I magnifici intrecci
Il celebre ciclo di arazzi dedicato alle “Storie di Sansone” del Duomo di Cremona torna finalmente alla luce dopo oltre sessant’anni.
Comunicato stampa
Il celebre ciclo di arazzi dedicato alle “Storie di Sansone” del Duomo di Cremona torna finalmente alla luce dopo oltre sessant’anni. I 12 grandiosi arazzi, 8 dei quali restaurati, saranno esposti dal 29 marzo al 30 agosto al Padiglione delle Esposizioni annesso al Museo del Violino.
A questo magnifico ciclo unitario, unico al mondo rimasto integro su questo tema biblico assai popolare alla fine del Cinquecento, verranno affiancati anche due altri arazzi, residui di altri di un ciclo in gran parte andato disperso sulle Storie di Gesù.
Sarà una mostra imponente e stupefacente. Imponente per dimensioni, basti dire che ciascuno di questi sontuosi “tessuti” misura almeno venti metri quadri di superficie. Alcuni superano i trenta e raggiungono i quaranta metri quadrati. In totale saranno esposti oltre quattrocento metri quadrati di tessuti finemente intrecciati. Stupefacente, per la bellezza dei tessili realizzati dalla manifattura Raes di Bruxelles ai primi del Seicento, e per la singolarità della loro storia.
Le Fatiche di Sansone vennero concepite in piena Controriforma, per l’esigenza di addobbare il Duomo, nelle grandi solennità, con apparati che raccontassero storie bibliche e dessero valore agli spazi interni del tempio.
Il 27 aprile 1629, con un’azione culturale che ad oggi può essere definita la più importante commissione artistica avvenuta a Cremona nei primi anni del Seicento, i prefetti della Fabbriceria decidono di avviare le pratiche per provvedere la Cattedrale di dodici arazzi, rappresentanti le Storie di Sansone. Questi si sarebbero aggiunti ai precedenti rappresentanti le Storie della vita di Cristo, in origine sedici pezzi, oggi rimasti solo due, che nel 1601 il vescovo cremonese Cesare Speciano, al momento della sua morte, aveva lasciato in dono alla più importante chiesa cittadina.
Il soggetto – le storie di Sansone – è casuale. Allorché i Fabbricieri della Cattedrale cremonese sguinzagliarono i loro agenti per verificare se sul mercato internazionale esistessero arazzi che potessero, con un ciclo unitario, arricchire gli spazi del Tempio, vennero a conoscenza di questo ciclo prodotto e commercializzato dalla celebre manifattura del pittore e tapezziere Jan Raes in Bruxelles.
Secondo la tradizione e un antico documento del settimo decennio del Seicento attribuito a Giovannni Battista Natali, “ingegnero” e pittore della Cattedrale di Cremona, il ciclo dedicato a Sansone si diceva partisse da cartoni del grande Pieter Paul Rubens di cui l’arazzeria di Raes si forniva. Documenti rinvenuti recentemente indicano l’autore come Michiel Coxcie, pittore di Malines, allievo di Giorgio Vasari e a contatto con Michelangelo e Raffaello nonché influenzato da Giulio Romano.
Si sa che di questa serie completa vennero tirati, o meglio tessuti, tre soli esemplari. Uno destinato al Cardinale Scipione Borghese, il secondo al Re Enrico II, entrambi sono dispersi, mentre il terzo fu quello, appunto, commissionato per la Cattedrale di Cremona. Appunto l’unico rimasto integro e che ora vengono esposti.
L’impresa all’epoca non risultò affatto semplice, innanzitutto per la colossale spesa (9240 fiorini) necessaria a far fronte all’acquisto, poi perché il momento era tra i più tragici: erano gli anni della Grande Peste di manzoniana memoria. Ma l’entusiasmo e il desiderio di abbellire il Duomo erano tali da far superare ogni difficoltà. Così, nella primavera del 1630, grandi carri trainati da buoi mossero il prezioso carico dalla capitale delle Fiandre verso l’Italia e, dopo due mesi di cammino, lo condussero a Milano e da qui a Cremona.
I tesori così conquistati venero esposti per l’Ascensione di quell’anno, provocando un immenso stupore. L’ammirazione per le opere tessili trovava a Cremona grande seguito.
Anche le mode cambiarono e gli arazzi risultarono decisamente ingombranti. Per un secolo vennero malamente esposti, nelle gradi festività religiose o in occasione di visite importanti, arrotolandoli sui pilastri della chiesa, senza particolare cura.
Il loro stato appariva così malconcio da spingere, nel 1885, i Fabricieri a cercare sul mercato europeo e nord americano qualcuno, museo o altro, che volesse acquistarli in blocco. La ricerca di acquirenti risultò infruttuosa, anche per l’esorbitante prezzo richiesto, 600 mila lire dell’epoca. Così gli ingombranti “tessili”, sempre più mal ridotti, finirono arrotolati in grandi cilindri pieni di naftalina e quasi dimenticati.
La loro resurrezione, lentissima e ancora incompleta, iniziò negli anni venti del Novecento, quando tre di essi vennero affidati alle cure delle suore ricamatrici di un convento del territorio. Le stesse suore si occuparono, nei decenni successivi, di altri tre arazzi.
L’impresa di trovare i finanziamento per restaurare l’altra metà dei 12 pezzi, appariva ad Antonio Paolucci degna di “sconsolata impotenza” per l’esborso necessario per recuperare capolavori così compromessi.
Muffe, fumi, sporcizia, imbarcature, grinze, rammendi avevano trasformato le lisce superfici di sete e lane pregiate in grinzose e spente, vecchie pezze. Il colorante utilizzato per creare le sfumature marroni sui fili di lana aveva finito con l’avere una azione disgregante. Insomma gli arazzi non restaurati apparivano come larve di una meraviglia scomparsa.
Poi, grazie all’impegno di privati, di associazioni locali e della Fondazione Comunitaria, è iniziata la rinascita. Con un impegno professionale ed economico enorme (per il restauro di un solo arazzo sono quasi 2500 ore di lavoro) altri due arazzi sono stati stesi, rinforzati, lavati e restaurati. Si è trattato di un intervento certosino che ha utilizzato tecniche e materiali i più vicini possibile agli originali e che non solo ha visivamente ricondotto le antiche pezze al loro antico, rutilante aspetto, ma che ha riportato i preziosi tessuti a ph neutri, tali da evitare future perdite per eccesso di acidità.
Oggi il recupero è completo su 7 dei 12 pezzi, due terzi di un percorso che porterà alla resurrezione dell’intero ciclo. E’ la “fatica di Sansone” cui si applica la città di Cremona.
La mostra al Museo del Violino, negli auspici degli organizzatori, è occasione per mostra ai cremonesi e agli amanti dell’arte un tesoro sino ad oggi escluso all’ammirazione. Ma anche per sensibilizzare fattivamente tutti all’urgenza di prendersene cura prima di perderlo.