Jessica Loughlin – Afar
Jessica Loughlin con afar porta in Italia un corpus di opere nate dalla sua attrazione per la luce e lo spazio, esperiti nel paesaggio desertico australiano.
Comunicato stampa
Caterina Tognon presenta la prima esposizione personale in Italia dell’artista australiana Jessica Loughlin. afar inaugura il 9 settembre e prosegue fino al 25 novembre 2017 nella sede della galleria a Ca Nova di Palazzo Treves, in Corte Barozzi - Sestiere San Marco, Venezia, proprio a fianco dello storico Hotel Europa & Regina. L’evento nasce da una collaborazione tra Caterina Tognon e Sandy Benjamin OAM, Melbourne, ed è parte della programmazione della The Venice Glass Week.
Jessica Loughlin con afar porta in Italia un corpus di opere nate dalla sua attrazione per la luce e lo spazio, esperiti nel paesaggio desertico australiano. Utilizzando il vetro in una maniera Post-Minimalista, l’artista intende trasmettere un senso di infinito, innescando nello spettatore una profonda quiete mentale. I suoi delicati e pacati lavori in vetro possono essere considerati dei paesaggi astratti della mente ed esprimono una bellezza vissuta nei luoghi dell’interiorità, dove luce e spazio si uniscono e si fondono.
Le opere nascono dall’esperienza di lunghi viaggi nelle sterminate aree deserte del Sud Australia, e in particolare al Kati Thanda – Lake Eyre, il più grande lago salato del mondo. Questo lago di sale, che si riempie d’acqua raramente e per breve stagione, è caratterizzato da passaggi di sfumature cromatiche visibili soprattutto nel momento in cui lo si sorvola. Partendo dal bianco salino tutto si fonde con il celeste chiarissimo del cielo, dando vita a grandi vedute dove la luce si trasforma in paesaggio e l’esploratore si trova totalmente immerso sia a livello fisico che emotivo. Descrivendo questo paesaggio di luce l’artista racconta “[…] Il confine tra aria, acqua e terra divenne sfocato. La luce si trasformò nel paesaggio. Lanciai uno sguardo al cielo. Era come se fossi stata sospesa nello spazio.”
afar si divide in due sezioni corrispondenti alle sale espositive della galleria: la prima con una serie di sculture chiamate “ricettori di luce”, che possono essere considerate degli antecedenti ai “paesaggi di luce” presentati nella seconda.
Nonostante la ridotta palette cromatica e la natura minimale dei lavori, la Loughlin presenta e cela insieme un ricchissimo spettro di colori e di dettagli. I “ricettori di luce”, realizzati con vetro opalino, sono bianco-latte finché non riflettono la luce e diventano blu, o la trasmettono per rivelare, partendo da un caldo arancione, tutte le tonalità del rosa. La seconda sala, spazio chiuso e contemplativo, racchiude i “paesaggi di luce”, lunghe e strette opere bidimensionali che corrono su tutte e quattro le pareti. Queste ricalcano l’evento effimero dell’acqua nel deserto. “Il mio materiale è sia il vetro sia la luce, uso il vetro per scolpire la luce e l’ombra” dice la Loughlin. Lo stesso titolo afar - che significa “da lontano” - intende mettere in risalto l’importanza di un’osservazione prolungata. Sono opere che richiedono un tempo specifico per essere ammirate e per indurre uno stato contemplativo nel pubblico, necessario per cogliere le trasparenze, la luce, e le diverse sfumature dei pezzi.
Come spiega l’autrice e biologa australiana Saskia Baudel nel testo che accompagna la mostra: “Loughlin ha inventato una tecnica unica che contemporaneamente suggerisce e incarna il passaggio dell’acqua, inondando e lasciando la sua impronta sulla superficie terrestre, evaporando e condensandosi di nuovo in una nuvola. L’artista trasforma blocchi di vetro in polvere sottile che, insieme all’acqua, sparge su fogli di vetro, lasciando tracce dei suoi movimenti sulla superficie. L’acqua quindi evapora, creando ulteriori segni nel vetro che, a quel punto, viene trasferito in fornace. Questo processo viene ripetuto per stratificare le impronte, i residui e le trame originate dal liquido. Il vetro, come il deserto, trattiene il ricordo dell’acqua, come se la sua forma fosse cambiata seguendo le fasi del ciclo idrologico.” Le opere, sia a parete o tridimensionali, sono realizzate manualmente dall’artista nel suo studio di Adelaide, con l’utilizzo di forni piani per la fusione del vetro.
Nata a Melbourne nel 1975, si forma alla Canberra School of Art, dove fondamentale è il rapporto con il suo professore Stephan Proctor. Giovanissima, inizia la sua carriera all’interno del Movimento “Australian Studio Glass” formatosi in Australia negli anni Ottanta grazie alla presenza di Klaus Moje. L’artista studia inizialmente le pratiche calligrafiche Sumi-e e Suibokuga. È una formazione che ha influenzato il suo lavoro, sia nel modo in cui si approccia al colore, sia nell’equilibrio che ricerca tra la materia e il processo per lavorarla. All’inizio della sua carriera si è occupata di calligrafia su vetro, fondamentale per imporre nella lavorazione una matrice gestuale e rituale che sempre caratterizzerà la processualità nella creazione dei suoi pezzi. Si tratta di un aspetto molto presente nei “paesaggi di luce”, dove la performatività del corpo e la manualità si evincono grazie alla sovrapposizione di diversi strati di polvere di vetro e potenti spatolate d’acqua.