It’s not for you

Informazioni Evento

Luogo
STUDIO CLOUD 4
Via Parini 4/a 40129 , Bologna , Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

Visitabile nei giorni di ARTE FIERA (e anche negli altri giorni) su appuntamento

Vernissage
15/01/2016
Contatti
Telefono: +39 05119986982
Artisti
Elisabetta Benassi, Stefano W. Pasquini, Luigi Ghirri, Francis Bacon, Gino De Dominicis, Lucia Lamberti, Emilio Prini, Giovanni Mundula, Eric Andersen, Elena Hamerski, Stefano Stagni, Konrad Balder Schäuffelen
Curatori
M. Letizia Paiato, Tiberio Cattelani
Generi
arte contemporanea, collettiva

Lo Studio Cloud 4 per i giorni di Arte Fiera, con questo paradigmatico titolo, che fa il verso alla canzone di Bob Dylan If not for you (se non fosse per te), nel ribaltarne il senso quasi intimando: “se non è per te è per qualcun altro…”, sottolinea ancora una volta la sua intrinseca poetica di cane sciolto dell’ambiente contemporaneo bolognese, organizzando questa collettiva dall’aspetto invernale e nascosto.

Comunicato stampa

IT’S NOT FOR YOU: non è una mostra per tutti! Lo Studio Cloud 4 per i giorni di Arte Fiera, con questo paradigmatico titolo, che fa il verso alla canzone di Bob Dylan If not for you (se non fosse per te), nel ribaltarne il senso quasi intimando: “se non è per te è per qualcun altro…”, sottolinea ancora una volta la sua intrinseca poetica di cane sciolto dell’ambiente contemporaneo bolognese, organizzando questa collettiva dall’aspetto invernale e nascosto.

Scevra da alcuna inaugurazione, la mostra vede protagonisti alcuni tra i più evanescenti artisti degli ultimi decenni, italiani e stranieri, affiancati dalle ricerche di creativi formatisi negli anni Novanta del Novecento e da quelle condotte da giovani emergenti. L’esposizione presenta uno spaccato di arte che attraversa diverse generazioni e mostra differenti modi d’intendere l’opera, mettendo in luce un’eterogeneità di forme, soggetti e interessi, che rivelano quella ramificazione di ricerche che, nell’ultimo ventennio, sono diventate la cifra distintiva della contemporaneità.

Introducono la mostra una serie di scatti del celebre fotografo Luigi Ghirri, paesaggi sospesi di grande astrazione mentale dove si percepisce l’importanza della figura umana, sebbene spesso non presente, fronteggiati da alcune stampe di Francis Bacon, il “maledetto pittore dell’uomo”, attanagliato tutta la vita dalla deformazione, diventata la sua cifra distintiva.

Un controverso abito sacerdotale pende a un lato dello studio. È un’opera del viennese Hermann Nitsch, che come in sue molte altre creazioni utilizza schizzi di sangue evocando il paradosso che lega il sacro al profano e risveglia, nel colore rosso, l’idea del sacrificio e della passione. Campana Silencio (Big), da far suonare quando serve concentrazione e Crying stone, una pietra di marmo di Verona contenuta in un’apposita scatola di legno trasportabile, che serve quando si desidera avere una ragione per piangere, sono le opere del danese Eric Andersen, il cui nome si associa al movimento Fluxus. Così come quello del tedesco Konrad Balder Schäuffelen, qui rappresentato con una scultura – rompicapo – formata da tre triangoli intrecciati e saldati fra loro, e di Yoshi Wada, artista e musicista giapponese residente a New York, in mostra con un suo riconoscibile “corno pipa”, uno strumento musicale realizzato saldando tubi metallici e utilizzato in azioni d’improvvisazione musicale su sue stesse composizioni.

L’anarchia artistica, il fare sperimentale quasi irriverente, sotteso alle opere di questi artisti, permea anche in quelle di Emilio Prini (una semplice busta sulla quale interviene con la sua scrittura e una mappa/progetto di una sua esposizione) e Gino De Dominicis, quest’ultimo presente con un’enigmatica immagine fotografica in bianco nero di una fontana, al bordo della quale è evocata l’evanescente quanto l’improbabile sagoma gialla di una figura umana. L’atmosfera da luogo fantasma o stranamente bloccato nel tempo – senza tempo – rimbalza nello scatto di Elisabetta Benassi, suggerendo implicitamente domande tanto sulla condizione e l’identità dell’uomo quanto sul rapporto col passato storico, leitmotiv della sua poetica. Un tempo indefinito blocca i volti di Elena Hamerski e Stefano Stagni, fissati nelle fotografie che li ritraggono in pose di rinascimentale memoria. Sono immagini che rappresentano anche un segno della loro precedente esperienza artistica condivisa in questo stesso luogo, una traccia del prima che si materializza, rinnovandosi nel presente. Sono due figure, un fotografo e una giovane artista, presenti anche con un’inedita installazione, quella di Stagni intitolata Metamorfica(Land_scape) e un progetto video e audio dedicato al valore della pittura. La pittura è bellissima della Hamerski, da stimolo per il pensiero si fa adesivo gadget da infilare in tasca o appiccicare in giro per non far dimenticare che la vita, in fondo, necessita di poesia. E sul piano della poesia si mostrano a chi guarda i due dipinti dedicati alla luna, UP1407 (Moon) e UP1604 (Moon) di Stefano W. Pasquini. Artista, scrittore e curatore, negli ultimi anni Pasquini ha incentrato la sua ricerca sul concetto di “orizzontalità creativa”, mostrando nell’approccio alla pittura la possibilità di una sua attualizzazione, attraverso un gesto, veloce e nervoso, che ribalza dal soggetto allo spettatore creando un’empatia talvolta contemplativa talvolta repulsiva, come nel caso delle lune, capaci al contempo di suscitare romanticismo o paura. Infine, ai temi del viaggio, del tempo passato e perduto, finanche del mito, guardano le opere di Lucia Lamberti, temi che l’artista declina nell’ottica della “persistenza”. I suoi Luft, dirigibili impeccabilmente dipinti ad acquerello su carta fatta a mano, sono tracce invisibili di quel che è stato, tracce che affiorano dalla memoria, individuale o sociale, e dall’interiorità. Un’invisibilità che è al contempo la trama che attraversa tutte le cose e che le sostiene nel loro esserci e che lega inspiegabilmente tutti gli artisti presenti in questa mostra. Chiude IT’S NOT FOR YOU l’opera Non avrà fine 2014-2016 _ Romania, un originale cappello di Giovanni Mundula, artista che dell’invisibilità ha fatto il suo vezzo, tanto che rintracciare pubblicate sul web le sue opere non è semplice, sicché vederle dal vivo sublima l’esperire dell’arte in modo frontale e sincero.

Il percorso espositivo ha volutamente un taglio trasversale nella quotidianità, un taglio che rivela come la pratica artistica e la ricerca siano ancora mosse da energie inaspettate, dove la sorpresa davanti ad una riflessione sull’arte rimane il punto focale su cui dirigere il nostro pensiero evocativo. L’opera – e la nostra reazione dinnanzi a lei – è il contenitore più intriso dell’energia dell’artista, e questo è verificabile solamente davanti all’opera stessa, sia essa di secoli addietro che costruita avantieri.