In Between
Quattro artisti cinesi provenienti dalla Provincia di Hubei raccontano la realtà della nuova arte cinese, sospesa tra avanguardia e tradizione, tra inquietudine sociale e rielaborazione dei codici e dei linguaggi, tra riflessione intimistica e ridefinizione della memoria collettiva.
Comunicato stampa
Quattro artisti cinesi provenienti dalla Provincia di Hubei raccontano la realtà della nuova arte cinese, sospesa tra avanguardia e tradizione, tra inquietudine sociale e rielaborazione dei codici e dei linguaggi, tra riflessione intimistica e ridefinizione della memoria collettiva.
Gli artisti presentati in questa mostra fanno parte della “Scuola di Hubei”, gruppo composito, sia a livello generazionale che per la varietà dei linguaggi utilizzati, ma dalle radici e dalla sensibilità artistica comune, tutti provenienti dalla provincia cinese di Hubei.
Il gruppo sta attualmente subendo una forte attenzione critica in Europa.
In Italia, 15 artisti rappresentanti della “Scuola di Hubei” saranno presenti alla mostra “Crossover”, all’Arsenale di Venezia, in una mostra-confronto con altrettanti artisti italiani, parallela alla Biennale di Venezia. Gli stessi artisti saranno in mostra, a partire dal mese di Agosto, allo Spazio Oberdan di Milano, in una mostra curata dal critico e storico dell’arte cinese Ji Shaofeng.
Il lavoro di Ma Lin (1961) si muove sul binario di una pittura fortemente classica dal punto di vista compositivo, con una chiara preponderanza del disegno e un forte uso del chiaroscuro. A rendere nervosa e tesa la pittura è un uso impercettibilmente incorente del colore, un lavoro dinamico sull’anatomia del corpo e un utilizzo sfasato e apparentemente casuale di dettagli di vario genere all’interno del quadro: draghi, bandiere, simboli arcaici provenienti dalla cultura tradizionale cinese o europea, cornici di legno grezzo a incorniciare le composizioni, in un mescolamento caotico e incoerente di elementi dal taglio tipicamente postmodern.
Li Yu (1973) e Liu Bo (1977) lavorano con la fotografia su progetti omogenei e complessi, con un taglio cinematografico e tetralizzato. Nel progetto di cui fanno parte le opere presentate in questa mostra, intitolato “13 Months in the Year of the Dog”, i due artisti reinterpretano, visivamente, attraverso scene ricostruite ad hoc per la macchina fotografica, come antichi “tableaux vivants”, piccoli fatti di cronaca prelevati dalla stampa locale: suicidi, ferimenti, omicidi, stupri, vendette personali, incidenti, fenomeni di “normale” illegalità o di ordinaria violenza urbana, con punte di macabra irrealtà (dalla turista che vuole impedire un borseggio, e viene ferita di fronte all’indifferenza dei passanti, alla statua di un celebre matematico cui dei vandali amputano, per ragioni inspiegabili, entrambe le mani, fino al taglio, da parte di misteriosi delinquenti, di ben otto dita delle mani a un uomo). Ma anche minimi gesti di generosità quotidiana: come l’aiuto, da parte di un tassista, a un anziano membro del Partito che ha perso la strada (metafora, forse, di un passato che fatica a integrarsi col presente), o di un telefonino “extra lusso” (simbolo della nuova opulenza cinese) perso in una corsia di ospedale, e restituito alla proprietaria. I fatti, o fattoidi, narrati, veri o flasi che siano, nella loro bizzarra e violenta “normalità”, gettano uan luce inquietante e drammatica sul galoppante progresso della Cina contemporanea.
Yuan Xiaofang (1961) lavora con il video, la fotografia e la pittura per raccontare scenari inquietanti e apparentemente surreali che rappresentano però, in maniera quasi millimetrica, la realtà contemporanea non solo cinese, ma dello scacchiere globale. Cieli solcati da sofisticatissimi e iperaccessoriati caccia militari, che, nella levigatezza e piacevolezza delle loro linee e nel gioco di luci e colori, che a sua volta si riflettono sull’ambiente che li circonda, riflettono in maniera quasi palpabile la sofisticatezza, e agghiacciante pulizia, delle strutture militari e sociali messe in atto nel cosiddetto “Nuovo ordine mondiale”. Non diversamente, nel video Morning Reading, l’artista mette in scena una “normale” (quanto anacronistica) lezione di disciplina maoista in una classe di studenti cinesi di oggi: ossimoro visivo tangibile, che ben rappresenta, a livello metaforico, le contraddizioni della Cina contemporanea.
Zhang Zhan (1964) ha una pittura vigorosa e colta, che affonda le sue radici in un lavoro di scavo e rivisitazione dei codici e delle iconografie della pittura di paesaggio tradizionale cinese, e, più in generale, orientale; ridefiniti però, attraverso un segno vibrante e teso fino allo spasimo, un uso del colore estremamente sofisticato, e una materia densa e corposa, secondo codici fortemente innovativi e contemporanei. Nei suoi quadri si mescolano infatti, in maniera imprevedibile e sorprendente, suggestioni drammatiche dal sapore vagamente preromantico, retaggi di pittura gestuale e informale, improvvisi sprazzi di luce settecenteschi e atmosfere inquietanti da romanzo post-apocalittico alla Cormac McCarthy.