I Tesori nascosti. Da Giotto a de Chirico
La grande mostra itinerante “I Tesori nascosti” approda nei prestigiosi spazi museali del Museo Civico del Castello Ursino a Catania. La nuova grande esposizione catanese racconta lo svolgimento della storia dell’arte italiana dal Medioevo, al Novecento.
Comunicato stampa
“La caccia ai quadri non ha regole, non ha obiettivi, non ha approdi, è imprevedibile. Non si trova quello che si cerca, si cerca quello che si trova. Talvolta molto oltre il desiderio e le aspettative”. Così Vittorio Sgarbi descrive il mistero del collezionismo: “l’interesse per ciò che non c’è”.
Da qui l’idea della grande mostra “I Tesori nascosti. Da Giotto a De Chirico” che dal 26 ottobre 2017 a maggio 2018 approda nei prestigiosi spazi museali del Museo Civico del Castello Ursino a Catania. La nuova grande esposizione catanese racconta lo svolgimento della storia dell’arte italiana dal Medioevo, al Novecento.
In un arco temporale di oltre sette secoli, si darà conto dell’evoluzione degli stili, delle correnti, e degli snodi fondamentali della storia dell’arte italiana attraverso una selezione di oltre cento opere, tra dipinti e sculture, di proprietà di fondazioni bancarie, istituzioni e collezionisti privati con l’obiettivo di valorizzare, come indica il titolo stesso, un patrimonio artistico “nascosto”, perché non esposto nei musei pubblici, e al contempo creare un interessante approfondimento sulla peculiare e complessa “geografica artistica” italiana.
Al pari dell’acclamata rassegna benacense, la nuova edizione della mostra viene dunque a porsi come naturale estensione della straordinaria esposizione “Il Tesoro d’Italia” svoltasi all’Esposizione Universale di Milano del 2015, nella quale si è documentato, dal Piemonte alla Sicilia, la varietà genetica di grandi capolavori concepiti da intelligenze, stati d’animo, emozioni che rimandano ai luoghi, alle terre, alle acque, ai venti che li hanno generati. L’Italia, del resto, è il luogo della felicità compiuta: di questo è stato pienamente consapevole, da Stendhal a Bernard Berenson, qualunque straniero abbia eletto il nostro paese a sua patria, non potendo immaginare un luogo di maggiore beatitudine sulla terra.
La grandezza dell’arte italiana è infatti nel tessuto inestricabile, radicato in un territorio unico al mondo per cui le opere maggiori e i contesti minori si illuminano a vicenda. Da questo assunto Roberto Longhi iniziò la sua nuova lettura, senza gerarchie e primati, dell’arte emiliana, in quell’area da lui definita Padanìa, riconoscendo, nel 1934, i caratteri distintivi dell’Officina ferrarese, e dei Momenti della pittura bolognese. S’iniziò così a cancellare ogni pregiudizio sul prevalere dell’arte toscana, su cui si era costruita la storiografia a partire da Giorgio Vasari, e a riconoscere in ogni regione caratteristiche proprie e originali. L’idea dell’Italia nella sua unità geografica e politica si forma attraverso due motori comunicanti: la lingua e lo stile italiano. L’italiano, il “volgare”, si definisce a partire dal XII secolo e si configura come lingua nella letteratura e nei testi dei poeti siciliani prima, nella civiltà letteraria generata alla corte di Federico II; con i poeti dello stilnovo, in toscana, e infine con Dante, Petrarca e Boccaccio. Nel Rinascimento, sui testi degli ultimi due, si stabilisce quella lingua letteraria codificata da Pietro Bembo nelle Prose della volgar lingua del 1525. Per il veneto Bembo la poesia di Petrarca e la prosa di Boccaccio, entrambi toscani, sono i modelli per la scrittura di opere letterarie italiane. Nel 1520, cinque anni prima, era morto Raffaello e il Rinascimento aveva trovato il coronamento nella sua opera. Nel Cinquecento, dunque, si definisce un’idea dell’Italia oltre le divisioni territoriali e i dialetti locali, in una unità che vede protagonisti, con i primi grandi scrittori, gli artisti, da Giotto a Michelangelo, pittori e scultori che parlano italiano. E il Rinascimento delimita un’Italia unita prima del Risorgimento. Ma in questo processo ciò che unisce nella visione non cancella le differenze che si manifestano nelle diverse interpretazioni. E, dopo il lungo processo di unificazione, che vede il primato, come modello di riferimento, della lingua e dell’arte toscana, iniziano le ricerche che identificano i caratteri distinti delle diverse aree geografiche sul piano formale ed espressivo. Tali peculiarità “genetiche” delle diverse aree della “geografia artistica” italiana saranno verificabili anche in occasione della nuova mostra napoletana che offrirà altresì al visitatore un’ampia panoramica sui soggetti affrontati dagli artisti, da quello sacro alle raffigurazioni allegoriche e mitologiche, dal genere del ritratto a quelli del paesaggio e della natura morta.