Il collasso dell’entropia
Nuove opere e interventi installativi studiati appositamente per il MAC di Lissone arricchiscono il secondo appuntamento de Il collasso dell’entropia.
Comunicato stampa
Nuove opere e interventi installativi studiati appositamente per il MAC di Lissone arricchiscono il secondo appuntamento de Il collasso dell’entropia. L’obiettivo è quello di trasformare tutto il museo in superficie espositiva, ossia in uno spazio in cui i fruitori possano fare esperienza dell’intero complesso architettonico. Dal mese di febbraio, una ricca e variegata proposta di opere ha iniziato a trasformare il museo in un grande contenitore. Alle opere di Arruzzo, Carboni, Coser, Consani, Dal Molin, Dall’O, Gligorov, Grassino, Hernández, Eškinja, Gilberti, Kehrer, Mazzonelli, Persiani, Sal, Serusi, Spanghero, Spinelli e Termini si affiancano ora quelle di una dozzina di altri autori.
Tra gli interventi site-specific si segnalano quelli di Oppy De Bernardo [Locarno, 1970], Mirko Canesi [Milano, 1981], Matteo Bergamasco [Milano, 1982], Fabrizio Prevedello [Padova, 1972] e Andreco [Roma, 1978]. De Bernardo ripropone l’installazione Scacciapensieri esposta al Museo Cantonale d’Arte di Lugano e qui riadattata per gli spazi del MAC; il progetto affronta in modo obliquo il tema della morte che affligge la nostra società e tutta la cultura occidentale. Canesi interviene sulle foglie e sui fusti di alcune piante d’appartamento generando un’ibridazione che sposa le dinamiche della Green Art e della Viral Art. Sfruttando un interstizio del museo, Bergamasco ha deciso di “occultare” un grande quadro effigiante una stanza contenente un grande arazzo di alberi e uccelli che potrà essere visto spiando da un foro praticato su un pannello. Già presente con una video-installazione alla prima inaugurazione del Collasso dell’Entropia, Prevedello si riappropria dello spazio a lui assegnato per realizzare un inedito ambiente scultoreo.
Ispirandosi all'energia potenziale, Andreco ha dipinto una serie di macigni che suggeriscono un senso di instabilità (l'irregolare sovrapposizione dei massi suggerisce una “tensione” dovuta all'equilibrio precario della struttura e della posizione statica degli elementi che la compongono).
Disseminate negli ambienti espositivi troviamo anche le opere di Silvia Vendramel [Treviso, 1972], Mattia Bosco [Milano, 1976], Mario Consiglio [Maglie, 1968] e Filippo Manzini [Firenze, 1975]. Vendramel presenta
un Soffio, scultura che si ricollega a un gesto diretto e irrevocabili – come il soffiare del vetro all'interno di manufatti prelevati dalla propria infanzia – per rielaborare tensioni e nodi legati al “senso di appartenenza” che riguarda ciascuno di noi. Mattia Bosco propone un nucleo di lavori eterogenei per forma e materiali ma coerenti sotto il profilo concettuale che mettono in evidenza il rapporto tra l'artista e le potenzialità insite nella scultura. Mario Consiglio ha invece abbandonato all'interno del museo una mazza sul cui lungo manico è incisa una frase emblematica, che è anche il titolo dell’opera: With this hammer I have killed dozens of fake monkeys. Servendosi di un bisturi, Manzini ha asportato delle piccole porzioni di carta da alcuni fogli per ottenere morbidi avvallamenti e ombre cariche di allusività.