Guglielmo Micheli – 1866-1926

Informazioni Evento

Luogo
PINACOTECA CARLO SERVOLINI
via Umberto I, n. 63, Collesalvetti, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

tutti i martedì e i giovedì, 16.00-18.00
ingresso gratuito
APERTURA STRAORDINARIA PER PASQUETTA, ore 15.00-18.00
Visite guidate gratuite a cura di Francesca Cagianelli

Vernissage
29/11/2012

ore 17

Biglietti

ingresso libero

Patrocini

Promossa dal Comune di Collesalvetti nell’anno del centenario di Giovanni Pascoli, realizzata con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno e in collaborazione con il Museo Civico G. Fattori e l’Istituto Vespucci–Colombo

Artisti
Guglielmo Micheli
Curatori
Francesca Cagianelli
Generi
personale, arte moderna

La mostra Guglielmo Micheli 1866-1926. Emozioni verso l’impressionismo e il divisionismo, è curata da Francesca Cagianelli, conservatrice della Pinacoteca “Carlo Servolini”.

Comunicato stampa

Promossa dal Comune di Collesalvetti nell’anno del centenario di Giovanni Pascoli, realizzata con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno e in collaborazione con il Museo Civico G. Fattori e l’Istituto Vespucci–Colombo, la mostra Guglielmo Micheli 1866-1926. Emozioni verso l’impressionismo e il divisionismo, è curata da Francesca Cagianelli, conservatrice della Pinacoteca “Carlo Servolini”.
La mostra (29 novembre 2012 – 4 aprile 2013) si svolge nell’occasione delle celebrazioni del Centenario di Giovanni Pascoli, grazie alla riscoperta di un prezioso album per pianoforte, edito da Ferrigni & Cremonini (s.d., ma fine XIX), dal titolo Inspirazioni, con versi di Giovanni Pascoli, musica di Carlo Carlini e illustrazioni di Micheli, sulla scorta del quale si è riusciti a risalire alla genesi del raffinato e inedito studio preparatorio ideato dall’artista per la poesia pascoliana Il nido, conservato presso la “Casa Museo Giovanni Pascoli” a Castelvecchio di Barga, e quindi dedurne un sodalizio finora mai riscontrato in sede storico-critica e invece fondamentale, a nostro avviso, per ricostruire a Livorno l’epoca aurea dell’insegnamento pascoliano e le cruciali vicende artistiche ad esso congiunte, certificate nel 1894 dalla fortunata congiuntura illustrativa della terza edizione delle Myricae.
Gli anni della presenza pascoliana a Livorno coincidono tra l’altro con l’insegnamento di Micheli all’Istituto “Amerigo Vespucci”, oggi Vespucci-Colombo, durante il quale l’artista si cimenterà infaticabilmente in imprese editoriali illustrate destinate al pubblico scolastico: si tratta di numerose cartelle di disegni a serie, pubblicate dalla tipografia livornese Meucci, tra cui l’Ornato; il Disegno elementare; Scomposti e Formelle geometriche per uso di esame; l’Ornato a chiaroscuro per uso degli Istituti tecnici; Disegni di fiori e foglie, alcuni disegni preparatori dei quali sono conservati presso lo stesso Istituto e sono stati selezionati nell’ambito del percorso espositivo colligiano.
Sodalizi magistrali, non si stenta a dirlo, quelli appena citati, in una Livorno che si affaccia all’alba del Novecento con un patrimonio di intellighenzie artistiche e letterarie di eccezione.
Ed eccoci giunti al Museo Civico G. Fattori di Livorno, con il quale la mostra promossa dall’Amministrazione colligiana ha instaurato una collaborazione non formale, vista l’entità delle opere micheliane conservate presso tale museo a seguito della donazione del 1950 predisposta dalla figlia dell’artista, Gina Maria Micheli, votata quest’ultima, senza riserve, alla conservazione e alla valorizzazione della memoria del padre.
Questa importante triangolazione tra Pinacoteca “Carlo Servolini”, Istituto Vespucci-Colombo, Museo Civico G. Fattori, vedrà impegnate tali istituzioni tra il novembre 2012 e l’aprile 2013, in una sinergia promozionale e didattica volta a ricostruire finalmente la dignità della memoria di Micheli, pesantemente condizionata dal riverbero dell’alunnato fattoriano da una parte e i clamori dell’insegnamento impartito ad Amedeo Modigliani dall’altra.
L’ampio ed articolato percorso espositivo, costituito da dipinti, tecniche miste, disegni e incisioni, vede la presenza di numerosi capolavori noti, così come di significativi inediti: tra i primi è da citare il monumentale Guardiani di oche (1891), tra gli incunaboli del naturalismo idillico e garbato di Micheli; inoltre i due ritratti della moglie, provenienti dal Museo Civico G. Fattori, entrambi diversamente aggiornati su stilemi ritrattistici Belle Epoque, condivisi con colleghi toscani quali Ulvi Liegi e Leonetto Cappiello; infine alcune testimonianze esemplari del genere marinaro quali Barcone in porto (1890-1895, collezione privata, San Miniato), volte a declinare sintesi luminose di ascendenza impressionista secondo un vocabolario cromatico calibrato in prossimità della banchina livornese, concepita quale vero e proprio atelier da Micheli e la sua ormai rinomata scuola di artisti livornesi, primi tra tutti Llewelyn Lloyd, Gino Romiti, Giulio Cesare Vinzio, Manlio Martinelli e Amedeo Modigliani; né bisogna dimenticare alcuni episodi della sua seconda produzione, trascuratissima quest’ultima dalla critica a causa dell’elaborazione di un lessico autonomo, ormai definitivamente svincolato dai dettami fattoriani, quella cioè avviata nel corso delle sue pellegrinazioni in tutta l’Italia, dal Piemonte alla Sardegna, legate all’incarico di insegnamento: in particolare quel Paesaggio cortonese o Strada di paese con bambina, appartenente alla collezione della Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno, dove il filone idillico della sua primissima stagione riemerge stavolta purgato da ogni inflessione descrittiva, per modularsi secondo più impercettibili e disinvolte armonie cromatiche e luminose. Trascorrendo alle rivelazioni della mostra, ovvero a quegli inediti riemersi alla fruizione del pubblico e degli studiosi, per spazzar via ogni equivoco in merito all’effettivo ed autonomo talento espressivo micheliano, è da citarsi innanzittuo quello straordinario Studio di fanciullo, ascrivile alle primissime fasi della carriera dell’artista, che nella raffinata contrapposizione dei timbri cromatici, intinge la consueta tipologia ciociara adottata da Giovanni Fattori e Plinio Nomellini in un bagno di nuove idealità linguistiche; è poi la volta del ritrovato Barche vinaie, riprodotto da Luigi Servolini nel 1929 sulle pagine della rivista cittadina “Liburni Civitas” con il titolo Nel porto, ma riapparso solo in quest’occasione espositiva, che si è voluto fortemente incoronare quale icona della mostra e del catalogo, per la possente e stringata impaginazione, precorritrice di tanti scenari portuali siglati da Mario Puccini; e ancora, per restare nell’ambito del prediletto panorama portuale, quel Porto di Livorno (1890-1895) che segna una sorta di inaugurazione di quella seconda fase della carriera micheliana, ritenuta da alcuni, in primis Luigi Servolini, non sorda agli echi impressionisti e divisionisti filtrati con ogni probabilità dalla debordante personalità di Giuseppe Pellizza da Volpedo.
In contatto con quest’ultimo fin dagli anni della frequentazione dei corsi fattoriani all’Accademia di Belle Arti di Firenze, Micheli dovette approfondire il sodalizio con il Piemontese forse anche nei frangenti della partecipazione alle riunioni della bohème fiorentina gravitante attorno a quell’ormai mitica Trattoria del Volturno, destinata a divenire sede non episodica dell’aggiornamento divisionista di tanti labronici in orbita fiorentina.
Ed ecco dunque profilarsi un dialogo davvero esclusivo, quello tra Micheli e Pellizza, finora addirittura rimosso dalla storiografia critica – con l’eccezione, come si è visto di Servolini - e invece riportato alla luce in occasione della recente mostra rodigina dedicata al Divisionismo Italiano, che in catalogo resta il pernio centrale della riscoperta di Micheli come interlocutore privilegiato del divisionista piemontese in Toscana, come tra l’altra testimonia la corrispondenza epistolare intercorsa tra i due, dove riemerge una fitta trama di confessioni, confronti, evoluzioni, apprezzamenti, distinzioni.
Non si stenta allora a dire che, grazie al caso mihceliano, la presenza di Pellizza in Toscana costituisce uno degli snodi dell’affermazione di una più moderna consapevolezza luminosa, non necessariamente inquadrabile, almeno per Micheli, negli argini di un sistematico procedimento di scomposizione ottica, ma certamente introduttiva ad una ineludibile volontà di superamento del macchiaiolismo ottocentesco.
Si è dunque certi che quel processo di risoluzione e consumazione della macchia profilato nel 1939 da Enrico Somarè, forse uno dei biografi più attenti, per quanto, certo, non del tutto lungimirante, di Micheli, coincida con quell’effettivo slancio pionieristico messo in atto dall’artista, non finalizzato esclusivamente alla virtuosa formazione degli allievi livornesi - come invece finora è stato troppo frettolosamente asserito dall’intera compagine critica toscana ed italiana - ma coincidente con un autonomo profilo evolutivo di fuoriuscita dalla macchia.
Un destino di precursore, quello di Micheli, come si è voluto delineare programmaticamente nel titolo del saggio monografico in catalogo, che restitutisce finalmente all’artista livornese quella congrua statura di dignità espressiva finora negatagli pressochè all’unanimità, tanto rispetto ai prodromi macchiaoli, quanto rispetto alla stagione di avanguardie imboccata dall’allievo Modigliani.