Jean-Marie Haessle – Gymnopedie
La pittura impressionista ha voluto sondare le possibilità e le condizioni della percezione visiva, producendo un’arte innovativa, ottenuta per addizione e stratificazione di colore. L’espressionismo astratto della Scuola di New York ha invece voluto usare la stratificazione del colore come testimoniaza visiva di un gesto creativo che affondava per proprie radici nella pura soggettività dell’artista. La pittura di Haessle sembra toccare i due estremi senza arrendersi alla all’uno o all’altro, e mantenendo invece una propria libertà.
Comunicato stampa
Gymnopedie. La pittura di Haessle,
tra Impressionismo ed Espressionismo astratto.
di Nicola Davide Angerame
La pittura impressionista ha voluto sondare le possibilità e le condizioni della percezione visiva, producendo un’arte innovativa, ottenuta per addizione e stratificazione di colore. L’espressionismo astratto della Scuola di New York ha invece voluto usare la stratificazione del colore come testimoniaza visiva di un gesto creativo che affondava per proprie radici nella pura soggettività dell’artista. La pittura di Haessle sembra toccare i due estremi senza arrendersi alla all’uno o all’altro, e mantenendo invece una propria libertà. Il suo lirismo astratto si ispira anche ad un’altra grande figura dell’astrattismo novecentesco: Cy Twombly. Come lui, Haessle parla di “scrittura” più che di pittura. Il gesto di riferimento è quello più contenuto della scrittura. Ma invece che limitare la presenza del colore, come fa Twombly nelle sue tele spesso biache, Haessle inonda le proprie tele fino a creare dei mari tempestosi di colori che coinvolgono emotivamente lo spettatore. La ricchezza delle luci che scaturiscono dai quadri in mostra possiedono la maturità di un equilibrio che sembra essere costantemente sul punto di spezzarsi. Tecnicamente, Haessle prepara i suoi colori direttamente nei tubetti, che poi va a usare come se fossero penne, direttamente sulla tela. Ne risulta un contrasto che serve a dare profondità materica ulteriore. La presenza del colore è portata all’estremo. L’opulenza di queste tele, sempre di grandissime dimensioni, hanno un effetto stravolgente, conturbante. In contrasto con il carattere gentile e pacato dell’artista, queste opere sembrano il prodotto di un effetto New York, di un bombardamento percettivo subito dall’europeo che viene a vivere nella grande mela (è il caso di Haessle) e qui si ritrova di fronte ad una esuberanza che non può contenere nè dentro nè fuori di sè. Questa pittura allora diventa il romanzo intimo e ufficiale di un soggetto, il pittore Haessle, che ha negli occhi i grandi impressionisti parigini quando approda nella città dell’espressionismo astratto. Subendo il fascino degli uni e dell’altro, Haessle si ritrova a trasformare su tela le sue emozioni più intime. Ne risultano tele in cui la voce del soggetto non è distinta, come in Twombly, dal brusio della massa che si perde nelle strade affollate di SoHo, dove Haessle risiede da 40 anni, essendo uno degli artisti della prima ondata in questa zona, oggi tra le più fashion di Manhattan. La città multicolore e multisiuono che lo ha accolto, è ancora là, risiede vivida e lussurreggiante dentro quelle tele che dominano e inglobano lo sguardo. Lui, Haessle, non lo dichiara apertamente, ma tutto ciò diventa chiaro appena si voglia usare uno strumento classico della critica, anche letteraria: la relazione tra l’autore e il contesto in cui vive e opera. In ogni pennellata può apparire allora il suono di una voce, il rombo di un motore, il battito di una scavatrice, la musica di ristorante. Così la pittura di Haessle diventa lirica e sonora, così i suoi colori tendono a “mimare” una dimensione ulteriore, che è in cui l’intimità emotiva del soggetto artista incontra l’oggettività ruvida ed incandescente della città nel suo complesso stratificarsi di vite, direzioni, storie.
Haessle, lirismo cromatico.
di Robert C. Morgan
Ci sono due questioni che trovo stabilmente presenti nella pittura di Jean-Marie Haessle. Primo: è un classicista indelebile, almeno quanto Poussin o Ingres. Secondo: egli alimenta una certa propensione a nascondere la sua postura classicista in una pittura che esprime spesso una inaspettata ma esuberante varietà di colori. In tal modo, Haessle convince lo spettatore che egli è l’opposto di un classicista, è che è piuttosto un romantico “duro a morire”. Essenzialmente questi quadri non sono basati su un effetto cromatico, quanto piuttosto sul controllo della luce. Spesso la fonte di luce esterna può diventare un problema durante la presentazione o l’installazione di un dipinto. Ma c’è un altro passo che interessa Haessle e che è essenziale per il completamento del suo lavoro, e cioè il modo in cui i pigmenti sulla superficie del dipinto rilasciano o mantengono la luce. Ciò influenza la risonanza con cui la luce si proietta dalla superficie e le modalità con cui si evolve attraverso il passaggio da un colore all’altro. Haessle conosce bene il processo. Controllare la luce in un dipinto, aggiustandola dall’esterno, produce raramente un risultato convincente. Pertanto l’artista è tenuto a conoscere come funziona il colore in quanto mezzo utile per dare alla superficie la sua luminosità. Haessle si muove sulla linea di una percezione indignata, di una visione vorace, e di un’acutezza formale e tecnica, che si manifesta tranquillamente attraverso la sua raffinata capacità di dipingere la luce. Questi dipinti suggeriscono la presenza di discussioni visive in movimento che simultaneamente vengono tessute e sdrucite, accedendo così alla dimensione della temporalità tanto quanto dello spazio. I filamenti di colore denso sono sospesi, forse in uno stato di disfacimento, e sembrano indicare il processo di separazione e di riordino di pensieri colti in moto perpetuo da parte dell’artista.
Il riferimento dei lavori esposti qui in mostra è la “pittura lirica cromatica”. Con ciò intendo dire che quando Jean-Marie Haessle è venuto a vivere a New York l’Espressionismo astratto si era già affermato. La Pop Art era ancora un sentore, ma non poteva soddisfare la sua fantasia. Haessle ha cercato allora qualcosa di più profondo. Il suo lavoro suggerisce il desiderio, più francese che americano, di andare sotto la superficie della realtà per trovare la fonte della sua stessa trascendenza. Haessle ha capito che era possibile lavorare a New York con il colore, ma in un modo diverso, che non esprimesse quella violenza e quella repressione spesso associate alla Scuola di New York. In sostanza, Haessle ha avuto un’idea più lirica. La sua sfida era: come attutire il rancore che si trovava in molta pittura gestuale senza sottomettersi a uno stile? Hassle era attratto dai colori e quindi gli è bastato respingere la disperazione “storica” del gesto per esaltarne il potenziale lirismo e la capacità di redenzione di una pittura che ha mantenuto sfumature di ottimismo attraverso l’utilizzo di una modulazione cromatica stratificata. I dipinti di Jean-Marie Haessle rappresentano un potente antidoto al profondo conflitto socio-psicologico dovuto al momento di transizione in cui ci troviamo.
Estratti dal saggio di Robert C. Morgan sul lavoro su Jean-Marie Haessle in occasione di una mostra di Haessle alla DavidRichard Contemporary Gallery di Santa Fe, New Mexico, Stati Uniti.
Robert C. Morgan si è formato sia come sculture che come storico dell’arte. Autore di numerosi libri e saggi, è ampiamente riconosciuto per la sua critica d’arte. Nel 1999, gli è stato assegnato il primo premio Arcale a Salamanca (Spagna) per il suo lavoro di critico internaziona