Il nome segreto delle cose
L’inaugurazione della nuova sede di una società di servizi alle imprese che svolge anche attività formativa – in una ex fabbrica di aromi alimentari ristrutturata nello stile di una scuola elementare – è occasione per ospitare il lavoro di due artisti che del sapere, e prima ancora del cercare, fanno la loro primaria fonte di ispirazione.
Comunicato stampa
Il nome segreto delle cose
Due concezioni dell'arte a confronto in occasione dell'inaugurazione di un luogo del
sapere e del lavoro
Torino, nuova sede di Welink
Inaugurazione: 15 dicembre 2011 ore 17,00
L’inaugurazione della nuova sede di una società di servizi alle imprese che svolge anche attività formativa –
in una ex fabbrica di aromi alimentari ristrutturata nello stile di una scuola elementare – è occasione per
ospitare il lavoro di due artisti che del sapere, e prima ancora del cercare, fanno la loro primaria fonte di
ispirazione.
Come nell’allestimento del nuovo centro, così anche nelle opere esposte la semplicità è fondamentale. Si
dice in ambienti matematici che tutto possa essere spiegato in parole semplici, se non per incapacità o
malafede; e proprio il tema della semplicità è alla base del lavoro di Francesco Arecco e Giancarlo Soldi.
Due modi di lavorare antitetici. Ma legati dalla volontà di fare della poesia il filo conduttore della propria
attività. Non si tratta di una poesia retorica e lussureggiante di artifici. È piuttosto la poesia che ogni oggetto,
ogni forma minima contiene, se fatta risuonare a dovere, e se ascoltata con attenzione.
Il confronto/dialogo che due artisti apparentemente così diversi possono instaurare è sul tema del nome delle
cose. Secondo le antiche regole magiche chi conoscesse il nome vero (spesso segreto, a volte dimenticato)
delle cose, le possedeva realmente. Può darsi che sia puro spirito di suggestione. Ma può anche trattarsi di
una sottile metafora della cultura, o per lo meno di una cultura che vediamo allontanarsi sempre di più. Oggi
è forse l’immagine delle cose, la pellicola che le riveste a farcele possedere nella loro transitorietà. Il nome,
la consequentia rerum degli antichi, ci riporta all’illusione che le cose ci siano sempre, che siano radicate
nell’essenza del mondo. «Ciò che noi chiamiamo rosa, anche se portasse un altro nome serberebbe pur
sempre lo stesso dolce profumo»; queste le parole che Shakespeare mette in bocca a Giulietta. Compito
dell’arte, nel momento in cui si sofferma ad ascoltare i nomi delle cose, può essere quello di dimostrare il
contrario.
Soldi e Arecco giocano - perché non lo si nasconde: pur serissimi, si divertono - a scoprire il senso vero,
l’unico che valga la pena cercare, delle cose. Quello legato al loro nome. E producono cose. Non si tratta di
rappresentare, e nemmeno di presentare, ma piuttosto di evocare, di far cogliere una zona d’ombra (o di luce)
nella quale le cose ci cercano. E non si tratta neppure di affermare una verità, ma di suggerire la bellezza di
una ricerca. Dove sta la magia del nome? Nel permetterci di esprimere l’autoevidenza delle cose, o nel darci
modo di farle apparire quando non ci sono? Il nome sta al posto della cosa, come vorrebbe lo strutturalismo,
o dentro di essa?
Dalla volontà di rispondere a questi quesiti scaturisce la scelta, come sede espositiva, di un luogo di sapere, e
non solo di vedere, entro il quale i lavori dei due artisti sono posti in dialogo, l’uno di fronte all’altro, in un
confronto impossibile che proprio nel cercare una possibilità si mostra però rivelatore della potenza del
nome, e del suo segreto.