Incroci possibili

Informazioni Evento

Luogo
MUSEO DEI CAPPUCCINI
Via Giuseppe Bonini Ferrari 6, Reggio Emilia, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

sabato, domenica e festivi dalle 15.00 alle 18.00,
in occasione degli eventi espositivi anche dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 12.00.

Vernissage
30/04/2013

ore 21

Patrocini

Comune di Reggio Emilia, FOTOGRAFIA EUROPEA 013, Reggio Emilia.

Curatori
Enzo Zanni
Generi
fotografia, collettiva

Una mostra collettiva, per definizione, presuppone la condivisione di un “qualcosa” che si traduce in un progetto unico ma non certo univoco: undici fotografi della Galleria Fotografica Luigi Ghirri realizzano “Incroci Possibili” per il cambiamento.

Comunicato stampa

Per l'edizione 2013 di Fotografia Europea che ha come tema “Cambiare - fotografia e responsabilità”, nel Museo dei Cappuccini tre mostre di autori che indagano il tempo e i cambiamenti che questo porta alle stagioni dell'uomo. “Fotografare il Tempo” è, appunto, il titolo unificante delle tre esposizioni: “Πάνtα ῥεῖ ” (Tutto scorre) propone gli scatti del Circolo degli Artisti di Reggio Emilia, “Emilia on the road: percorsi tra confine e identità” con le immagini del Circolo fotografico Color's Light di Colorno, “Incroci possibili” è dedicata alle fotografie della Galleria Fotografica Luigi Ghirri di Caltagirone.

FOTOGRAFIE: MICROCRISTALLI DI MUTAMENTO
Non cambiare tu! Resta come sei e vedrai / che lasciando vivere il tuo tempo / puoi sentirti crescere da dentro /
è difficile lo so / in un mondo che cambia come il vento / ma tu non sei vento non cambiare tu. /
La stessa si! La stessa in quello che fai / l'anima, la mente, la tua idea. /
La stessa si! La stessa anche quando vuoi / cambiare tutto, e tutto cambia te / non cambiare tu, non cambiare tu.
Biagio ANTONACCI, Non cambiare tu, 1998
La fece sedere nella poltrona del salotto - quella Voltaire, ora fissata così saldamente al pavimento dello studio - e la ritrasse. Apertura 5,6, un 25° di secondo. Fin dall’indomani, stampando il negativo su carta Kodakchrome, gli venne la grande ispirazione, quella che lo avrebbe reso celebre: in ginocchio davanti a lei, con le guance accese, le rivelò il suo ambizioso progetto. Se avesse fatto ogni giorno il ritratto a Lucienne, se lei avesse assunto la stessa posa, davanti allo stesso sfondo perenne, in ragione di trecento-sessantacinque scatti all’anno per tutta la vita, fino all’ora della morte, lui, Kléber, filmando poi quelle migliaia di negativi, avrebbe ricavato il documento più sconvolgente del mondo, un film unico nel suo genere. Una pellicola che, con ventiquattro pose al secondo, avrebbe mostrato il passaggio graduale e continuo dalla giovinezza radiosa di una donna alla sua piena maturità. E in seguito, se l’esperimento si fosse protratto senza tregua, sarebbero apparse sul viso della modella le stigmate antesignane della vecchiaia. che emozione! Che strana sensazione, no? vedere in sintesi l’usura operata dal tempo! presagire il galoppo annunciatore della fine!
Jean VAUTRIN, Il viaggio immobile (di Kléber Bourguignault), in Baby boom, 1985
In questo racconto geniale dello scrittore francese Jean VAUTRIN si traduce in visionaria follia il senso di una posa fotografica: salvacondotto verso l’eternità, trafugata in uno scatto, capace di fissare il tempo, documentandone al contempo lo scorrere e, inevitabile, il cambiamento ad esso legato.
πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός
Tutto scorre come un fiume
Non si può discendere due volte nel medesimo fiume
e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato,
ma a causa dell'impetuosità e della velocità del mutamento
essa si disperde e si raccoglie, viene e va.
ERACLITO di Efeso o CRATILO, V sec. a.C.
Le immagini della collettiva della Galleria Fotografica Luigi GHIRRI sono attraversate da un filo invisibile che dai tempi più antichi è giunto fino a noi: la figura umana al centro della scena, ritratta in un ventaglio artistico che si articola dall’adolescenza alla vecchiaia, è ammantata dal senso latente della caducità del tempo, da un’inquietudine, a tratti da un dolore palese. Siamo protagonisti e spettatori di un’epoca ove il cambiamento è realtà vorticosa che ci involve, a tratti ci stritola. Viviamo il superamento quotidiano del nuovo che è già vecchio prima che sia del tutto compiuto, i parametri della civiltà europea si smarriscono in una nuova globalità incalzante. Si fatica a comprendere, talvolta, il senso di questo cambiamento, sempre più confusi in un frastuono assordante, ove spesso l’individuo ascolta il silenzio della propria solitudine.
Una mostra collettiva, per definizione, presuppone la condivisione di un “qualcosa” che si traduce in un progetto unico ma non certo univoco: qui ogni fotografo soppesa il suo sguardo e ogni sguardo attiva una sensibilità unica che traccia percorsi a volte contrastanti e apparentemente inconciliabili. Cambia lo sguardo e cambia la lettura di un presente sempre più complesso, un presente che si fa crocevia di visioni e progettualità. E ciascuno degli artisti firma questa collettiva, con la sua cifra, con la propria sensibilità e il suo personale linguaggio fotografico.
Tutto può cambiare, ma non la lingua che ci portiamo dentro, anzi che ci contiene dentro di sé come un mondo più esclusivo e definitivo del ventre materno.
Italo CALVINO, Eremita a Parigi. Pagine autobiografiche, 1994
Più ampiamente l’arte, intesa come libera voce di individualità dotate di una sensibilità non a tutti comune, da sempre è in grado di cogliere ciò che vibra nell’epoca di cui essa è amplificazione: l’artista possiede sensori speciali, capta onde e percezioni capaci di oltrepassare la soglia della materiale quotidianità, per addentrarsi in nelle pieghe di ciò che l’apparenza non lascia cogliere. Per questo si può parlare di poetica dell’arte, intesa nella sua pluralità di voci ed espressioni.
Lo scorrere del tempo, il mutare del tempo, la brevità di durata del tempo
e ciò che del tempo rimane, che è il soffio della poesia
inducono il poeta Giuseppe UNGARETTI a scrivere una raccolta di liriche dal titolo Sentimento del tempo. Così l’autore ne narra la genesi:
Ci sono tre momenti nel “Sentimento del tempo” del mio modo di sentire successivamente il tempo. Nel primo mi provavo a sentire il tempo nel paesaggio come profondità storica; nel secondo, una civiltà minacciata di morte mi induceva a meditare sul destino dell’uomo e a sentire il tempo, l’effimero, in relazione con l’eterno; l’ultima parte del “Sentimento del tempo”, ha per titolo L’Amore, e in essa mi vado accorgendo dell’invecchiamento e del perire della mia carne stessa.
Giuseppe UNGARETTI, Ungaretti commenta Ungaretti, 1963
Con una fotografia attestiamo sui documenti la nostra identità, fotografie hanno scandito lo scorrere delle nostre vite, nascite, traguardi, eventi lieti; fino alla quasi aberrazione di questo nuovo secolo, in cui il più semplice telefono, trasformato in una camera alla portata di tutti, talvolta fa perdere il senso dell’esistere, sostituito da un passivo senso dell’assistere: ci si estrania dalla possibilità del vivere realistico, per fissare in una sequenza di scatti fotografici ciò che, fra un istante (peraltro non vissuto nella sua intima essenza), non sarà più.
E tuttavia, dibattendoci nel timore di una caducità che ci incalza, la fotografia ci ha offerto la rivincita sulla vita che attimo dopo attimo si consuma e ci consuma, e sulla polvere che il tempo deposita sulla nostra memoria, offuscando i ricordi.
Una delle tante date / Che non mi dicono più nulla. /
Dove sono andata quel giorno, / che cosa ho fatto – non lo so. /
Se lì vicino fosse stato commesso un delitto / - non avrei un alibi. /
Il sole sfolgorò e si spense / Senza che ci facessi caso. /
La terra ruotò / E non ne presi nota. /
Mi sarebbe più lieve pensare / Di essere morta per poco, /
piuttosto che ammettere di non ricordare nulla / benché sia vissuta senza interruzioni. /
Non ero un fantasma, dopotutto, / respiravo, mangiavo, /
si sentiva / il rumore dei miei passi, / e le impronte delle mie dita / dovevano restare sulle maniglie /
Lo specchio rifletteva la mia immagine. / Indossavo qualcosa d’un qualche colore. /
Certamente più d’uno mi vide, / Forse quel giorno / Trovai una cosa andata perduta. /
Forse ne persi una trovata poi. / Ero colma di emozioni e impressioni. /
Adesso tutto questo è come / Tanti puntini tra parentesi. /
Dove mi ero rintanata, / dove mi ero cacciata – / niente male come scherzetto / perdermi di vista così. /
Scuoto la mia memoria – / Forse tra i suoi rami qualcosa / Addormentato da anni / Si leverà con un frullo. / No. /
Evidentemente chiedo troppo, / addirittura un intero secondo.
Wislawa SZYMBORSKA, Il 16 maggio 1973, in La fine e l’inizio, 1993
Un intero secondo: lo spazio temporale di un click, lo scatto fotografico per imprigionare un frammento di immortalità.
Marina BENEDETTO
Galleria Fotografica Luigi GHIRRI

Savona, gennaio 2013

INCROCI POSSIBILI
“Incroci” come sovrapposizioni, come raddoppi, come direzioni diverse, come accoppiamenti nuovi.
“Possibili” perché reali, sperimentati, vissuti, non ipotetici, non virtuali. Fotografici perché incontrati, esistenti come realtà davanti allo strumento fotografico; perche svelati proprio dal medesimo strumento e resi manifesti come documenti aggiunti, come nuovi incipit narrativi, come pretesti artistici.
Alcuni valenti professionisti dello strumento fotografico, raccolgono, qui, l’ultradecennale esperienza della Galleria Fotografica Luigi GHIRRI di Caltagirone e, insieme, muovendo da differenti presupposti, sia estetici che filosofici, di visione e di vita, incontrano il lettore nuovo e interessato, pregandolo di creare con le loro opere un possibile incrocio dove fermarsi, per un attimo, e quell’attimo approfondire, comprendere, esemplificare. Per costruire insieme il rettangolo delle parole crociate e insieme ricomporre il senso delle definizioni sciogliendo il vincolo del concatenamento tra le verticali e le orizzontali.
“L’incrocio possibile” apparirà allora il prezioso avanzo della dissoluzione del genere umano che da tanti parti si dichiara avvenuta? E testimonierà ancora della volontà di accordare all’immagine la fiducia di salvare i contorni della nostra esistenza?
In un momento in cui la parola “crisi” è sinonimo di crollo più che di turbamento, di mutazione più che di rivoluzione, i fotografi qui riuniti mettono in gioco la sicurezza del segno della loro visione e scavalcano i confini del documento e della mera narrazione abbandonandosi, e invitandovi ad abbandonarvi, ai contorni delle loro immagini, reali ed emotive, confidando che nel nuovo incontro si possa incrociare una nuova dimensione dello sguardo, possibilmente più immediata e penetrante.
L’intensità del presente progetto è pari alla sincerità e alla genuinità con la quale ognuno vi ha contribuito: vi sono presenti esperienze politiche ed esistenziali, meditazioni sulla forma e sul risultato della visione. E riflessioni sula visibilità del sentimento si sono confrontate con i segni lasciati dalle lacrime e dalle emozioni all’incrocio delle nostre rughe e delle nostre denunce.
L’incrocio possibile, allora, è anche un bisogno, una necessità: come quella avvertita dai giovani attorno a Socrate e Platone, dai discepoli attorno al Nazareno, dai cavalieri intorno ad Artù. Come ogni volta si condivide un bisogno e si cerca una via d’uscita intercettando un’altra possibile strada, un’altra dimensione.

Pippo PAPPALARDO
per la Galleria Fotografica Luigi GHIRRI

Catania, gennaio 2013