Joan Miró – Meraviglie grafiche 1966-1976
Forme, colori e segni di un Maestro dell’arte del Novecento.
Comunicato stampa
Il meraviglioso mondo di Miró invade le sale del Palazzo della Corgna a Castiglione del Lago. Forme, colori e segni svelano il rapporto del Maestro catalano con i «libri d’artista». In mostra 70 opere grafiche appartenenti a quattro serie complete. “È solo questo, una magica scintilla, che nell’arte conta”, scriveva Miró.
COMUNICATO STAMPA
Percorrere le sale che ospitano le opere di Miró a Castiglione del Lago significa esplorare l’intima relazione che l’artista catalano ebbe con i «libri d’artista» e scoprire il rapporto complesso tra testo e illustrazione proprio di quegli anni. Lo splendido Palazzo della Corgna ospita dal 28 giugno al 4 novembre 2018 la grande mostra “Joan Miró. Meraviglie grafiche 1966-1976”. Un itinerario nella creatività poetica di questo straordinario Maestro del Novecento.
La mostra è dedicata alla scoperta del meraviglioso mondo di Miró attraverso 70 opere grafiche appartenenti a quattro serie complete. Nelle sue creazioni surrealiste le forme, i colori e lo straordinario alfabeto di segni sono il risultato dell’incredibile capacità di rinnovarsi alla luce di una visione globale dell’arte, vissuta con curiosità e versatilità.
La mostra, a cura di Andrea Pontalti, è promossa dal comune di Castiglione del Lago e organizzata da Sistema Museo e Cooperativa Lagodarte, in collaborazione con Aurora Group.
La mostra “Joan Miró. Meraviglie grafiche 1966-1976” espone quattro serie realizzate tra il 1966 e il 1976: Ubu Roi (1966), Le Lézard aux Plumes d’Or (1971), Maravillas con variaciones acrósticas en el jardin de Miró (1975) e Le Marteau sans maître (1976). Quattro capolavori che raccontano il “sogno poetico” di Miró, quella sua capacità di oggettivare le immagini della fantasia e di esprimerle attraverso un linguaggio assolutamente personale. Gli sfondi neutri vengono “macchiati” da segni scuri e colori brillanti, come blu, rosso, verde, giallo, in una precisa alternanza tra corpi informi e linee curve, per dare vita alle sue visioni oniriche. Scriveva Miró. “Ho una certa esperienza per poter realizzare quello che si può definire fare un libro, non illustrarlo, che è sempre qualcosa si secondario. Un libro deve avere la stessa dignità di un’opera scolpita nel marmo”.
Fino alla seconda metà dell’Ottocento l’illustrazione costituisce un apparato accessorio al testo, ne è parafrasi sempre subordinata alla parola scritta e con essa è legata da un rapporto prettamente mimetico. Il surrealismo eredita le sperimentazioni delle avanguardie precedenti, ma diventa il terreno più fecondo e longevo per la riflessione sul rapporto tra testo e parola e per la creazione dei «libri d’artista». Per l’ampiezza delle pubblicazioni e per il costante lavoro di sperimentazione intrapreso dagli artisti, il «libro d’artista» surrealista rappresenta uno dei contributi artistici ma anche teorici più interessanti del Novecento e Miró ne fu uno dei massimi sperimentatori.
Miró dialogò con l'opera di alcuni dei principali esponenti del mondo letterario del Dopoguerra. Nelle tredici coloratissime litografie di Ubu Roi ciascuna tavola è lavorata come una scena teatrale in cui forme e volumi sembrano potersi muovere liberamente. Ubu è un personaggio grottesco le cui funzioni viscerali dominano su quelle intellettuali e rappresenta la caricatura di ogni abiezione umana. In Le Lézard aux plumes d’or Miró diventa illustratore di se stesso: “La lucertola dalle piume d’oro” rappresenta la fusione compiuta tra immagine e testo poetico, in una equilibrata coesistenza di grafismo e immagini.
Nelle illustrazioni di Maravillas con variaciones acrósticas en el jardin de Miró l’artista catalano si esprime con segni neri e vivaci macchie colorate dal forte impatto visivo. Le sue “Meraviglie” sono la perfetta espressione di quell’instancabile fantasia nel creare forme e disegni che assomigliano a un linguaggio misterioso e affascinante.
Con il ciclo Le Marteau sans maître Miró rende omaggio al poeta René Chair, una delle voci più importanti della letteratura francese del Novecento. Anche in questa serie Miró non rinuncia al colore, ma la scelta dell’acquatinta valorizza non la lucentezza dei cromatismi ma una delicata, modulata porosità delle superfici.
La prestigiosa esposizione di Castiglione del Lago è un’occasione unica per lasciarsi incantare dal meraviglioso linguaggio surrealista di Miró. La mostra accompagna il visitatore alla scoperta di quell’alternanza di segni, versi e immagini vibranti di colori. Per poi sorprendersi di inattese visioni e libertà espressive che fanno di Miró l’incomparabile Maestro del Novecento di cui è difficile non innamorarsi.
LE SERIE IN MOSTRA
Ubu Roi (1966)
Ubu Roi è un’importante ciclo di tredici coloratissime e corpose litografie del 1966 in cui Joan Miró rilegge il testo teatrale di Alfred Jarry dall’omonimo titolo. Tanti artisti l’hanno rappresentato in diverso modo tra i quali Bonnard, Picasso e Max Ernst. Le illustrazioni di Miró sono certamente il capitolo più importante della trasposizione di Ubu Roi nelle arti visive. Ubu è un personaggio grottesco le cui funzioni viscerali dominano su quelle intellettuali e rappresenta la caricatura di ogni abiezione umana.
L’Ubu Roi con illustrazioni di Miró viene pubblicato da Tériade nel 1966 mentre la stampa delle litografie è affidata a Mourlot. Il risultato è certamente tra i più brillanti dell’intero corpus di livre d’artiste di Miró. In questo ciclo l’artista sperimenta un’espressività nuova. Come sottolinea Patrick Cramer il risultato è sorprendente, poiché ciascuna tavola è lavorata come una scena teatrale in cui forme e volumi sembrano potersi muovere liberamente in composizioni dense che non lasciano spazio a vuoti o pause. A differenza di opere dello stesso periodo Miró dà l’impressione di lavorare a stretto contatto col testo di Jarry. Il ciclo si apre con un episodio non menzionato nel testo: “Naissance d’Ubu”, composizione caotica che intreccia il rappresentabile (un gallo, un fallo, una mano) con l’irrappresentabilità strutturale del personaggio di Ubu. Le tavole che seguono, se da un lato paiono suggerire un filo narrativo, è altresì vero che esse rimandano al testo solo per accenni, per sineddochi (un uncino, una corona, una nave) e, laddove si identificano dei personaggi, questi non mantengono una caratterizzazione stabile delle forme che ne permetterebbe una sicura identificazione, ma piuttosto vengono piegati all’esigenza di continua trasformazione che è parte essenziale della poetica di Miró.
Le Lézard aux Plumes d’Or (1971)
Nella serie Le Lézard aux plumes d’or Miró diventa illustratore di se stesso. Il testo ha un carattere tipicamente surrealista per la capacità di evocare un folto universo di immagini, di gesti e di movimenti. Il lettore si trova costretto a vagare in un paesaggio ambiguo e straniante dove le sequenze di immagini si susseguono senza sosta, dove l’assenza di punteggiatura non lascia spazio a pause o silenzi, dove la disposizione del testo spezza le norme tipografiche per muoversi liberamente sul foglio. L’opera riproduce interamente il poema di Miró in stampa litografica e comprende 15 litografie a colori.
Il testo poetico enfatizza con forza le parole che indicano colori: oeillet rouge, neige rose, les points rouges de ma cravatte, dessous bleus, des poissons violets, bébé rose, maman brune, la cerise rouge, parola che in questo modo diviene pittura. In secondo luogo troviamo un ampio ventaglio di riferimenti erotici che procedono spesso per vertiginose metafore o delicate allusioni. Il testo, attraverso l’uso della litografia si presenta nel libro non come semplice carattere tipografico ma riproduce la grafia di Miró. Le lettere in questo modo possono abbandonare regole e regolarità e concedersi repentine variazioni nelle dimensioni e nello spessore. Anche la distribuzione del testo destabilizza le abitudini del lettore, poiché muove spesso per direzioni arbitrarie fino a comporre movimenti circolari. Evidenti sono le variazioni nella densità del testo che alterna zone di scrittura serrata a pagine occupate solo da poche parole. Inoltre, Miró pare talvolta collocare elementi che non appartengono al fluire del testo, ma che si isolano come soggetti autonomi o meglio come oggetti dipinti con la parola (si veda in particolare la parola Harpes). Il movimento rapsodico del testo rimanda all’invisibile lucertola che sembra lasciare la scia del suo passaggio. Allo stesso tempo, testo e gesto pittorico sembrano talvolta confondersi laddove le lettere scivolano nell’ornamento, tanto che le due ultime pagine sembrano come congedare la scrittura in una casualità di linee, punti e curve.
Maravillas con variaciones acrósticas en el jardin de Miró (1975)
In questo ciclo di opere Miró illustra una raccolta di testi poetici che Rafael Alberti dedicò all’artista catalano. Si tratta di venti litografie a colori realizzate nel 1975. Alberti (Cadice 1902 – Madrid 1999) è certamente uno tra i maggiori e più influenti poeti spagnoli del Novecento. Ha percorso questo secolo attraverso un’amplissima e variegata concezione del testo letterario, attraverso inquietudini formali e tematiche dando vita ai generi più diversi con una potenza lirica che lo rende, a pieno titolo, un classico vivente che va oltre i limiti di una generazione o di un popolo. Questa forza che è solo dei grandissimi pervade certamente anche il percorso di Miró. Nelle illustrazioni di “Maravillas con variaciones acrósticas en el jardin de Miró” l’artista catalano si esprime con segni neri e vivaci macchie colorate dal forte impatto visivo. Caratteristica di Miró è la sua instancabile fantasia nel creare forme e disegni che assomigliano a un linguaggio misterioso e affascinante. Il jardin prima che un luogo da attraversare sembra una dimora del colore dove i fiori sfilano per dare vita a cromatismi sorprendenti. Fiori che sbocciano anche negli acrostici che percorrono tutto il testo, tanto che la parola Miró (assieme alla parola Pilar, moglie dell’artista) diventa una sorgente inesauribile di immagini e significati, un’origine privilegiata della creazione artistica. La disposizione del testo, inoltre, spezzando le convenzioni tipografiche, disegna figure geometriche, scivola su scale di parole o, verticalmente, dispone suoni come tratti sulla pagina. Suoni che talvolta, seguendo il solco delle jitanjaforas di Alfonso Reyes, esprimono non un significato ma un puro valore fonico.
Le venti litografie di Miró che accompagnano il testo sono il perfetto completamento della ricerca poetica di Alberti. L’artista, infatti, utilizza colori e tratti come segni di scrittura pittorica. Sono segni nel vuoto della pagina bianca, senso o meglio “pre-senso” che emerge dallo spazio bianco e che rifugge la densità degli elementi. Le opere sono chiaramente percorse da un filo compositivo. In primo luogo c’è un parziale abbandono dei rimandi mironiani alle forme della natura e del cosmo nella direzione di una maggiore astrazione. In secondo luogo, le opere alternano un formato più piccolo a tavole di più ampio respiro spaziale. Nelle prime si può individuare una trasposizione pittorica della variazione musicale come modalità compositiva ed un ancor più chiaro richiamo alle variaciones acrósticas di Alberti. Pochi elementi compositivi, un tratto nero pastellato e tocchi sui toni dei colori primari e secondari costituiscono una “grammatica” stabile ed essenziale di elementi. Le combinazioni di questi elementi sembrano un esercizio che se qui è limitato dal numero delle opere (come gli acrostici nel testo di Alberti) rimanda sempre ad una possibilità di infinita generazione e rigenerazione. D’altra parte, nelle tavole più grandi Miró non abbandona del tutto l’idea della variazione, ma muove verso composizioni più aperte nelle quali in una magnifica polifonia di consistenze cromatiche emerge con forza il tratto nero del calligramma.
Le Marteau sans maître (1976)
Questa serie è prima di tutto una raccolta di versi del poeta René Chair, una delle voci più importanti della letteratura francese del Novecento, tanto che nel 1959 Albert Camus lo definì il nostro maggior poeta vivente. In Le Marteau sans maître è l’uomo ad essere sotto assedio, uomo la cui vita è inesprimibile, negata, costante esito di lotte. Sono vividi gli echi dei drammi del Novecento, ma in maniera più generale si manifesta una perdita di senso nel rapporto tra l’uomo e il mondo. Le Marteau sans maître (1976) è, seppur tardiva (Miró ha 82 anni), la più felice delle collaborazioni tra Miró e Chair. Si tratta di un portfolio realizzato su carta Giappone, molto pregiata, con testo stampato a mano con tecnica tipografica. La seri è composta da 23 tavole incise all’acquatinta a colori.
Le tavole di Miró, da un punto vista stilistico e compositivo, seguono il solco tracciato un anno prima in Maravillas con variaciones acrósticas en el jardin de Miró (1975). Troviamo quindi segni nello spazio vuoto, una tendenza all’astrazione e l’utilizzo di due formati per le opere che al contempo tracciano una “narrazione” complessiva del ciclo e che muovono, con strumenti in parte diversi, verso una rotazione creativa di pochi elementi compositivi. Al contempo, le opere di Le Marteau sans maître evidenziano una maggior violenza latente, un tratto che più che al gioco tende ad un insito tormento. Sono sensazioni mai drammatizzate, sempre rese nell’essenzialità degli espedienti stilistici che rimanda alla poetica di Chair. Si vedono quindi forme che tendono alla chiusura degli spazi, si ravvisa un nero che asciuga il respiro delle composizioni e che nelle tavole più grandi abbandona la serenità del calligramma per richiamare la struttura del tentacolo, di un nero intestino. Non sorprende che più di un osservatore (suggestione o meno poco importa) abbia colto in una delle opere le sembianze di un uomo sull’orlo di un baratro. Infine Miró non rinuncia al colore, ma la scelta dell’acquatinta valorizza non la lucentezza dei cromatismi ma una delicata, modulata porosità delle superfici.