Inaugurazione Museo di Palazzo Doebbing / Festival d’autunno a Sutri
Inaugurazione del Museo di Palazzo Doebbing a Sutri (VT)
Comunicato stampa
Continuano a maturare i frutti dell’attività di Vittorio Sgarbi sindaco della citta di Sutri.
Si prepara infatti un autunno ricco di iniziative per la città che vivrà uno straordinario risveglio culturale, artistico, mediatico e economico.
Da mesi è in cantiere la riapertura del Museo di Palazzo Doebbing.
Il museo prende il nome da Joseph Bernardo Doebbing,nato a Munster nel 1855.Nel 1874 prese i voti nel convento dei frati minori di Warendorf, alunno della provincia di Sassonia. Nel 1875, a causa dell’espulsione dei Francescani e dei Gesuiti dalla Germania, fu costretto a trasferirsi negli Stati Uniti e si ordinò sacerdote nel 1879; lettore di filosofia e teologia, fu poi professore di filosofia nel seminario di Cleveland. Nel 1881 fu richiamato in Germania, e poi si trasferì a Quaracchi (Firenze) dove lavorò alla pubblicazione delle opere di San Bonaventura. Nel 1883 fu nominato professore di filosofia al Collegio irlandese di San Isidoro a Roma, e qui lavorò alla riforma degli studi filosofici e teologici. In un soggiorno a Capranica conobbe la Tuscia. Nel 1900 fu eletto vescovo di Nepi e di Sutri.
Monsignor Doebbing, uomo di grande fede ma anche di rara e sofisticata cultura, restaurò il palazzo vescovile di Sutri, promuovendo importanti opere per l'educazione dei giovani, del clero e del popolo tutto.
Tra le più notevoli il santuario della grotta santa della Madonna ad Rupes di Castel Sant’Elia.
Morì a Roma nel 1916.Fu un padre per la comunità nepesina e sutrina.
L’autorevolezza e la originalità delle proposte di Vittorio Sgarbi ha attratto sostenitori istituzionali come la Fondazione Cultura e Arte, emanazione della Fondazione Terzo Pilastro - Internazionale presieduta dal Prof. Avv. Emmanuele Francesco Maria Emanuele.
Le gestione degli spazi museali è stata affidata con bando pubblico a Sistema Museo.
Tre momenti inaugurali sono stati previsti:
● Il 14 settembre alle ore 11:30 vernice delle mostre riservata ai giornalisti
● Il 14 settembre alle ore 17:00 inaugurazione del Museo, alla presenza di S.E. il Ministro dell’Istruzione Marco Bussetti e di S.E: il Vescovo di Nepi, Sutri, Civita Castellana Romano Rossi. Seguirà il Concerto dell’Orchestra di Piazza Vittorio alle ore 18:00, offerto dalla Fondazione Cultura e Arte per volontà del Prof. Avv. Emmanuele Francesco Maria Emanuele.
● Il 15 settembre alle ore 14:30 visita riservata del Presidente Silvio Berlusconi e dell’On. Antonio Tajani, Presidente del Parlamento Europeo.
Il 15 settembre alle ore 17:00 apertura ufficiale al pubblico del Museo.
LE DIECI MOSTRE
L’apertura al pubblico del Museo di Palazzo Doebbing, dopo il restauro, imponeva la realizzazione di una serie di iniziative espositive convenienti per configurarlo come nuovo punto di riferimento culturale.
Architettura dominante del centro storico della città di Sutri, Palazzo Doebbing è Museo e Palazzo delle Esposizioni in, collegamento con il Parco Archeologico, insieme al quale costituisce una imprescindibile offerta culturale alle porte della Tuscia. Nove saranno le prime mostre, realizzate anche con il contributo della Fondazione Cultura e Arte, emanazione della Fondazione Terzo Pilastro - Internazionale – che apriranno il 15 settembre. La decima inaugurerà il 15 dicembre.
1. La Bellezza di Dio. Dipinti e oggetti d’arte dal XIV al XVII secolo nella Tuscia
2. Giuseppe Pelizza da Volpedo, Idillio Verde
3. KOUROS. Wilhelm von Gloeden - Roberto Ferri
4. Giovanni Iudice. Il nuovo Quarto Stato: migranti
5. Animali e Piante Immortali. Luciano e Ivan Zanoni
6. Matteo Basilè. ICONE
7. EVA. To the Wonder
8. Italo Mus. Sotto il cielo.
9. Luigi Serafini. Altalena Etrusca. Monumento a Sutri
10. Tiziano, Estasi di San Francesco
Aperture
Le mostre sono aperte dal 15 settembre 2018 al 13 gennaio 2019.
E’ previsto l’allestimento di una libreria interno ai temi delle mostre e un servizio di visite guidate e di laboratori didattici per le scuole.
La bellezza di Dio
Dipinti e oggetti d’arte dal XIV al XVII secolo nella Tuscia
La mostra presenta una preziosa selezione di dipinti, sculture, oggetti d’arte provenienti dal territorio della Diocesi di Civita Castellana.
34 opere che documentano l’importanza del patrimonio di arte sacra, dal raro cofanetto in avorio di Civita Castellana, ai capolavori di Antonio da Viterbo, Sano di Pietro e Antoniazzo Romano e altri maestri dalle Chiese di Orte, Nepi, Monterosi, Gallese, Castel Sant’Elia, Capranica, Bassano Romano, Trevignano, Sant’Oreste, Ponzano, Mazzano, Capena, Campagnano, Bracciano, principali località della Tuscia.
Un inno alla bellezza di Dio attraverso la visione e il magistero di artisti dotti ed ispirati nella rappresentazione dell’iconografia cristiana.
a cura di Luisa Caporossi e Isabella Del Frate
con la supervisione di Vittorio Sgarbi
Giuseppe Pelizza da Volpedo. Idillio verde
“Giuseppe Pellizza da Volpedo è conosciuto universalmente per il suo Quarto stato che inaugura il secolo XX, ed è forse il primo dipinto di soggetto civile della nostra tradizione pittorica, icona delle lotte proletarie di tutto il Novecento. Il Quarto stato è il manifesto politico di Pellizza da Volpedo, l'Idillio verde è la sua meditazione lirica, la sua interiorità romantica; e sono entrambi dipinti nel 1901, come introduzione a un mondo nuovo. Il Quarto stato è una marcia, un avanzare per conquistare diritti e dignità; l'Idillio verde è una passeggiata privatissima, riservata.” Vittorio Sgarbi.
Primo de Vecchis, sottolineando i due diversi cammini, uno verso la storia e uno verso l'anima, scrive: “Anche qui ritroviamo il tema compositivo del passeggiare, dell'avanzare delle figure tratteggiate (con uno stile divisionista molto fluido e personale), ma l'inquadratura è del tutto diversa, la coppia di giovani amanti viene colta infatti di profilo. L'osservatore esterno somiglia a qualcuno che contempli rapito una scena idillica, la quale non si esaurisce negli innamorati che confabulano, ma include un prato abbarbagliato dal sole, dove pascolanti greggi di pecorelle brucano l'erba, tra alberi e arbusti, mentre sullo sfondo si eleva una collina coltivata. La luce è studiatissima, come se si trattasse d'un fotogramma del film Barry Lyndon di Stanley Kubrick, e colpisce con sottili scintillii parte del contorno dei capelli degli amanti, la veste rossa della donna, il pelame delle pecorelle, le foglioline delle siepi, i fiori, le chiome degli alberi. È proprio lo studio accuratissimo della luminosità a infondere un sentimento idilliaco e sublimato all'intera composizione. Il tondo, dal diametro di 100 cm, appartiene a un ciclo di cinque dipinti di forma varia, che l'artista chiamò L'amore nella vita... Gli innamorati dipinti sono situati in un lato della composizione e avanzano lentamente verso il lato opposto; tuttavia l'osservatore esterno coglie anche la profondità del paesaggio attraverso i diversi piani delle siepi, del prato e delle colline: la forma rinascimentale del tondo somiglia all'obiettivo di una macchina fotografica, che colga l'infinito istante delle amorose conversazioni».
Una formidabile tensione luminosa, una vera e propria tessitura di luce, è favorita dalla stesura di piccole macchie, punti di colore secondo la tecnica divisionista o pointillista, che caratterizza i corrispondenti francesi di Giuseppe Pellizza da Volpedo, in particolare Georges Seurat. Ma ciò che è artificioso e forzato nei pittori d'Oltralpe, come un teorema scientificamente misurabile (penso al Paysage avec cheval di Seurat), appare naturale, come l'alito della creazione, in Giuseppe Pellizza da Volpedo. Camminando nel parco archeologico di Sutri si vive la stessa emozione che Idillio verde trasmette. Osservarlo a Sutri, affacciandosi dalla terrazza di palazzo Doebbing verso Villa Savorelli e l'area archeologica, nella collina di tufo e di verde, ci avvolge in una indistinguibile fusione di arte e natura. La sensazione è ben descritta nel libro Verde muschio di una scrittrice di Sutri, Martina Cecilia Salza: “il muschio è figlio del silenzio che regna solitario e uliginoso. Il muschio è figlio di un regno incantato, all'incrocio dei sogni, dove i vivi e i morti si parlano e si toccano”.
L’opera verrà concessa in prestito dal Museo Civico di Ascoli.
con la supervisione di Vittorio Sgarbi
KOUROS. Wilhelm von Gloeden - Roberto Ferri
La mostra pone in dialogo i due artisti nudisti Wilhelm von Gloeden e Roberto Ferri, orientati prevalentemente al nudo maschile, in relazione all’ispirazione del mondo classico.
La sezione su Wilhelm von Gloeden è costituita da circa 20 fotografie della Collezione di Antonio Malambrì a Taormina. I soggetti sono prevalentemente adolescenti e giovani siciliani fotografati tra il 1890 e il 1930 in posizioni statuarie, benché umanissime, visti principalmente a Taormina ma anche a Napoli, Palermo, Siracusa, Monreale, Randazzo e Zafferana.
La maggior parte delle fotografie non ha titolo o didascalie, con l’eccezione di soggetti come Caino, Eleonora Duse, La terra del Fuoco. La tecnica prevalente adottata da von Gloeden è all’albume oltre che al sale e al bromuro di potassio.
“L'imitazione di pitture antiche o moderne, gli ingrandimenti confusi ricavati da piccole negative, la grana eccessiva e numerosi altri artifici cui oggi in fotografia si ricorre possono valere a sorprendere l'occhio, ma nulla possono creare. Io non ho mai creduto che la fotografia per elevarsi debba rinnegare la sua origine”. Wilhelm von Gloeden.
“Wilhelm von Gloeden, tra classicismo e simbolismo traduce il nudo accademico, prevalentemente maschile, in fotografia della realtà antropologica e pittoresca che confina con il mito. Si tratta di ragazzi ritratti in esterni, in una natura intatta, con evidenti allusioni alla civiltà greca nelle posizioni e nelle vesti. I suoi modelli sono prevalentemente ragazzi di Taormina, immaginati come fragili divinità indisturbate dal tempo e quasi inconsapevoli del loro malizioso erotismo.” Vittorio Sgarbi.
Roberto Ferri propone una decina di oli su tela e alcuni disegni, in dialogo con von Gloeden.
Nato a Taranto nel 1978, si diploma al Liceo artistico della sua città nel 1996. Inizia a studiare pittura come autodidatta, e si trasferisce a Roma nel 1999 per approfondire lo studio della pittura antica, dall’inizio del Cinquecento alla fine dell’Ottocento; in particolare, si applica alla pittura caravaggesca e alla grande tradizione accademica francese dell’Ottocento tra Neoclassicismo e Simbolismo (David, Ingres, Girodet, Géricault, Gleyre, Bouguereau...) Nel 2006 si laurea all’Accademia di Belle Arti di Roma nel corso di scenografia. Per tre anni studia con Gaetano Castelli e l’ultimo anno con Francesco Zito. Illustra la Via Crucis per la Cattedrale di Noto nel 2010. Partecipa alla Biennale di Venezia nel 2011.
Scrive di lui Vittorio Sgarbi:
“Ferri è un fenomeno, ammirevole come e più di un pittore antico.
Ha, di colpo, superato i pittori figurativi più abili nella duplicazione della realtà.
Il suo primo pensiero è stupire. Con formidabile disciplina rimedita la grande tradizione della pittura barocca, da Caravaggio a Ribera, da Bernardino Mei a Tiepolo. In realtà, Ferri è un virtuoso che riporta nella realtà i sogni. Talvolta essi sono incubi. Ma l’armonia delle forme domina i soggetti anche nelle loro torsioni più audaci, nelle mutilazioni, nei traumi.
L’occhio di Ferri registra e riproduce l’ordine delle cose in un mondo dove tutto funziona, e c’è spazio anche per il male. Ed eccoci qui, davanti a quadri antichi sorprendentemente moderni; apparentemente accademici ma trasgressivi. Una sfida al resto del mondo. La figura umana per Ferri è inevitabile ma deve essere anche trionfante, eroica, in un continuo riferimento a modelli e composizioni già pensate e da lui portate a uno stupefacente rigore. Così egli determina un effetto borgesiano: chiede e ottiene stupore, e dipinge, oggi, quadri antichi: così noi davanti ai suoi quadri non sapremo dire in che epoca siamo. Un iperbarocco? E insieme un neoclassico e un caravaggesco. Ferri continua l’inganno, non sarà mai abbastanza contemporaneo e mai un pittore antico. Dipinge come un antico soggetti moderni ma, di fronte al corpo umano ignudo, non si può fermare, non può deformare (se non è deforme), ed è costretto a essere un altro. Nuovo come pittore antico; antico come pittore moderno.”
a cura di Gabriele Accornero
con la supervisione di Vittorio Sgarbi
Giovanni Iudice. Il nuovo Quarto Stato: migranti
Il Quarto Stato oggi: migranti, di Giovanni Iudice rappresenta lo stadio febbricitante del nostro tempo, combattuto tra accoglienza e respingimento.
Scrive di lui Vittorio Sgarbi:
“Una singolare testimonianza di profondissimo impegno individuale, pur nell’ambito di convincimenti comuni, e meditando all’impegno etico di Antonio Lòpez Garcia, è quella maturata da Giovanni Iudice, pittore in equilibrio fra realismo magico e neorealismo, al quale si deve l’opera più impegnativa dipinta in Sicilia dopo La Vucciria di Renato Guttuso, un’opera corale, nella quale si rappresenta il destino degli emigranti dall’Africa sulle coste siciliane tra Lampedusa e Gela. Quella umanità rassegnata, incapace di decidere il proprio destino, rappresenta il fallimento della speranza cento anni prima evocata nel Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo. Il cammino percorso da quel popolo si è interrotto. E il viaggio verso la speranza si è rivelato, per il popolo dei disperati, un viaggio verso la morte o verso il nulla. Iudice lo racconta con freddezza, senza apparente coinvolgimento emotivo. Per il suo valore simbolico, l’opera è stata esposta nelle sale dell’Assemblea Regionale Siciliana a Palazzo dei Normanni.”
“Una delle prime volte che mi sono avvicinato alle opere di Giovanni Iudice, sono rimasto colpito dal suo rapporto con la storia dell’arte siciliana: mi veniva in mente Pirandello, Guttuso e altri artisti che amo e mi sembrava che Iudice, benché assolutamente contemporaneo avesse qualcosa di loro dentro di se.
Ho incominciato a collezionare quasi tutti i suoi lavori e ancora oggi Iudice è per me un grande artista nonché un grande amico.
Con le sue opere riesce a trasmetterci la vera Sicilia, non solo la bellezza del suo mare e la sua luce intensa ma la descrive anche attraverso i suoi drammi, come quello dei migranti. Fin da subito ho avuto la sensazione che i suoi dipinti dimostrassero una presa di coscienza forte del problema dell’immigrazione che oggi, passati più di quindici anni, è ancora attualità. Penso che Iudice abbia riconosciuto nella figura del clandestino una delle icone più rappresentative del contemporaneo, un nomade pieno di speranze, che immagina la terra promessa con la morte nel cuore, per la patria che ha lasciato. Attraverso una ricerca che parte dalla fotografia, si delinea nei suoi lavori una precisa volontà di dare forma al suo punto di vista, radicale, profondo, sulla difficile condizione del mondo che lo circonda, voltandosi verso l’uomo, dando voce a chi, molto spesso non ce l’ha.” Giuseppe Ianaccone
a cura di Giuseppe Ianaccone
con la supervisione di Vittorio Sgarbi
Luciano e Ivan Zanoni. Animali e Piante Immortali
Sulle terrazze e nel giardino, con un richiamo negli interni, troveremo Animali e piante immortali,, ferri battuti creati dalla mano e dal cuore di Luciano e Ivan Zanoni, due verginali artisti di Caldes (Val di Sole Trento), già in mostra in Biennale e in Expo
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Scrive di loro Vittorio Sgarbi:
“La natura, le piante, gli animali hanno una seconda vita nella creazione del padre e del figlio Zanoni, per affidarli, quando il mondo sarà finito, alla eternità. Monumenti nel deserto.”
● di Luciano (padre) saranno in mostra: Ulivo, Pero, Vite
● di Ivan (figlio): Delfini, Coccodrillo, Elefante, Canneto
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con la supervisione di Vittorio Sgarbi
Matteo Basilé. ICONE
Scrive di lui Vittorio Sgarbi:
“Basilé è un artista elegante. Per lui la fotografia è lo strumento inevitabile per esprimere un’idea d’arte che non sia rielaborazione del già elaborato e del già visto. I suoi maestri sono Edward Weston e Robert Mapplethorpe, esteti fino allo sfinimento.
Basilé usa il digitale come un pittore i colori. E le sue immagini appaiono corrette e rigorosamente realistiche, mentre sono intimamente surreali.
Basilé crea una doppia realtà o una realtà virtuale soprattutto nei ritratti. La sua distanza dalla realtà corrisponde alla scelta di vivere lontano, guardando l’occidente da Bali. Ma qui deriva una visione non distaccata ma temperata dalla nostalgia. Come se egli dalla esperienza delle cose estraesse degli archetipi che stanno dentro di lui, come erede di una grande tradizione familiare.
Stare lontano non significa sentire e vedere meno, ma sentire con il cuore e il filtro della memoria. La pittura non consentirebbe di instaurare un rapporto così implacabile con il visionario come può il digitale. Il virtuosismo di taluno si esprime come una esaltazione competitiva rispetto alla fotografia.
Così alcuni sogni di Basilé sono pittoricamente intercettati dallo spagnolo Dino Valls. Entrambi sono realisti e visionari, ma la fotografia consente a Basilé di essere anche più lontano dalla realtà.”
con la supervisione di Vittorio Sgarbi
EVA. To the Wonder
15 settembre – 14 novembre 2018
La mostra dell’artista russa EVA propone video e fotografie. L’esposizione elaborata dall’artista insieme al curatore Gianluca Marziani, direttore artistico di Palazzo Collicola Arti Visive a Spoleto. Il progetto è presentato da Olga Strada con la collaborazione di Letizia Cassata e il coordinamento di Gabriele Accornero e Elena Kameneva.
Di EVA scrive Pierre Cardin:“Quella di Eva è un’arte simbolica nel contesto di un’interazione tra tradizione e rinnovamento nell’arte contemporanea. Appartenendo a un ambito d’avanguardia, percepisce il legame con le profonde radici della cultura ma anche il ruolo rinnovato della tradizione, organicamente connessa ad una continuità creativa di pura sperimentazione.”
EVA ha ultimato la facoltà di Giurisprudenza e per lungo tempo ha conciliato l’attività artistica con quella giuridica. EVA si è dedicata ad alcuni aspetti del pensiero spirituale, tipici di certe correnti filosofiche del postmodernismo. I progetti, figli di un sapere eterogeneo, toccano le eterne questioni metafisiche, i valori umanitari e le basi etiche attraverso il prisma di una pratica multimediale. Fotografia digitale e video sono i media che guidano la selezione per Sutri. Una pratica mediale che riflette i complessi piani di comunicazione tra Uomo e Universo, dove l’arte diviene un tramite di conoscenza per sviscerare le contraddizioni del reale. Per l’artista russa l’arte rappresenta un mezzo con cui comprendere la natura umana nel nostro tempo, uno strumento perfetto per ribaltare distorsioni e fantasie, equilibri ed eccessi spasmodici.
a cura di Gianluca Marziani
con la supervisione di Vittorio Sgarbi
Italo Mus. Sotto il cielo
Scrive di lui Vittorio Sgarbi:
“Italo Mus, dalla Valle d’Aosta. Ovvero l'odore del legno. Protezione, tradizione, famiglia. È quell'odore, di legno di noce, che più di ogni altro pittore Italo Mus descrive in tele che hanno la forza di Sironi e l'intimità di de Pisis. Ritirato in Valle d'Aosta, Mus va restituito alla pittura italiana del Novecento, come un integro pittore dell'uomo, del suo lavoro, dei suoi valori. Nelle opere di Mus, nelle lunghe serate d'inverno, arrivano i rintocchi delle campane di Rouault e di Permeke, attribuendo a Mus una dimensione internazionale, come poeta del dolore e della consolazione. Il mondo contadino è un mondo universale, di valori antichi.”
Italo Mus è nato a Châtillon, nel 1892, nel villaggio di Chaméran, da Eugène Mus, scultore, e la sua formazione inizia nella bottega del padre. La tradizione è l'elemento fondante della sua ispirazione, il principio di una ricerca integra che non rinuncia, nella modernità, al passato e ai valori della famiglia. Nel 1910, il centro Internazionale delle Belle Arti di Roma organizzò una rassegna alla quale parteciparono 27 maestri tra i più noti, quali Chagall, Raoul Dufy, Jean Cocteau e Picasso; in questa circostanza il giovane Italo Mus ebbe il suo riconoscimento nazionale vincendo il Primo Premio al Salone dei Giovani Pittori. Nel 1909, consigliato da Lorenzo Delleani, Mus si era iscritto all’Accademia delle Belle Arti di Torino, seguendo i corsi di pittura e di disegno sotto la guida di Giacomo Grosso, Paolo Gaidano, Luigi Onetti e Marchisio, artisti ,come lui, fedeli alla tradizione, allo studio dell'antico e secondo i quali era essenziale saper disegnare. Molto legato alla Valle d'Aosta, Mus se ne allontanerà solo per brevi periodi. Nel 1913 lo troveremo a dipingere ad affresco a Lione, Losanna e Friesch, vicino a Briga.
È soldato nella Grande Guerra. Al ritorno conosce Giuseppina Crenna, che sposerà nel 1920 e da cui avrà quattro figli. Nel 1932 Mus progetta Il Monumento ai Caduti della Prima Guerra mondiale a Saint Vincent. L'opera, modellata in creta, poi fusa in bronzo a Milano, rappresentava un alpino con il fucile in mano e il compagno morto sulle ginocchia. Il monumento fu distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale per la raccolta del metallo alla patria. Fu nel 1938 che Guido Marangoni, critico d’arte, conobbe Mus e ne vide le opere nello studio del pittore. Ne scrisse sulla rivista “Perseo” definendolo “pittore di grande talento”. In Sono gli anni in cui Mus conosce gli artisti più notevoli della sua generazione, come Filippo de Pisis, Carlo Carrà, Pietro Morando e Francesco Menzio, e anche Antonio Ligabue. Dialoga, nel suo studio di Saint-Vincent, con De Pisis e nel 1956 alcuni suoi dipinti sono esposti a New York e Buenos Aires.
Alla metà degli anni sessanta, ancora in piena attività, una grave malattia non gli consente più di lavorare; e il 15 maggio 1967 muore a Saint-Vincent. Italo Mus eseguì circa duemila lavori tra disegni, dipinti, bozzetti, divisi, nella stessa catalogazione dell'artista, in tre periodi ben distinti. Nel primo periodo, tra il 1920 e il 1940, troviamo le opere che più caratterizzano l'artista: sono di questi anni i meravigliosi interni, le campagne con le fienagioni, i paesaggi e i balli che raccontano momenti della vita montanara nella Valle d’Aosta. Nel secondo periodo, tra il 1941 e il 1958, l'esecuzione pittorica mostra un cambiamento espressionistico e i suoi dipinti diventano un pretesto per "fare del colore". Infatti l'invenzione di forme nuove prevale sulla descrizione della realtà. Mus si applica allo sgraffito con l'effetto del calco sulla carta velina.
“Italo Mus integra nella sua espressione artistica molteplici radici, una solida preparazione tecnica accademica, l’amore e la conoscenza delle Alpi e dell’Alpinità in particolare valdostana, il senso della tradizione, una profonda familiarità con gli antichi mestieri, una grande attenzione al paesaggio. In mostra pezzi di grande pregio: Melanzana, Sabotier, Cena di Emmaus, Visione preistorica, Il riposo del minatore, Paesaggio, in dialogo con l’Idillio verde di Pellizza da Volpedo, in una sinfonia di colori e forme e tensioni di luci e ombre”. Gabriele Accornero
a cura di Gabriele Accornero
con la supervisione di Vittorio Sgarbi
Luigi Serafini. Altalena Etrusca
Monumento a Sutri
“L’Altalena Etrusca (Etruscum Oscillum) è la ricostruzione di un ritrovamento archeologico finora mai effettuato, ma che si basa su una considerazione che gli Etruschi furono un popolo religioso e ludico al tempo stesso, tant’è che insegnarono il Greco ai confinanti Romani, se è vero com’è vero che la parola ludus è appunto di origine etrusca”. Luigi Serafini.
Scrive di lui Vittorio Sgarbi:
“È difficile credere che siano passati più di trent'anni dall'apparizione del Codex Seraphinianus, un'opera sconvolgente, soprattutto per chi, come me, la conosce dalle sue origini, e ne ha subito riconosciuto l'assoluta novità, di cui non si è avuta perfetta coscienza. L'opera si presentò da sola, come concepita per un Principe rinascimentale, prima e indipendente dal suo autore. Fu, nel 1981, a casa del suo editore, Franco Maria Ricci. Il giovane editore iniziava allora un'impresa monumentale, sotto il titolo FMR: non un libro, ma una rivista d'arte, senza limiti e confini.
Nel suo peregrinare aveva incrociato a Roma un architetto silenzioso e stralunato, che stava inventando un nuovo mondo, una vera e propria «scoperta». Una doppia scoperta. Ricci «scopriva» lo scopritore del nuovo mondo, Cristoforo Colombo del labirinto del pensiero, impegnato a illustrarlo in tavole disegnate di inesauribile fantasia.
Nel suo studiolo, poco lontano da Piazza di Spagna, Luigi Serafini esplorava gli angoli sperduti di quelle terre ritrovate, illustrandone la flora, la fauna, i pesci, le architetture, l'orografia, le varietà della natura, l'organizzazione della società. Ogni immagine era accompagnata da testi e didascalie in una lingua inventata, in geroglifici per i quali Serafini aveva predisposto una Stele di Rosetta per favorirne l'interpretazione. Un virtuosismo, dal momento che tutto era già chiaro nella minuziosa forza descrittiva delle immagini.
Pensando ai grandi miniatori del Medioevo e del Rinascimento, ferraresi, cremonesi, padovani e anche fiorentini, senesi e ai loro codici di irrefrenabile fantasia, Franco mostrava i fogli di Luigi con eccitazione e sorpresa, trasmettendo l'entusiasmo che le immagini gli procuravano. Eravamo davanti a un miracolo che non temeva il confronto con le portentose meraviglie dei grandi miniatori. Serafini non finiva di stupire per le invenzioni, e anche per la straordinaria perfezione calligrafica e quasi la perversione del disegno. Ciò che, nell'arco di tre anni, Serafini aveva elaborato, era un vero e proprio codice miniato, una enciclopedia nel senso ambivalente della illustrazione e della Encyclopédie illuministica. E Ricci ne era l'editore, sia nella prospettiva del libro prezioso, sia nell'intendimento pedagogico della moderna tradizione francese. Il dotto e il curioso convivevano nel suo euforico progetto.
La soddisfazione era anche nel rivelare al mondo una così prodigiosa impresa, che, nella sensibilità contemporanea, rappresentava l'avventura più fantasiosa dopo De Chirico, Savinio e i surrealisti.
La scoperta si insinuava in una linea editoriale nella quale le curiosità enciclopediche erano presidiate e moltiplicate da spiriti universali e curiosi come Jorge Luis Borges, Italo Calvino, Giorgio Manganelli, Giovanni Mariotti, Gianni Guadalupi, Julio Cortazar, Roland Barthes, Claudio Rugafiori.
A questi autori, e anche a me, era affidata gran parte della novità di FMR, e Luigi Serafini era l'unico artista contemporaneo ammesso tra le meraviglie di un passato inesauribile. Ognuno di noi, da Calvino a Umberto Eco, lo osservava con stupore e ammirazione vedendo squadernarsi davanti agli occhi un mondo mai prima visto. E a me fu chiesto di scriverne per una mostra dei suoi fogli in Palazzo Grassi a Venezia, tra il 1982 e l'83. Ne scrissi senza conoscere l'autore, cercando di risalire alle sue letture a anche al repertorio di oggetti del suo studio, nel tentativo di fornire un identikit prima artistico e poi umano.
Quando poi conobbi Serafini, egli mi manifestò a sua volta stupore perché avevo descritto il suo studio, bicicletta compresa, senza averlo visto, indicando anche alcuni libri che gli erano particolarmente cari. Ne nacque un'amicizia che s'incrinò soltanto quando, dopo avere, ogni due anni, per quasi un trentennio lamentato la sua assenza alla Biennale di Venezia, mi toccò finalmente d'invitarlo nel 2011, nominato dal Governo Commissario del Padiglione Italia. Lui non intese il riscatto, ma l'ipoteca governativa (come dire, per lui, di regime), e in un primo momento rifiutò l'invito destando la mia ira furibonda. Non durò troppo, giacché io ammisi, tra le opere, la sua innocua provocazione contro Silvio Berlusconi neutralizzando la sua infantile polemica. Dopo trent'anni, finalmente, Serafini, artista meraviglioso, era arrivato alla Biennale.
Nel frattempo il suo Codex, parzialmente esposto ora a Torino, non è invecchiato e ha corso il mondo in volumi preziosi e in diverse edizioni dopo la prima di Franco Maria Ricci. E anche in quella originaria, formidabile occasione, Serafini trovò in me un tutore e un garante, giacché dissuasi l'editore a stampare le sue tavole, pur con assoluta fedeltà riproduttiva, su carta azzurra, per un vezzo ottocentesco. I due volumi del Codex, che allora uscirono, sono un monumento della civiltà artistica italiana nella scia della Bibbia di Borso D'Este. E, per chi li ha conosciuti, una fonte inesauribile di delizie.”
con la supervisione di Vittorio Sgarbi
Tiziano, Estasi di San Francesco
Sempre dal museo di Ascoli Piceno il 15 dicembre, arriverà la grande, maestosa tela con San Francesco riceve le stigmate di Tiziano, il cui incandescente paesaggio è una risposta tellurica, sulfurea all'Idillio verde.
Proveniente dalla chiesa di San Francesco ad Ascoli Piceno, la tela fu commissionata dopo il 1561, da Desiderio Guidoni, membro della facoltosa famiglia di Accumoli, trasferitasi ad Ascoli intorno al 1540. Richiamando gli ideali mistici tridentini, Tiziano inscena la composizione collocando il committente-inginocchiato, fuori dal campo dell’episodio sacro, su due gradini di pietra ornati dall’arme della famiglia Guidoni: oltre i gradini, si apre un vasto paesaggio roccioso animato da un corso d’acqua che forma una cascatella, richiamando luoghi cari all’artista sin dalla sua infanzia cadorina. Il Redentore, che scende da una croce infuocata come Christus triumphans, è immerso in una nuvola luminosa da cui emanano fasci di luce vermiglia che colpiscono come stimmate il costato, le mani e il piede destro di San Francesco.
Il dipinto di Ascoli appartiene alla fase estrema dell’arte di Tiziano. La velocità di esecuzione soprattutto nel paesaggio rende l’ultimo tempo di Tiziano di sconcertante modernità tanto da apparire di impressionistica evidenza anticipando Turner e Renoir. Nel lungo perdurare del gusto accademico l’opera poteva risultare di difficile comprensione non mantenendo un adeguato riconoscimento.
con la supervisione di Vittorio Sgarbi
Dichiarazioni
Vittorio Sgarbi
“In queste stanze, restaurate con sensibile attenzione e sobrio gusto, saranno accolti, con alcuni capolavori della Tuscia, dipinti di grandi maestri, in armonia con i luoghi, a partire dall' Idillio verde di Giuseppe Pellizza da Volpedo, di cui quest’anno ricorre il centocinquantesimo anno dalla nascita. Idillio verde, altrimenti detto Passeggiata amorosa, proveniente dal museo civico di Ascoli Piceno, rappresenterà, nel nuovo museo di Palazzo Doebbing, la meditazione lirica, la sintesi di amore e natura, l’interiorità romantica espresse da Giuseppe Pellizza da Volpedo, rispetto all'impegno politico del Quarto stato che inaugura il XX secolo, ed è forse il primo dipinto di soggetto civile della nostra tradizione pittorica, icona delle lotte proletarie di tutto il Novecento. Dello stesso anno inaugurale, il 1901, è Idillio verde. La presenza di Giuseppe Pellizza da Volpedo, nella sua duplice essenza romantica e rivoluzionaria, rappresenta l’augurio perfetto per il Rinascimento della Città.
In attesa di una disposizione museale, verrà trasferita a Palazzo Doebbing una parte dell'Antiquarium di Sutri, con il celebre Efebo, mentre vi troveranno ricovero le opere più a rischio del patrimonio della diocesi, in questa circostanza oggetto della grande e luminosa mostra La bellezza di Dio. Altri spazi espositivi saranno destinati alle fotografie di Wilhelm von Gloeden in dialogo con i dipinti di Roberto Ferri, virtuoso maestro intorno al quale abbiamo istituito a Sutri l'Accademia di Belle Arti, presieduta da Emmanuele Emanuele, che aprirà i suoi corsi a primavera, in Villa Savorelli. Ampio spazio anche all’arte contemporanea con la presentazione di una proposta di respiro internazionale: la mostra dell’artista russa EVA dal titolo To the wonder, con installazioni video e fotografie. Sulle terrazze e nel giardino troveremo Animali e piante immortali, ferri battuti creati dalla mano e dal cuore di Luciano e Ivan Zanoni. Il nuovo Quarto stato di Giovanni Iudice pone alla riflessione il tema dei Migranti nel dilemma tra accoglienza e respingimento mentre le opere di Italo Mus dialogano con Pellizza da Volpedo consacrando l’uomo Sotto il Cielo. La forza delle immagini di Matteo Basilé supera i confini del mezzo fotografico, analogamente Luigi Serafini trasferisce il mito nel presente progettando un monumento etrusco per Sutri. Infine, il 15 dicembre, sempre dal museo di Ascoli Piceno, arriverà la grande, maestosa tela con L'Estasi di San Francesco di Tiziano, il cui incandescente paesaggio è una risposta tellurica, sulfurea all'Idillio verde.
Così si inaugura il nuovo museo, nel palazzo ripristinato agli inizi del secolo scorso da un vescovo tedesco illuminato, Giuseppe Bernardo Doebbing, e oggi restaurato e restituito al pubblico godimento, in una perfetta armonia fra Regione, Curia, e Amministrazione comunale. Con il sostegno e il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri, dei Ministeri dell'Interno, dei Beni culturali, dell’Istruzione, del Lavoro e dello Sviluppo Economico e con il fondamentale contributo della Fondazione Cultura e Arte, emanazione della Fondazione Terzo Pilastro - Internazionale presieduta dal Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele.”
Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele
“Come ho già avuto modo di dire allorché Vittorio Sgarbi mi ha conferito, a luglio scorso, la cittadinanza onoraria di Sutri, io amo profondamente questa cittadina, che anni fa mi colpì a tal punto per la sua bellezza da indurmi ad acquistare una casa e a farne, da allora, il luogo in cui più mi piace rifugiarmi quando mi allontano da Roma. E’ stato perciò naturale, per me, rispondere affermativamente e senza indugi all’appello del Sindaco, che intende fare di Sutri una meta inevitabile a cominciare dal Museo di Palazzo Doebbing con ben dieci mostre in contemporanea, che coniugano arte sacra e profana, fotografia e pittura, maestri della tradizione e artisti moderni.
Vogliamo partire da qui, da questo luogo perfetto per armonia e storia, per fare della cultura, dell’arte e del bello – vere risorse di questo nostro straordinario Paese – gli strumenti per una rinascita umanistica ed economica della Tuscia.”
S. E. Mons. Romano Rossi
Vescovo di Nepi, Sutri e Civita Castellana
“L’apertura del Museo di Palazzo Doebbing nell’antica sede episcopale di Sutri costituisce una straordinaria occasione di crescita culturale per la città di Sutri e per tutta la Tuscia,
Mi auguro che gli stimoli di carattere religioso e spirituale che conseguiranno dalle attività espositive del presente e del futuro concorrano a far crescere nei cittadini la fierezza dell’appartenenza e l’apertura alla bellezza.”
FESTIVAL D’AUTUNNO
VOCI A SUTRI
Il Festival d’autunno a Sutri si articolerà in conferenze su grandi spiriti e personalità italiane, titolazioni di piazze e strade della Città di Sutri.
Villa Savorelli, Palazzo Doebbing.
Le Strade e la Storia
● 12 settembre. Intitolazione strada a Pierpaolo Pasolini: voce Walter Siti.
Intitolazione strada Giuseppe Peano: voce Pierluigi Odifreddi.
● 14 settembre alle ore 17:00. Inaugurazione del Museo di Palazzo Doebbing, con concerto dell’Orchestra di Piazza Vittorio alle ore 18:00, offerto dalla Fondazione Cultura e Arte per volontà del Prof. Avv. Emmanuele Francesco Maria Emanuele.
● 15 settembre. Intitolazione Largo a Enzo Tortora: voci Silvio Berlusconi e Antonio Tajani.
Commemorazione Sergio Marchionne
● 16 settembre. Rappresentazione teatrale Tableaux vivants da Caravaggio nella Chiesa di San Francesco in Piazza San Francesco.
● 19 settembre. Intitolazione strada a Leonardo Sciascia: voci Felice Cavallaro, Matteo Collura.
Intitolazione strada Cesare Pavese: voce Furio Colombo.
● 23 settembre. Intitolazione strada a Primo Levi: voce Moni Ovadia.
Rappresentazione teatrale Cabaret Yddish di Moni Ovadia in Piazza del Comune di Sutri.
● 29 settembre. Intitolazione strada a Benedetto Croce: voce Giulio Giorello.
Intitolazione strada a Federico Zeri: Voce Roberto D’agostino.
● 30 settembre. Intitolazione strada a Oriana Fallaci: voce Luigi Mascheroni.
Intitolazione strada a Julius Evola: voci Pietrangelo Buttafuoco, Alessandro Giuli.
● 1 ottobre. Intitolazione strada a Giovanni Testori: voce Luca Doninelli.
Intitolazione strada a Giorgio Almirante: voce Giorgia Meloni.
Intitolazione strada a Gesualdo Bufalino: voci Emmanuele Emanuele, Massimo Onofri.
● 13 ottobre. Intitolazione strada a Giovanni Gentile: voce Tullio Gregory.
Intitolazione strada a Lodovico Ariosto: voce Nuccio Ordine.
● 16 ottobre. Intitolazione strada a Gian Marco Moratti: voci Luca Cordero di Montezemolo, Massimo Moratti, Piero Prenna.
Intitolazione strada a Paolo Borsellino: voce Alfonso Bonafede
● 17 ottobre. Intitolazione strada a Aldo Pezzana Capranica del Grillo: voce Emmanuele Emanuele
Intitolazione strada a Vittorio Strada: voci Serena Vitale, Adriano Dell’Asta, Olga Strada.
● 24 ottobre. Intitolazione strada a Umberto Eco: voci Mario Andreose, Furio Colombo,
Intitolazione strada a Francesco Cossiga: voci Paolo Del Debbio, Mario Caligiuri, Pasquale Chessa.
Intitolazione strada a Gianroberto Casaleggio: voce Alfonso Bonafede.
In data da definire
● Intitolazione strada a Palmiro Togliatti: voci Emanuele Macaluso, Ugo Sposetti,
● Intitolazione strada a Gaetano Scirea: voce Gianluigi Buffon.