Hector&Hector – No terra!
Dall’esclusione all’inclusione, dalla vita alla morte e viceversa, è questa la regola che si concretizza: l’utilizzo di quello che comunemente chiamiamo scarto industriale viene accettato, raccolto ma soprattutto accolto senza smussare, come a voler cancellare quella vita vissuta, la sua riconoscibilità che rappresenta quella cifra identitaria, che offre maggiore sapore a quella libertà del pensiero creativo che diventa nel ciclo “NO TERRA” un segno distintivo forte.
Comunicato stampa
Al MAON, Museo d’arte dell’Otto e Novecento di Rende (Cosenza) si inaugura venerdì 10 giugno alle ore 18,30 la mostra “HECTOR & HECTOR / NO TERRA!” curata da Maurizio Vanni e Roberto Sottile.
Hector&Hector nasce a Catanzaro nel 1956. Studia inizialmente come autodidatta e, dal 1974 al 1976, teatro, arte sperimentale, fotografia. Trasferitosi a Bologna segue alcuni corsi di scultura, ma l’anno dopo si sposta a Firenze dove si avvicina all’arte dadaista. Lavora come assistente alle realizzazione di scenografie teatrali e nel frattempo consegue la laurea in Lettere e Filosofia a Firenze nel 1986. Negli anni successivi si trova a Parigi dove entra in contatto con i lavori dei grandi affichistes come Rotella, Hains, Villeglè, alternando viaggi tra il Medio Oriente e l’Europa. Più tardi abbandona gli studi sul dadaismo e si concentra sulla Pop Art. Da Parigi si trasferisce per un breve periodo in Belgio, da dove continua a guardare oltreoceano all’evoluzione della Neo-Pop Art.
E’ del 2007 la mostra presso il New York Palace di Budapest. Nel 2009 fonda a Toulon, con altri tre artisti, il “Gruppo 50”, a favore di una ricerca sui segni alfanumerici. Nel frattempo rientra a Firenze e si stabilisce, poi, a Pisa.
Alla fine del 2009, abbraccia la “New Word Art”, una forma d’arte e una filosofia del fare legata alla visione dionisiaca, ad uno spazio fisico di metamorfosi. Nell'ultimo ciclo si occupa di arte del recupero dipingendo su scatole di cartone, cassette di legno, buste del pane, pancali di legno, ecc.
Espone, fra l’altro, all’AMACI di Roma nel 2009, 2011 e 2013, al Museo del 900 di Firenze nel 2015 e alla Galleria Spirale di Milano sempre nel 2015.
“Un viaggio contemporaneo, memorie, rappresentazioni già vissute che reclamano una nuova storia, una ricerca che diventa osservazione e considerazione, il percorso di Hector&Hector procede sulla strada di una nuova identità conseguenza ed effetto di un moderno e attuale progresso di civilizzazione dell’evoluzione dell’arte che diventa quello che potremmo definire “recovery art”, arte del riciclo, del recupero, regola della trasformazione, della conversione in nuovi linguaggi visivi.
Hector&Hector non violenta la volontà della materia, non forza ne sottomette, ma asseconda quella “civiltà” intima, liberata dal declino, per regalare nuovi confini artistici. Dall’esclusione all’inclusione, dalla vita alla morte e viceversa, è questa la regola che si concretizza: l’utilizzo di quello che comunemente chiamiamo scarto industriale viene accettato, raccolto ma soprattutto accolto senza smussare, come a voler cancellare quella vita vissuta, la sua riconoscibilità che rappresenta quella cifra identitaria, che offre maggiore sapore a quella libertà del pensiero creativo che diventa nel ciclo “NO TERRA” un segno distintivo forte.
Scatole di cartone, buste del pane, cassette di legno è l’elenco potrebbe essere ancora più lungo, sono questi gli oggetti che da prodotti di uso comune diventano nel processo creativo elemento essenziale, conclusione del lavoro artistico, risultato di un recupero che rivalorizza quella “cosa” aggiungendo però in essa un contenuto artistico, uno spirito nuovo. Scarti industriali che diventano elementi inclusivi che si rigenerano per mezzo e attraverso l’arte.
All’apparente promiscuità e disordine degli idiomi artistici di Hector&Hector corrisponde un gusto di una narrazione, costruita con sintonia e intesa dove tutto trova posto, frequenza, ritmo.
Il ciclo “NO TERRA” racconta con tutta la sua forza, le sue contraddizioni, quell’equilibrio, quella discontinuità della memoria a cui viene consegnata una nuova identità dalla sensibilità dell’artista che continua il suo percorso elaborando una lunga storia che vive nei nostri ricordi. Il risultato è la costruzione di un libro di storia e di scienza per immagini dove è possibile leggere le testimonianze della civiltà degli antichi Egizi, dell’impero degli Atzechi e di altri lontani popoli; dell’energia e della magia dell’Africa, della forza mistica dell’India, che si svelano, grazie all’artista, attraverso una combinazione anche iconografica vigorosa, che prescinde dalla linea temporale della storia, mediata da un segno pittorico compiuto.
Hector&Hector ci insegna a leggere i perché della storia attraverso l’equilibrio della realtà, riuscendo a mettere da parte la mediocrità di una modernità impaziente colpevole di aver spezzato il filo di quella civiltà che nell’arte rivendicava quella regola, quella conciliazione e convivenza! Ci si trova così a recuperare tutti gli elementi, nel tentativo di riconquistare e ritrovare quella proporzione, quella simmetria e misura. Le scatole di cartone si animano di tante storie, affiorano e affondano come un codice da decifrare, immagini, segni, parole compongono la successione da risolvere; così come le cassette di legno diventano potenti murales intrisi di punti di connessione e di divisioni che contribuiscono a mantenere in tensione la lettura dell’opera.
Osservando i lavori di Hector&Hector ci si ritrova immersi in una lettura complessa ed articolata che l’artista supera con grande capacità tecnica, riuscendo ad estrapolare e proporre un resoconto scrupoloso e dettagliato delle realtà artistiche da cui prende spunto rivisitandole e annettendo elementi visivi di scrittura ad immagini (come pesci, elementi naturali, spirali, raffigurazioni di persone).
Hector&Hector ci aiuta attraverso le sue opere a comprendere una lunga finita (nel presente) ed infinita (nel futuro) storia con un percorso che guarda in modo vincolante al rapporto ecologico che è fondamento del ciclo “NO TERRA” e alla relazione tra tutte quelle memorie “industriali”. Ciò che si acquisisce e conquista è il racconto di quel codice genetico, di quella traccia che ci accomuna tutti: è come ritrovarsi ad osservare il palmo di una mano (provateci!) ad osservare le cicatrici sul nostro corpo! Una lunga sequenza della nostra vita, una successione che raccoglie tutto, dall’inizio a quella fine (infinita) che l’artista chiude nel cammino dell’arte.
Ogni opera costituisce una cellula capace di raccontare una storia, di trasportare quel patrimonio, quel DNA genetico, ma nello stesso tempo è parte di un organismo più complesso e articolato.”
(estratto dal testo in catalogo di Roberto Sottile)