Guido Gosta – Corpi Strappati

Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA BIOTOS
Via XII Gennaio 2, Palermo, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

tutti i giorni dalle ore 17.00 alle ore 20.00 (mattine, lunedì e festivi su appuntamento).

Vernissage
17/04/2013

ore 17

Artisti
Guido Gosta
Curatori
Marco Pomara
Generi
fotografia, personale

La personale di Guido Gosta, curata da Marco Pomara, è un percorso espositivo rievocativo ed emozionante tra tele impresse da colori ed acidi, ma soprattutto da ricordi fatui.

Comunicato stampa

La personale di Guido Gosta, curata da Marco Pomara, è un percorso espositivo rievocativo ed emozionante tra tele impresse da colori ed acidi, ma soprattutto da ricordi fatui.
La mostra, che s’inaugura mercoledì 17 aprile alle ore 19.00 presso lo Spazio βquadro del Centro Culturale βiotos, sarà visitabile gratuitamente tutti i giorni dalle ore 17.00 alle 20.00 (su appuntamento nei giorni festivi, lunedì e mattine).

Una nuova mostra di Guido Gosta, un evento che non ci è possibile classificare, né come fotografico, né pittorico, né altro di convenzionale o conosciuto.
I lavori di Guido Gosta non sono nulla e sono tutto, ma fra tutto certamente più di ogni altra cosa sono poesia, una poesia che non vuole essere nè garbata nè interessata, né accomodante.
Una poesia diretta..., qualcosa di nuovo.
Un cancro dell’anima.
Immagini malate con vistose alterazioni, come lebbra, come cancro.
Ma c’è qualcosa di insolito che inquieta, questo cancro non appartiene a questi corpi rappresentati, egli è sopra di essi e si avverte un movimento inconsueto nella comunicazione tra fotografo e soggetto.

Qui non è la luce a colpire il soggetto e poi rimbalzare verso l’obiettivo, al contrario si sente che qualcosa si muove preponderante dal fotografo verso un soggetto ignaro...
E’ un cancro dell’anima che colpisce e lacera un corpo quasi inebetito dalla sua stessa bellezza.
E si avverte in ogni immagine che l’obiettivo non riceve, non “prende” la fotografia, ma spara con inaudita e crudele violenza.

Il poeta del disordine emotivo

Fotografare come Guido Gosta certamente richiede una discreta dose di scissione emotiva.
Se da un lato infatti emergono costruzioni geometriche accademiche, composizioni attente, un impeccabile utilizzo di luci ed ombre, l’utilizzo di apparecchiature di medio formato o a banco ottico ed illuminazione curata in studio, sempre sapientemente calibrata, poi, successivamente, irrompe un’orda distruttrice che attacca tanta perfezione, tanta precisione e tanta cura.

E’ l’intervento inconscio della creatività che si ribella al sapere, che maltratta e violenta architetture tanto sapientemente e tanto pazientemente costruite per lasciare solo un senso di lacerazione e di erosione.

Un primo tempo, dietro l’apparecchio fotografico, come a voler dimostrare la perfetta conoscenza di tutte le regole del gioco e poi, dopo aver realizzato un buon esercizio di stile, accorgersi che solo l’emotività e la suggestione appartengono alla vera arte.

Le immagini che ci propone Guido Gosta, contengono qualcosa di profondamente insano, che non è malattia, ma il faticoso percorso della trasgressione che può vivere solo assecondata dalla perfetta conoscenza del sapere e dalla piena coscienza di quanto pesino le regole..

Non solo quindi elogio dell’imperfezione e dell’imprecisione, queste immagini sono da vedere dal vero, per coglierne l’energia, da toccare per sentirsi irradiare d’emozione...
... Da non perdere.

Sineddoche e metonimie

Ad un primo impatto questi "Strappi" di Guido Gosta si avvertono principalmente emotivi e spingono chi osserva a porre in contrapposizione forma e contenuto, corpo ed anima, presenza ed assenza.

Dopo il tempo necessario, scandito dall'autore, si evince che non traspare alcuna anima, bensì un inquietante vuoto che rapisce l'osservatore.

Il vero realismo che traspare, è quello fra il dentro ed il fuori del fotogramma.

Queste immagini sono sineddoche, metonimie, ogni dettaglio messo in luce ci parla di qualcosa nascosto in ombra, ogni evidenza a fuoco ci richiama un’evidenza sfumata, ogni corpo presente è in stretto rapporto con qualcosa che si avverte lì, fuori dal fotogramma, ma che fa parte integrante di esso.
Vi è sempre un richiamo fuori dai bordi, come la presenza preponderante del fotografo in "Nudo di bambina", come nei bordi marcati della pellicola che ci parlano d’altro fuori dalle righe.
E il rapporto tra il fuori e il dentro è sottolineato anche dall’insofferenza dell’autore per i bordi netti, che volutamente rompe ed irrompe con presenze/assenze tanto simboliche quanto ingombranti.
Attraverso questa frastagliatura si instaura quella comunicazione che fa di ognuno di questi lavori una “rosa purpurea del Cairo”.

Presentazione delle opere.

"Strappi, evocazioni antiche, dolorose, quaderni di prima elementare, disubbidienza alle regole, persone care che non ci sono più.
Non sono propriamente una tecnica né esiti di un percorso artistico.
Le parti di emulsione che mancano simulano così l’intervento del tempo; l’assenza (che presuppone sempre una presenza) rappresenta una soglia da oltrepassare con fatica, un varco per l’anima, un passaggio doloroso per addentrarsi nel vuoto e nel ricordo.
I miei strappi sono un impulso irrefrenabile che mi accompagna da tempo, più precisamente gli esiti di una mia personale esigenza interiore.
Aggressione come è stata definita, irriverenza nei confronti delle immagini, bisogno di non considerare mai un immagine come qualcosa di definitivo e necessità di eseguire sempre un ulteriore intervento, qualcosa che viene da lontano, credo dalla mano di bambino che parte involontaria a disegnare baffi ed occhialini sulle figure del libro di lettura o del sussidiario.
E non ho mai smesso di essere irriverente con le immagini, mie o di altri, con l’aiuto di tutti gli strumenti (di tortura) che conosco, forno e freezer, fiamma, abrasioni, lacerazioni, acidi , funghi, muffe.
Con l’arrivo del digitale poi, ho scoperto il piacere di pasticciare con le mani negli inchiostri freschi, mescolandoli e plasmandoli in tutti i modi possibili.
Questi interventi introducono nel procedimento un'innumerevole serie di varianti che determinano l’impossibilità di controllo dell’intero procedimento.
Il risultato è unico perché dipende da una serie di successive casualità in cui l’esperienza manipolatoria può solo garantirne una base operativa costante.
Di fatto il procedimento è essenzialmente alchemico e, in quanto tale, tutte le valutazioni connesse sono da relazionarsi al risultato che si intende perseguire ed al personale senso estetico.
Ma il legame con il procedimento è doppio: da un lato cerchi di utilizzare l’esperienza per codificare il processo e spingere il risultato nella direzione insita all’immagine di partenza, dall’altro è l’estrema casualità ad imbrigliarti in percorsi improbabili.
Comunque persiste un aspetto essenzialmente anche fotografico, e non perchè sono fotogrammi i punti di partenza.
Dopo i vari interventi perpetrati su questi bellissimi corpi, l’immagine si deteriora fino alla morte, fino quasi alla scomparsa totale di qualunque cosa di riconoscibile, ed in questo percorso c’è un momento in cui si determina un perfetto equilibrio tra il comprensibile e l’irriconoscibile.
Fermare questo momento, cogliere l’attimo, bloccare l’azione del tempo, cogliere il passaggio tra la malattia e la morte, è azione essenzialmente fotografica, come in “Nick’s movie” di Wim Wenders e Nicholas Ray.
Conservo gelosamente in una scatola di legno i resti di queste immagini fermate prima della sopraffazione, e per me suonano un pò come un album di famiglia riscoperto trent’anni dopo.

Aggressioni operate su inchiostri freschi rimescolati e plasmati in tutti i modi possibili: non pittura, non più mera fotografia, ma procedimento alchemico il cui risultato è sempre unico e irripetibile. In questo percorso erosivo della bellezza l’occhio fotografico ferma l’equilibrio tra il comprensibile e l’irriconoscibile facendo così ritorno a ciò che è l’essenza della fotografia.".

Guido Gosta

Recensioni...

In questo percorso erosivo della bellezza, l'occhio fotografico ferma l'equilibrio tra il comprensibile e l'irriconoscibile, facendo così ritorno a ciò che è l'essenza stessa della fotografia.
Stefania Puorto

Il peso ingombrante della bellezza

Corpi strappati, straziati, maciullati di bellissime e languide donne, senza più anima, rotte lacerate e poi trattate con polveri di carbone e pigmenti, finissimi, impalpabili…

L’indagine ci porta a formulare l’ipotesi che Guido Gosta torturi queste immagini per non torturare i corpi stessi, in quanto portatori di bellezza.

L’impressione è che l’autore avverta da subito, sin dal momento dello scatto, il peso della bellezza e quanto questa modifichi e corrompa l’anima, fino ad ingurgitarla del tutto, lasciando soltanto vuote forme fatte di linee, luci, ombre…

Scompare ogni fremito vitale da questi corpi appena prima dell’aggressione dell’autore, che porterà alla totale erosione del corpo stesso.

Egli interviene come una malattia, come il tempo.

E’ fors’anche un discorso su quanto debba essere difficile in questo mondo portarsi dietro il peso “ingombrante” della bellezza.

Alfredo Cannatello

L’eterno feminino di Gosta
Aggressioni chimiche e meccaniche operate su inchiostri a pigmenti; l’esito è una corporeità cromatica che propone strappi, collusioni, sovrapposizioni; un corpo cromatico che costringe alla sospensione, alla pausa, all’approfondimento percettivo che scava nella raffigurazione alla ricerca di un’identità.
Così spiega a chi lo interroga l’autore delle opere, Guido Gosta, mentre lo sguardo indugia curioso su questi corpi magmatici tentato da quanto affiora ora con maggiore evidenza, ora invece sommessamente e ora, infine, con inaspettata difficoltà.
Il gioco degli sguardi è provocatoriamente incentivato dall’investigazione focalizzata sulla presenza di un corpo femminile “strappato”, ritrattato fotograficamente da Guido Gosta.
Il titolo stesso del ciclo sottolinea questa presenza: “Corpi strappati”.
E così alle aggressioni chimiche, meccaniche e fisiche si sommano infine aggressioni psicoanalitiche di stampo freudiano.
Sovviene con l’ultima immortale immagine della Monroe anche un mitico film di Buñuel “L’oggetto oscuro del desiderio”
Sovviene, in margine al medium fotografico, un costante e provocatorio rinnovamento della vetusta oggettività documentaria della fotografia, con segreta soddisfazione dei seguaci di Roland Barthes.
Rolando Bellini
Elisabetta Calcaterra

Strappi come specchi

Ritrovarsi, anche per caso, davanti agli strappi di Guido Gosta sortisce un effetto quanto meno inusuale, queste immagini catturano istantaneamente l’attenzione di chi le guarda, rapendolo dalla realtà circostante e trasportandolo in un mondo senza tempo fatto di meditazione e di ricerca.
Una ricerca non finalizzata a comprendere il soggetto, o un dettaglio di esso: le forme stesse, specialmente quelle mancanti, diventano un pretesto per un percorso interiore e, come davanti ad uno specchio, ciascuno riesce a trovare ciò che soltanto ha.
Queste opere rappresentano un metodo per stimolare la poesia che ciascuno si porta dentro.
Si esce dalla sala sempre cresciuti.

Ernesto Alemani

I primi nudi fotografici dei quali si ha notizia apparvero a Parigi sin dal 1850.
Da allora, il tema del nudo in fotografia è transitato per diverse visioni, approcci e indirizzi di lavoro.
La più comune di tutte utilizza il gioco di luci ed ombre sulla pelle e sui volumi del corpo: luci naturali, artificiali e colorate, tanto in esterni quanto in interni.
Si continua ad utilizzare la posa come elemento espressivo, ma anche come supporto per visualizzare le infinite possibilità di illuminazione.
Un'altra direzione di lavoro riguarda il ruolo dei dettagli, la concentrazione dell’obiettivo su una particolare parte del corpo.
D'altra parte, si è lavorato anche sulle analogie e sulle relazioni tra gli oggetti e le differenti parti del corpo, nell’intento di attivare codici erotici o altre associazioni.
In quanto all'uso del colore sulla pelle, sia applicato direttamente sia setacciato mediante l'uso di filtri o manipolato dalla fotocamera, sulla pellicola o sulla fotografia, si dà risalto tanto all'alterazione dei toni e delle sfumature, quanto alla pigmentazione ed alla grana per creare illusioni strutturali e cromatiche.
La contrapposizione del corpo con gli sfondi, tanto in interni quanto in esterni, il lavoro con la temperatura e la sua influenza sulla pelle ed in generale sul corpo, il gioco con la prospettiva, le relazioni che si stabiliscono tra la nudità, l’acqua ed il fuoco, la distorsione delle immagini, la posizione del modello in luoghi convenzionali quali porte, scale, letti, sedie, e la manipolazione degli abiti durante l’atto del vestirsi o spogliarsi, completamente o in parte, la trasformazione del corpo in un essere surreale, espressionista, pop "a mò di manifesto" o astratto, quando a malapena si percepisce o si immagina la nudità umana, sono altri metodi e direzioni che ha seguito il nudo fotografico negli anni.
Senza dimenticare le infinite possibilità offerte dalle tecniche digitali e dalla pixelgrafía.
... Guido Gosta e il discorso di immagine plurale...
La proposta di Guido Gosta, fotografo partenopeo, bergamasco d'adozione, stabilisce una simbiosi molto singolare tra le due forme contendenti: pittura e fotografia.
Il risultato tecnico è infatti una telografia, che potrebbe essere percepita come una fotografia manipolata dalla pittura o, al contrario, una tecnopittura che si serve della fotografia come punto di partenza.
Di conseguenza, la concezione plurale dell'immagine attiva molteplici tecniche e processi creativi, responsabili delle dissimili qualità tonali, pittoriche e texturali; anche se in quest’ultimo caso si tratta di una texture illusoria.
Le immagini alludono ad una geografia femminile appena tellurica e talvolta anche spettrale.
Gosta lavora affinchè le sue donne "facciano eruzione ed inondino il proprio contorno come lava fusa di vulcani quali esse sono", e per riuscirvi fa uso di un linguaggio molto plastico che più che denunciare le nudità ed i suoi erotismi, li adorna e li arricchisce.
... delle foto...
Nel processo di realizzazione fotografica Gosta utilizza la posa femminile come enunciato sensuale che spesso diventa indizio erotico.
La concentrazione nel dettaglio espressivo ed il gioco con la prospettiva e gli elementi della composizione finiscono per trasformare la nudità in un continente di carne, in un ente monumentale e solido nel quale signoreggiano i torsi, le mani, le labbra e le gambe socchiuse.
I corpi si ritorcono di piacere o si occupano di riuscirci, si accarezzano, si disperano o si dispongono come colline.
La luce appare sfumata per il pigmento, acquisisce una qualità di corpuscolo, di particella visibile il cui effetto ricorda, in qualche modo, le qualità strutturali dei calotipi e dei dagherrotipi ottocenteschi.
Gosta non si conforma alla rappresentazione fotografica di quella "nudità democratica" - a dire dei Greci eroici - della donna, ma si imbarca in un'avventura creativa nella quale la pittura corregge o arricchisce l'immagine e l'espressività della sua fotografia.
... dalle foto alla pittura…
La dinamica creativa di Guido nasce in primo luogo dalla fotografia, poi il complemento pittorico e gestuale, l'effetto di texture e della pigmentazione in superficie, e infine, il ritorno alla foto e l'impressione di un ibrido plurale, pseudoastratto, espressionista e, in alcune occasioni, metamorfico.
Guido si trasforma allora in un pittore-fotografo, nella misura in cui la pittura finisce per sovrapporsi alla fotografia invertendo i ruoli espressivi.
Una delle letture suggerite da tale peculiarità creativa e di linguaggio è quella che si riferisce alla contrapposizione che esiste tra l'immagine attraente e semplice - o semplicemente attraente - della donna e la densità infinita che implica la sua essenza ed il suo concetto.
Ma una lettura potrebbe anch'essere rinvenuta nell'intenzione di dissimulare con elementi plastici l'oggetto del desiderio o del piacere al fine recondito di presentarlo come fatto estetico. Quindi lo spettatore è invitato ad un esercizio di fruizione estetica dell'immagine mascherata di sesso o masturbazione.
Alcuni altri riferimenti alla storia della pittura sono evidenti nel richiamo discreto all’Olympia di Manet o nella manipolazione del linguaggio dei sex simbol nordamericani rappresentati sotto l'apparenza pop.
Le allusioni materiche sono presenti nelle superfici violentate dalla pittura e dissimulate nell'atto della stampa finale su tela.
Gosta riesce a stabilire un matrimonio capriccioso tra la fotografia come presentazione del vero e la pittura come setaccio che rappresenta, attraverso l'utilizzo del colore e la tessitura, quella stessa realtà: la fémmina adámica che seduce ed ubriaca non solo per la sua apparenza gracile ma anche per l’estroversione della sua complicata natura.
Pavel Alejandro Barrios Sosa
Curatore e critico di arti visive
Camaguey, Cuba, 18 gennaio 2011

La tecnica fotografica è come un linguaggio. La tua lingua, può essere la più raffinata, ti puoi esprimere il più sottilmente possibile, ma se non hai nessuna storia da raccontare, nessuna sensazione da attraversare, le tue parole rimarranno vuote.
Pascal Baetens. Nude Photography. L'arte e il mestiere.

Cenni biografici
Guido Gosta nasce a Napoli in Italia nel 1955 in un ambiente ricco di stimoli culturali e si avvicina alla fotografia sottraendo furtivamente un vecchio apparecchio di famiglia
A sedici anni riceve in regalo dal padre una Rolleiflex con la quale inizia un percorso ed una passione che diventeranno ben presto irreversibili.
Sono gli anni in cui frequenta la facoltà di Architettura di Napoli, centro di attività culturali e politiche, partecipando attivamente alle lotte studentesche del ’68, sull’onda del maggio francese.
In questi stessi anni si diletta di politica, poesia, teatro, musica e arti visive, e nel 1974 realizza i primi lavori di nudo in bianco e nero, che resteranno una costante della sua attività.
Ma la sua vera passione la scoprirà in camera oscura. Affascinato dalla chimica dei processi di sviluppo e stampa e sempre aperto alla sperimentazione non convenzionale, transita dalla gelatina d’argento alla gomma bicromata e ancora alle polvere di carbone, realizzando pregevoli lavori.
La scoperta poi dei Transfert Polaroid, su carte di cotone, la manipolazione degli inchiostri lo conducono in percorsi dove l’estro e la sete di sperimentazione si fondono profondamente.
Con la chiusura della Polaroid resterà orfano di quei materiali che gli hanno permesso un utilizzo creativo e non convenzionale della fotografia, sperimenta per alcuni anni la possibilità di ricreare quei processi che utilizzano la casualità per fondere effetti pittorici e fotografici, e finalmente c riesce con l’arrivo del digitale e dei grossi plotter a getto di inchiostro.
Oggi ha al suo attivo numerosi eventi espositivi sia al Nord che al Sud Italia, suoi lavori sono conservati in gallerie private ed insegna fotografia presso diverse scuole e circoli culturali.