Il segno libero di Alceo Quieti. Cere graffiate incisioni, rami sbalzati

Informazioni Evento

Luogo
CASA NATALE DI RAFFAELLO
Via Raffaello 57, Urbino, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al
Vernissage
21/12/2022
Curatori
Innocenzo Aliventi, Luigi Bravi
Generi
disegno e grafica

Mostra di incisioni, cere, xilografie e rami sbalzati.

Comunicato stampa

Il segno libero di Alceo Quieti. Cere graffiate, incisioni, rami sbalzati
A cura di Innocenzo Aliventi e Luigi Bravi

Urbino, Casa Natale di Raffaello
21 dicembre 2022-29 gennaio 2023

Inaugurazione mercoledì 21 dicembre 2022, ore 16,30

Mostra di incisioni, cere, xilografie e rami sbalzati

Pieghevole edito dall’Accademia Raffaello
con scritti critici di Alice Lombardelli e Valentina Campolucci

link wetransfer per immagini
https://we.tl/t-lFlljanEnL

Alceo Quieti nasce ad Urbino il 21 dicembre del 1922, studia le arti incisorie e si diploma all’Istituto di Belle Arti per la Decorazione e l’Illustrazione del Libro di Urbino nel 1947 specializzandosi in xilografia con l’illustre maestro Umberto Franci. Molto presto, preso possesso della tecnica del bulino inizia a lavorare per il Poligrafico dello Stato quale incisore per cartevalori. Nel 1963 è Mario Baiardi, consulente artistico alla Banca d’Italia, a segnarlo per la realizzazione di nuove matrici per le banconote italiane. A queste presto seguiranno quelle del Perù ed i francobolli per Poste Italiane, per il Vaticano e per la Repubblica di San Marino. Nei suoi francobolli ricorrono frequentemente i soggetti di grandi artisti come Arcimboldo, Mantegna, Paolo Uccello, Masaccio, Michelangelo. Di Quieti si ricorda in particolare per la Repubblica Italiana, la banconota da 500 lire emessa dal 1974 al 1979 recante il profilo con la testa alata del dio Mercurio, quarta ed ultima emissione in cartamoneta poi sostituita nel 1982 dalla moneta bimetallica. La sua incessante attività di incisore sperimentatore trova riconoscimento in premi e mostre. Nel 1959 viene premiato con medaglia d’oro per il miglior francobollo. Il soggetto rappresentato è un dettaglio della Battaglia di Solferino di Girolamo Induno. Nel 1982 si tengono le mostre antologiche al Palazzo Ducale di Urbino e alla Saletta Rossini a Pesaro; nel 1983 la medaglia d’oro per meriti artistici dall’Ente Provinciale per il Turismo di Roma. Nel 1984 fa ritorno a Urbino. Uscito dal Poligrafico pochi anni prima, continuerà ad operare nel suo studio nella campagna urbinate e in corsi di microincisione tenutisi negli anni 1990 e 1991 nei laboratori ospitati nelle monumentali sale di Palazzo Ducale. Nel 2008 si trasferisce a Savigno dove muore il 9 marzo del 2014. L’idea di celebrare Alceo Quieti a cento anni dalla sua nascita, non solo come l’illustre microincisore italiano che è stato, ma come artista di più ampio respiro, prende corpo negli spazi della Bottega di Giovanni Santi a Casa Raffaello. Qui sbalzi, acqueforti, xilografie, cere graffiate, rami e legni, raccontano da una prospettiva differente e non meno significativa l’autore. Opere intime, assolutorie, oniriche. Un Quieti che scioglie i rapporti con le committenze legate alla sfera lavorativa, rompe il vincolo del rigore tecnico ed esce. Una esplosione di maschere, sogni, bestie, domatrici, corpi e anime urlanti di amori, di passioni, di vite e di morte. La poesia è un gesto che si libera dalla paziente e certosina attenzione verso la microdimensione. Una vibrante e autentica espressività che, per niente timida, domina la forma e la materia. La ricerca di soggetti racconta di pratiche tribali, primitive o semplicemente della tradizione. Non un Quieti ‘altro’ e nemmeno la negazione di una cifra tecnica, quella incisoria, che di fatto non lo abbandona mai. A volte cambia la materia, sicuramente a cambiare è il linguaggio, ma il dialogo è sempre lo stesso. Non è più la stampa su carta di una matrice incisa e inchiostrata, ma è carta dipinta con cera e successivamente incisa. Non è più una trama di segni che si combina nella struttura di una forma e ne delinea i chiari e gli scuri, le forme. È invece una ripetizione di segni che riempie l’aria di vita e a volte decora i corpi. Altre volte il segno piega il metallo e lo riempie con la tecnica dello sbalzo di luci e ombre. Non un tratto deciso, potentemente tecnico, che si combina nella traduzione delicata di opere di arte antica, ma un segno leggero che traccia i gesti e le bocche potentemente urlanti di emozioni antiche, primitive, laceranti. Un ribaltamento di stato e di materia. Traduzioni forse, o meglio, una sublimazione.

La figura di Alceo Quieti si inserisce perfettamente nel contesto artistico urbinate del secolo scorso. Dal punto di vista della trattazione della matrice, per raffigurare la varietà delle sue proposte ha sperimentato tutta una serie di tecniche, a partire dalla xilografia a cui si relaziona negli anni in cui studia presso l’Istituto di Belle Arti per la Decorazione e l’Illustrazione del Libro di Urbino sotto la guida di Umberto Franci. La dedizione al bulino lo conduce poi a risvolti dal linguaggio preciso, specialmente nel caso delle incisioni di traduzione ideate per il mondo filatelico e della cartamoneta, come il dittico dei duchi di Urbino di Piero della Francesca, la Madonna Lippina o il cestino di frutta di Caravaggio. Si tratta, dunque, di un’importante attività di diffusione di modelli del passato, con una marcata capacità di traduzione, ma non solo: Quieti utilizza l’incisione anche come spazio di libertà, le sue stampe autonome illustrano infatti un mondo primitivo, ancestrale, tra il fantasioso e il realistico; la sua è una potenza inventiva che talvolta si concretizza in un segno costruttivo di contorno ben marcato, quasi pittorico. Pertanto, come la diversità dei soggetti che propone è espressione di un occhio attento, una mente curiosa e brillante, alla continua ricerca di nuovi spunti, così le varie tecniche tramite cui si cimenta sono manifestazioni di una poliedricità tipica di un artista “a tutto tondo”: dagli ex libris alle carte da gioco, dalle maschere su cartone di fibra ai bassorilievi su rame sottile, dai francobolli alle coloratissime cere, tra cui la purpurea Composizione decorativa del 1961 che rappresenta senza dubbio un meraviglioso esemplare. La scena illustra una cacciatrice a cavallo ed un felino ai piedi del panciuto destriero, ormai trafitto da numerose lance (curiosa, in particolare, è la maschera all’apice di una di esse): la specificità di questi strumenti e degli elaborati decori che percorrono i corpi dei protagonisti sono espressione di quanto Quieti fosse accurato e raffinato nella ricerca del vero e del bello; al tempo stesso, la promiscua gamma di colori che sfuma per tracciarne finemente i contorni, ha l’abilità di evocare lontane simbologie primordiali, con un che di visionario, onirico, quasi sereno, pur trattandosi in fin dei conti di una scena di caccia. In ogni caso, Quieti restituisce un racconto moderno con un vocabolario segnico dalla “indefinita definizione”, per così dire, perché dettagliato come farebbe uno scienziato analitico, ma al contempo dallo sguardo originale e sintetico come si confà ad un artista.