H.A.R.I. è un opera che riflette sul concetto di Eco-guilt ovvero un sentimento di colpa che deriva dall’essere consapevoli dei propri comportamenti che danneggiano l’ambiente e il pianeta, come ad esempio l’utilizzo di plastica monouso o l’uso eccessivo di energia.
Comunicato stampa
H.A.R.I.
Performance
19.06.2023
Ore 19.00 - Inizio performance ore 20.00
Presso Centro Artistico Alik Cavaliere
Via E. de Amicis 17, Milano
Info, richieste: [email protected]
Un progetto di Fabrizio Vatieri (IG: @fabriziovatieri) e Oliviero Fiorenzi (IG:@oliviero.fiorenzi)
Con la partecipazione di Francesca Flora (IG: @francesca.flora)
A cura di Angela Vettese (IG: @vetteseangela)
Prodotto in collaborazione con Provinciale 11 (IG: @provinciale_11) per il ciclo di mostre Intramezzi
Ricerca scientifica di Carolina Merlo (IG: @shediditonpurpose)
Testi di: Angela Vettese, Arnold Braho (IG: @arnbrh)
Concept: Fabrizio Vatieri e Oliviero Fiorenzi
Performer: Francesca Flora
Disegni: Oliviero Fiorenzi
Musiche e testi: Fabrizio Vatieri
H.A.R.I
Testo critico di Angela Vettese
Fabrizio Vatieri (Napoli, 1982) e Oliviero Fiorenzi (Osimo, 1992) lavorano insieme per la prima volta. Provengono da esperienze differenti: il primo è soprattutto fotografo, con studi di architettura e una agency poliedrica che include performance e musica, con incursioni nel mondo della radio e della cultura eno-gastronomica; il secondo si è formato in campo artistico attingendo a un lessico fatto di paesaggi naturali, gioco e azioni collettive; recentemente ha usato tessuti e altri materiali leggeri per costruire figurazioni volanti come aquiloni o fluttuanti come tendaggi. Entrambi hanno presente l’importanza di un lavoro che non si arresti soltanto al dato personale e autobiografico, nonché una forte consapevolezza della storia e delle urgenze presenti. Tutto ciò non li esime, però, dal navigare anche in un orizzonte narrativo, nutrito di suggestioni letterarie e musicali.
In occasione del loro intervento al Centro Alik, sono partiti dal personaggio centrale del romanzo Solaris di Stanislav Lem, affresco di un mondo futuro in cui l’uomo è imprigionato in un pianeta ostile, lontano dalla terra e nel quale l’essere è impegnato a difendersi assumendo la forma di un magma intelligente che, all’occorrenza, distacca dei frammenti per costituire unità che ricalcano (ma non sono) realtà terrestri. Questo è Hari, il fantasma o l’immagine della donna amata dal protagonista, un’illusione che potrebbe farlo vivere ma che alla fine, svelato l’inganno, gli toglie il desiderio di resistere, fino a fargli dire: “Di speranze non ne avevo più, però c’era ancora l’attesa”.
Questa frase sarà, nella mostra, una sorta di monito e di viatico, la certezza che non ci sia via di uscita accostata alla testardaggine vitale di non voler gettare la spugna, di voler vivere ancora, di voler vivere nella felicità. Riportata nel nostro contesto, Hari diventa per i due artisti l’acronimo dal sapore ambiguo e aziendale H.A.R.I. e che può essere accostata a molte cose. Multinazionali che ci illudono su di un ambientalismo falso, organizzazioni che si lavano la coscienza rispetto allo sfruttamento del pianeta, situazioni costruite per farci agire in maniera solidale ma che ci inducono invece a peccare ancora di più verso ciò che ci nutre: l’integrità del pianeta che si sgretola mentre soggetti senza scrupoli procedono al suo sfruttamento e a farne una cosa esausta. Il lavoro di Vatieri e Fiorenzi è stato concepito come una performance che include una musica composta ad hoc e la voce della performer Francesca Flora, in un giardino piccolo e conchiuso. Le parole non sono pienamente riconoscibili, ma si riferiscono al linguaggio che usano le imprese per ingannare il consumatore cavalcando l’onda del greenwashing. Il corpo della performer si accosta a sette pannelli dalle figurazioni astratte e dalla dominante verde, elaborazioni di loghi e certificazioni che si trovano sui prodotti che troviamo sugli scaffali di supermercati e negozi, spesso connotati da un’identità apparente orientata al mondo del bio. I pannelli sono sette, perché sette sono i “peccati” tipici del greenwashing così come sono stati enucleati dalla società di marketing ambientale TerraChoice Environmental Marketing Inc: nascondere la verità; non dimostrare ciò che si dice; vaghezza; uso di false etichette; enfatizzare aspetti irrilevanti; scegliere il minore tra due mali, cioè la comunicazione meno allarmante; mentire. Ciascuno dei cartelli farà riferimento a una di queste strategie di comunicazione depistante.
L’ambiguità e la consapevolezza della possibilità di sbagliare, di imbrogliare o di venire imbrogliati, di intraprendere un viaggio meno sincero del voluto, sono i punti di forza di questa operazione: chi siamo noi per cambiare le cose? L’attivismo messo in scena attraverso l’arte, nel suo elitarismo antipopolare, nel suo fuggire il kitsch e le debolezze della maggioranza non illuminata, riesce a dire qualcosa di sincero? E a che prezzo? È vero che questi artisti hanno accettato con un estremo entusiasmo di lavorare in un luogo senza un’identità specifica nel sistema dell’arte, che hanno saputo mettersi in gioco tra loro ed anche in un collettivo più vasto, dove nessuno ha nulla da guadagnare se non momenti di comunanza e amicizia. È vero che tutta l’operazione è stata supportata da una profonda ricerca collettiva, da una bibliografia, da un’integrità culturale che non dovrebbe lasciare dubbi. Il problema è che siamo tutti, autori, amici, spettatori, curatori, immersi in un sistema che ci inganna e che ci induce spesso a ingannare anche senza volere. Siamo pezzi di un mondo che non riesce a non voler sopravvivere. E’ facile teorizzare una nuova alleanza con la natura, la costituzione di famiglie non di sangue che includano o che almeno rispettino la natura, cercare una comunanza simbiotica ai fini della salvezza nostra e del pianeta. Tuttavia, per quanto ci siano chiare le teorie di Donna Haraway, Rosi Braidotti, Timothy Morton, Stefano Mancuso, Bruno Latour, Emanuele Coccia e molti altri maestri del pensiero eco-postumano, ciascuno di noi si ritrova solo come il protagonista di Solaris e, come lui, alle prese con la propria certezza che, anche dentro di lui, le cose non stanno come sembrano.
Ci resta solo un’attesa, una musica, un canto, una meditazione e l’incapacità di demordere.
BIO: Fabrizio Vatieri (Napoli, 1982)
Vive e lavora a Milano.
Artista e fotografo professionista, di formazione architetto. La sua pratica artistica si basa su diverse discipline tra cui performance, musica e fotografia. A Milano oltre a svolgere la sua professione, è co-proprietario e art director di Palinurobar, vino e altre culture. Suona come resident presso Radio Raheem Milano, e Radio Alhara Betlemme.
La sua ricerca è incentrata sul rapporto tra la mano dell’uomo, lo spazio architettonico e i fenomeni naturali. È interessato alla dialettica tra la ricerca artistica e la dimensione lavorativa dell’artista, le sue opere spesso contengono un’indagine sul significato del lavoro come performance umana e sul suo rapporto con la dimensione poetica e spirituale dell’individuo. La sua formazione da architetto ha influenzato in modo significativo la sua pratica artistica, un’influenza visibile prima di tutto nei suoi lavori fotografici ma anche in quelli performativi e musicali, in cui spesso esaspera in modo ironico il rapporto uomo-spazio e la ritualità del lavoro. I suoi lavori sono stati esposti in contesti istituzionali pubblici e privati in Italia e all’estero tra cui La triennale di Milano, Fondazione Morra Greco, Museo di Fotografia di Salonicco, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, CareOf, Fondazione Forma, SiFEst, Nowhere Gallery. Ha pubblicato due libri in occasione delle due omonime performance, Dominare spiritualmente il progresso (2017), Pensavo fosse amore (2022).
BIO: Oliviero Fiorenzi (Osimo, 1992)
Attento alle variabili presenti nel contesto in cui opera, Oliviero Fiorenzi sviluppa la sua ricerca grafica/pittorica a partire dal suo vissuto personale, attingendo all'immaginario che sviluppiamo negli anni dell'infanzia e dell'adolescenza. Questo è il periodo in cui esperiamo il mondo attraverso le forme del gioco, ed è proprio attraverso queste esperienze, vissute e poi metodicamente ricordate, che Fiorenzi ha sviluppato la sua mitologia personale: un alfabeto visivo in costante aggiornamento, strumento con il quale costruisce a seconda del progetto, nuove architetture di significato.
Oliviero Fiorenzi (1992), nato ad Osimo da dieci anni vive e lavora a Milano. Vivendo tra questi due contesti, ha sviluppato una particolare sensibilità per il tema del paesaggio.Attraverso il suo vissuto personale, costruisce un complesso apparato segnico figurativo; grazie al quale entra in relazione con il contesto in cui opera producendo installazioni pittoriche e scultoree. Ha esposto in gallerie, fondazioni e musei tra cui: The Address a Brescia, Sonnenstube a Lugano, Fondazione Feltrinelli e La Triennale a Milano, Ex-Dogana a Roma, La Mole di Ancona e la Manifattura Tabacchi di Firenze.
BIO: Francesca Flora
Francesca Flora è una scrittrice e performer che utilizza la propria voce e le sue alterazioni meccaniche, per esplorare le potenzialità affettive e semiotiche del linguaggio poetico in relazione alle dinamiche politiche radicate nel quotidiano.
PROVINCIALE 11
Si intitola così, con il nome di un luogo dove un gruppo di artisti ha trovato da almeno due anni un rifugio e un posto per discutere e per pensare, la serie di quattro mostre che occuperanno il Centro Artistico Alik Cavaliere da febbraio a maggio 2023.
PROVINCIALE 11 è, in effetti, un gruppo a cui collaborano a diverso titolo artisti e artiste, set designer, editor, art writer, curatori e curatrici, filmmaker e altri protagonisti del mondo visual tra cui: Alberte Agerskov, Arnold Braho, Emanuele Caprioli, Oliviero Fiorenzi, Maddalena Iodice, Carolina Merlo, Ludovico Orombelli, Paola Shiamtani, Fabrizio Vatieri, Giuditta Vettese, che si incontrano spesso, come spesso è accaduto a protagonisti delle generazioni precedenti, al numero 11 di una strada provinciale in Lunigiana, in una casa che ha ospitato anche in passato artisti, collezionisti, amici, critici di generazioni diverse.
Gli artisti di PROVINCIALE 11 si sono auto selezionati sotto la guida di Angela Vettese e dialogano tutti in maniera diversa con tematiche legate alla natura, al suo apparire e scomparire, al suo essere compagna e problema, ma soprattutto una magia da preservare. La loro comune discussione avrà luogo sotto forma di una INTRAVISTA collettiva, un dialogo che riporta alla superficie i fondamenti del loro sentire artistico. In alcuni casi i lavori verranno accompagnati da più testi, in altri saranno introdotti solo da Angela Vettese che cura l'insieme degli eventi. Il processo complessivo del progetto verrà depositato su provinciale11.com che documenterà con immagini e testi gli interventi artistici, e si compirà nella sezione definita “Il pozzo”, ovvero il fondo e anche il fondamento del dibattito di PROVINCIALE 11: libri, film, opere, poesie letteratura, riferimenti che gli artisti hanno iniziato a scambiarsi nell’estate 2021, una base del loro lavoro visivo, critico, letterario, di pensiero sulla vita verso la boa dei trent’anni. La loro visione dell'arte non può prescindere da una più ampia visione del mondo e delle opinioni che, su di esso, in tempi di cambiamento veloce e incerto, non si possono tralasciare.
Gli artisti hanno formazioni differenti, sono tutti nati negli anni Novanta, tranne uno, ma condividono sensibilità affini rispetto al contesto naturale, alle interferenze della tecnologia, alla maniera di concepire l'arte visiva come fatta di molteplici tecniche e articolata in un linguaggio che può comprendere l'ambiente, i suoni, la luce, il contesto nel quale si deposita.
Lo studio di Alik Cavaliere si è manifestato come un ottimo luogo di incontro e dialogo per il lavoro degli artisti, ciascuno autore di una mostra concepita come INTRAMEZZO, cioè una frase da completare nel mezzo di un dialogo, di un pensiero o di una passo nella natura.