Jackie Saccoccio – Portrait Gallery
Pittrice americana che vive e lavora tra New York e il Connecticut, l’artista allestisce a Genova una nuova serie di ritratti riuniti in un’installazione che pone le tele in dialogo con lo spazio della villa.
Comunicato stampa
Villa Croce presenta la prima mostra monografica in un museo europeo di Jackie Saccoccio, pittrice americana classe 1963, che vive e lavora tra New York e il Conneticut. A Genova l’artista allestisce una nuova serie di lavori riuniti nella mostra Portrait Gallery /Galleria di Ritratti; un’installazione che pone le tele, con le loro masse imbronciate e centripete in dialogo con lo spazio della villa, giocando con il suo aspetto monumentale, ricreando un allestimento da pinacoteca classica.
I suoi grandi quadri astratti riflettono la luce mediterranea delle sale bianche della villa attraverso macchie di colore espressive e grumose. Nella grande sala affrescata l’artista ha ricreato una galleria di ritratti, satura di opere e di colori, in cui ciascuna tela emana un’aurea, una presenza. Disposti come una serie di ritratti ufficiali mostrano ciascuno un’astrazione, capace di raccontare attraverso pigmenti e forme, l’essenza di una personalità, il suo spirito attraverso il peso e i toni del colore, dalle sovrapposizioni e dalla materia pittorica. Fa da contro altare alla sala dei ritratti una sala apparentemente vuota, dal titolo Portrait (Absence), Ritratto (Assenza). L’artista ha creato al museo un wall drawing (quasi un affresco) monocromo di linee non intersecanti segnate dal vuoto lasciato da una serie di tele rimosse. Lo spazio bianco lasciato dai ritratti mancanti nel wall-drawing evoca prepotentemente un’assenza, in contrasto al pieno della sala adiacente mettendo in moto un gioco dinamico di vuoti e pieni. In altre sale l’interferenza tra pieno e vuoto viene esplorata attraverso grandi tele in cui spirali labirintiche scherzano con il vuoto rendendo il visitatore una figura lillipuziana confrontata dalla forza dell’arte.
Nelle parole dell’artista: “Vedo la pittura come un’attività strutturata attraverso l’improvvisazione, infatti uso per le mie tele pigmenti, olii e minerali liquidi e semi solidi da stendere strato dopo strato. Quando ho iniziato la serie dei ritratti, alchemiche interpretazioni di ritratti del 15esimo e 17esimo secolo, mi sono resa conto che non stavo creando dei passaggi verso uno spazio pittorico penetrabile, ma costruendo degli oggetti, quasi delle sculture. Copro le cose, raramente cancello o levo materia dalla tela. Voglio che la tela racconti l’intera esperienza pittorica, portando traccia dei dubbi delle bravate che fanno parte del processo creativo, ciascuno strato racconta l’esperienza gestuale del momento. Così la tela diventa la traccia delle trasformazioni giornaliere, una forma di cubismo psicologico.”