Iros Marpicati – Misteri di vita e di forme arcane

Informazioni Evento

Luogo
CASA DEL MANTEGNA
Via Giovanni Acerbi 47, Mantova, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

giovedì, venerdì, sabato e domenica: dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 15.00 alle18.00
Lunedì e martedì chiuso

Vernissage
11/02/2017

ore 17

Artisti
Iros Marpicati
Generi
arte contemporanea, personale

La mostra – intitolata Misteri di vita e di forme arcane – ripercorre il lavoro dell’ultimo decennio di Iros Marpicati, presentato da Claudio Strinati (già Soprintendente del Polo Museale Romano) e da Gianfranco Ferlisi (storico dell’Arte), autori dei testi in catalogo.

Comunicato stampa

La Provincia con la rassegna dedicata a Iros Marpicati, allestita alla Casa del Mantegna, approfondisce e mette a fuoco un percorso estetico che - come sottolinea Mauro Morselli (il presidente) – individua «un raffinatissimo percorso in cui si palesa l’esigenza di depositare nei quadri la verità, la serietà, la capacità virtuosistica con cui l’artista ha praticato, per sessant’annni, l’esercizio della pittura, per indagare i contenuti dell’arte, per portare in mostra una visione di taglio sociale e psicologico che inquadra perfettamente l’alienazione e la solitudine dell’uomo contemporaneo. Si prospetta così, per il pubblico, un vero e proprio itinerario nel labirinto di un mondo meccanico e artificiale, per osservare la prigionia e l’abbandono di efebici corpi umani, la molteplicità di ingranaggi che si fanno paesaggio onirico, astratto e visionario».
La rassegna calibra dunque, nella misura degli spazi severi e razionali ideati dal grande Umanista, un’iniziativa in grado di esprimere un forte sentimento della contemporaneità.
La mostra – intitolata Misteri di vita e di forme arcane - ripercorre il lavoro dell’ultimo decennio di Iros Marpicati, presentato da Claudio Strinati (già Soprintendente del Polo Museale Romano) e da Gianfranco Ferlisi (storico dell’Arte), autori dei testi in catalogo. Quello che emerge dalla rassegna è il percorso ambizioso di un raffinatissimo artista nato a Ghedi e formatosi all’Accademia Carrara di Bergamo, con Achille Funi, e poi diplomato a Brera. Iros iniziò a calcare la scena dell’arte alla fine degli anni Cinquanta, con temi di racconto civile e di protesta. Sullo sfondo di un realismo esistenziale, si materializzava allora un lirismo amaro in grado di realizzare un discorso tagliente su una umanità umiliata e offesa, sulle vite di sconfitti ai margini della storia.
E la critica italiana, da Valsecchi a De Micheli, da Kaisserlian a Bruno, ne riconobbe immediatamente il talento.
Negli ultimi vent’anni l’autore ha cominciato a rivolgere la sua attenzione alla delicata alla relazione tra l’artista e la macchina, con paesaggi astratti e geometrici, con la presenza di congegni industriali assillanti e aggressivi, con forme primarie assiderate da un gelo glaciale dove si smarriscono, come fantasmi, le silhouette di minuscole figure umane.
Così l’artista ci dice, grazie alle cinquanta opere accuratamente selezionate, che l’arte non è la «scimmia» della natura e che i suoi prodotti sono immagini complesse e testi iconici che possono parlare della dimensione dell’uomo contemporaneo di fronte alla consapevolezza e alla nudità del proprio destino, di ciò che Gadda avrebbe definito “la cognizione del dolore”.
È questo il tema con cui Iros Marpicati parla negli spazi della Casa del Mantegna. Assolutamente originale e intrigante è la sua rivisitazione d’autore: la tirannia della tecnologia trasformata in anti-provvidenza manzoniana, in incubo fatto di ombre e di sagome minacciose di congegni di fabbrica, di colori piatti e primari. La perdita di ruolo dell’umanità suggerita da figurine in ombra, sperdute come insetti, in sembra alludere ad un mondo in cui i fili narrativi di un futuro positivo sono disarticolati da qualsiasi senso logico.
Il pittore vuole dunque che il pubblico osservi, alla Casa del Mantegna, le sue speciali geometrie con quel loro quid di implacabile. Perché le sue geometrie si declinano in lunghe lame taglienti, in strette balaustre che si affacciano sul vuoto, in compatti blocchi neri che terminano con triangoli acuminati. La pretesa del dominio sul mondo si è ribaltata, si è trasformata in schiavitù.
E il percorso espositivo, nei suggestivi spazi rinascimentali, si snoda quindi come un lamento di carni martoriate, lungo muraglie sempre difese da cocci aguzzi di bottiglia, in un sentimento di un “male di vivere” che mineralizza, sulle tele, il dolore che il pittore ha incontrato nella sua vita, una pittorica felicità di cui si ha fatto esperienza come una medicina salvifica.
La rassegna così, nelle varie sezioni, lungo le sale concentriche al tamburo-cortile, riassume, in parti distinte ma anche complementari, un sorprendente dialogo con un immaginario pittorico di grande e toccante suggestione.