Il linguaggio della realtà
Le opere selezionate per la mostra “Il linguaggio della realtà. Venti capolavori dell’Ottocento Italiano” non solo documentano, sia pure succintamente, l’eterogeneo panorama dell’arte italiana, dall’Unità alle prime Biennali veneziane; ma focalizzano anche quello che ne è l’esito più innovativo: il passaggio dall’Accademia al Realismo.
Comunicato stampa
Per il debutto a Cortina della nuova galleria d’arte Le Muse 2 (in Piazza Franceschi al civico 6), la Società delle Belle arti ha scelto uno dei suoi cavalli di battaglia: la grande pittura macchiaiola. In mostra una selezione attentissima di “Venti capolavori dell’Ottocento italiano”, dove il termine capolavori non è un vezzo ma definisce la qualità assoluta di opere che avrebbero pieno titolo per stare alle pareti dei grandi musei. Sono presenti, con opere da manuale, Fattori, Lega, Signorini, Mancini, Morbelli, Segantini e altri interpreti assoluti del momento. Solo venti opere ma selezionatissime, superbe, un clamoroso “biglietto da visita” per una galleria che vuole imporsi e distinguersi per qualità.
In contemporanea nella “vecchia” sede de Le Muse (ora Le Muse1) in Corso Italia 21, ad essere di scena è RAM, nome d’arte di Ruggero Alfredo Michahelles (1898 – 1976), pittore e cartellonista, protagonista del futurismo toscano, poi tra Les italiens a Parigi, quindi nuovamente in Italia. “La realtà metafisica”, sottotitolo di questa mostra, indica la precisa scelta di opere che il Matteucci ha selezionato per una monografica che per molti costituirà una vera e propria rivelazione. Un grande binomio, quindi , un segnale di fiducia verso Cortina e la passione per la grande arte.
Le opere selezionate per la mostra “Il linguaggio della realtà. Venti capolavori dell’Ottocento Italiano” non solo documentano, sia pure succintamente, l’eterogeneo panorama dell’arte italiana, dall’Unità alle prime Biennali veneziane; ma focalizzano anche quello che ne è l’esito più innovativo: il passaggio dall’Accademia al Realismo. E ciò attraverso un florilegio di capolavori che, al di là del valore degli autori - da Signorini a Favretto, da Lega a Filippo Palazzi, da Mancini a Morbelli, da Segantini a Spadini e a molti altri esponenti delle maggiori scuole - acquista rilievo in ragione dell’innovativa concezione stilistica che, riflettendo concretamente lo spirito rivoluzionario dell’epoca, impone quelle immagini come vere istantanee di uno dei momenti più schietti e genuini della nostra storia. Un disegno concepito guardando a spiriti altamente creativi che, esprimendosi con un linguaggio controtendenza e assolutamente inedito, offrirono l’anima di artisti e volontari, restituendo così al paese una personale identità culturale. Paradossalmente proprio Fattori, che più di ogni altro del tema militare ha fatto la cifra distintiva e caratterizzante, è tra i pochi a non avere indossato la divisa. Lontano dai campi di battaglia, il suo grande talento nella mostra si manifesta in Paesaggio con buoi e contadina, una grande tela della piena maturità in cui la figura umana si fonde nella quiete e nella purezza di una natura preservata da qualsiasi contaminazione urbana.
Commissionato, all’inizio del decennio Novanta da un amatore milanese, il quadro costituiva un pen-dant con un altro delle stesse dimensioni, ambientato a Firenze lungo l’argine dell’Arno. L’acquirente versò, per entrambi, a Fattori 822 lire, che gli rilasciò, il 6 febbraio 1890, regolare ricevuta. Mentre il paesaggio dell’Arno è ancora custodito presso gli eredi del committente, il quadro della contadina rivede la luce dopo oltre un secolo in occasione della mostra di Cortina; presso il nuovo spazio della Galleria Le Muse se ne potrà così poter apprezzare in tutta la sua brillante ariosità l’esplosione dei verdi e il tratto vigoroso di un artista che, nonostante gli oltre sessant’anni, non ha minimamente perso l’entusiasmo degli esordi.
Ad evocare, invece, atmosfere di vita elegante e borghese è Villa toscana di Signorini, immagine straordinaria in cui pittore riesce a creare spazi inondati di sole, secondo la pura tradizione macchiaiola, cogliendo l’attimo fuggente in cui i raggi investono l’edificio, dando vita ad effetti di vaga suggestione metafisica. Lo sviluppo in primo piano della villa, la resa minuziosa dei particolari, nonché l’esaltazione dei volumi attraverso il riverbero del sole, infine, le ragguardevoli misure del quadro (cm 64x116), inducono a ritenere anche questo lavoro eseguito su richiesta di un appassionato estimatore, di cui gli studi, ad oggi, non hanno ancora ricostruito l’identità.
Facilmente riconoscibile, al contrario, il tratto nel quale Borrani ha ambientato la Veduta dell’Arno, forse il massimo raggiungimento al quale ha legato il proprio nome. La magia dell’inquadratura fa sì che dialoghi con la Villa di Signorini, confermando quella piena condivisione di palpiti e d’intenti a suggello della stagione più feconda dei due artisti.
Se nella Toscana dei Macchiaioli il realismo ha rappresentato la spinta più decisa verso la modernità, dal Nord al Sud del Paese il credo courbettiano è stato seguito come principio fondamentale per l’elaborazione di uno stile nazionale. Ed è su questa scia che si collocano le altre celebri opere eccezionalmente riunite a Cortina grazie alle quali tale fisionomia, pur cogliendosi nelle sue infinite sfaccettature, viene restituita nell’unitarietà di un linguaggio figurativo di quell’Italia della quale, come scriveva Indro Montanelli, tutti siamo figli.