IV edizione del Premio Matroneo

Informazioni Evento

Luogo
CASTELLO SPINOLA CARACCIOLO
Piazza Castello, Andrano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al
Vernissage
27/12/2017
Generi
fotografia

IV edizione Premio Fotografico Premio Matroneo

Comunicato stampa

SUBURBAN: DEGRADO E SPERANZE

SUBURBAN: L’ANIMA DECENTRATA A DELLA CITTÀ

«Amo la periferia più della città. Amo tutte le cose che stanno ai margini», scriveva Carlo Cassola nella raccolta di racconti giovanili Alla periferia, pubblicata nel 1942. Proprio partendo da questa considerazione, l’Associazione Pro Loco Andrano, quest’anno, propone tra i vari temi della IV edizione del Premio Matroneo, il tema della perifericità, dal titolo Suburban. Il concorso fotografico si terrà nelle giornate del 27, 28 e 29 Dicembre, nelle sale del Castello Spinola-Caracciolo di Andrano.

Obiettivo principale sarà proporre un “focus sulle sfaccettature del tessuto urbano, sulle parti nascoste e poco evidenti della città”. E raccontare, attraverso le immagini, i contrasti e le contraddizioni delle periferie, l’apparente marginalità, la povertà culturale, il degrado, sotto cui si celano grandi fermenti e trasformazioni, sotto cui si nascondono “lampi di vita”.

Etimologicamente il termine deriva dal latino suburbanus, (comp. Di sub- e urbs «città»), e si riferisce al “suburbio”, ossia all’estrema periferia di una città, in particolar modo a zone residenziali ed industriali. Legato ai due sinonimi di periferico e metropolitano, il termine interessa anche vaste regioni geografiche, lontane rispetto ai contesti di grande trasformazione politica, economica e culturale. E così case popolari, ferrovie, industrie, lamiere, ma anche vicoli nascosti, botteghe d’altri tempi, muretti a secco, case diroccate e abbandonate diventano il cuore di una realtà umana “altra”, talvolta contraddistinta da degrado edilizio e sociale, ma palpitante di vita e forza.

La periferia e i suoi cieli malconci diventano simbolo di un disagio generazionale preciso, di incertezze ricoperte di cemento, «tetti di eternit» e pubblicità. Una sorta di non-luogo imprecisato da sempre guardato con diffidenza o timore, perché sfuggente, o perché legato all’idea di arretratezza sociale, mancanza di stimoli artistici e culturali, povertà. La periferia, invece, in contrasto con la frenetica corsa alla modernità e al cambiamento, è una roccaforte del tempo lento, del recupero della lentezza e della memoria, una sorta di viaggio a ritroso capace di rievocare un immaginario infantile perduto nei labirinti delle metropoli. Il rifugio in un non-tempo, in cui quattro bambini che corrono dietro ad un pallone rotto, in un polveroso campetto, sul ciglio della strada, diventano simbolo di un’autenticità ormai perduta dietro a schermi di televisori o interminabili traffici cittadini. Come scrive Mario Santagostini la periferia è «un’anima decentrata, una esteriorità astratta e assoluta, una sorta di ‘fuori’ sempre più visibile».

Le fotografie diventano un modo per raccontare l’anima della periferia, cogliere attraverso le immagini, l’intensa poesia insita in angoli remoti e dimenticati, in vicoli abbandonati, in una fabbrica in disuso, in una strada semibuia. Fotografare le periferie urbane è un modo per spostare la ricerca verso quei luoghi dove la bellezza non è ricercata né necessaria, dove la bellezza è tacita e sotterranea. Il paesaggista francese Gilles Clement conia il termine “terzo paesaggio”, per indicare tutto quel frammentato spazio di risulta che nasce, e rimane fuori, dalla progettazione urbanistica. La periferia, dunque non è altro che un terzo paesaggio urbano, posta in una sorta di montaliana “condizione liminare”, in un limbo dantesco, ciò che è e non è, e può assumere la condizione umana ed intima di periferia interiore.

Anche in letteratura il tema della perifericità ha ispirato poeti e narratori; si pensi alla letteratura triestina di Saba e Svevo, o alle borgate romane raccontate da Pasolini, il quale fu tra i primi a riconoscere la forza e l’intensa vitalità nascoste nell’altra faccia della città, come si legge in questi pochi laceranti versi:

Nascono potenze e nobiltà,
feroci, nei mucchi di tuguri,
nei luoghi sconfinati dove credi
che la città finisca, e dove invece
ricomincia, nemica, ricomincia
per migliaia di volte, con ponti
e labirinti, cantieri e sterri,
dietro mareggiate di grattacieli,
che coprono interi orizzonti.

Ma, come abbiamo visto, la perifericità non è solo quella urbana, comprende tutto ciò che è al margine rispetto ad un centro (propulsore di cultura, economia, industria ecc), come le piccole comunità salentine in cui noi tutti trascorriamo la vita. Vittorio Bodini, rivendicava l’autenticità della vita nascosta nelle pietre di calce e nelle pieghe dell’anima del suo popolo, nei famosissimi versi:

Tu non conosci il Sud,

le case di calce, da cui uscivamo al sole

come numeri dalle facce d’un dado.

La “non organizzazione” del suburbio può essere, così, considerata come un principio vitale che si lascia attraversare dai lampi della vita. La scelta del tema Suburban, rappresenta, dunque, il tentativo di avviare una riflessione più ampia sul ruolo e sulla trasformazione del concetto di perifericità, a mezzo di indagini fotografiche, superando l’idea consolidata entro il senso comune che lega questo concetto a un senso di esclusione e decentramento. Immagini che decostruiscono il sentire comune. Immagini che colgono la diversità, che si avvicinano alla diversità con stupore. Immagini che descrivono, mute, l’urlo sotterraneo di questo luogo dell’incessante divenire, fragile e incerto, per cercare, nel degrado, bagliori di vita e speranza.

Daniela Massafra