John Latham – Great Noit
La Triennale di Milano presenta la prima mostra antologica che un’istituzione pubblica italiana dedica al lavoro dell’artista inglese John Latham. La mostra, a cura di Alessandro Rabottini, è realizzata in collaborazione con la John Latham Foundation.
Comunicato stampa
Le mostre personali di Gianfranco Baruchello e di John Latham – entrambe curate da Alessandro Rabottini – costituiscono due progetti inediti per il pubblico italiano: per l’artista britannico (Livingstone, Zambia, 1921 – Londra, 2006) questa è la prima antologica in un’istituzione del nostro Paese, mentre per Baruchello (Livorno, 1924) si tratta della maggiore retrospettiva dedicata alla sua produzione filmica e video, frutto della collaborazione tra la Triennale di Milano e il MADRE - Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina di Napoli. Sotto la direzione artistica di Edoardo Bonaspetti, entrambe le mostre affrontano le specifiche produzioni dei due artisti, evidenziandone affinità e differenze tematiche e generazionali, metodologiche e concettuali. Artisti influenti e fuori dalle correnti artistiche riconosciute, sia Latham che Baruchello hanno stabilito un ponte tra arte visiva e sapere letterario, tra materiali artistici e interrogazione filosofica, e hanno operato un'analisi di natura critica dei sistemi conoscitivi e classificatori della realtà, dalla religione alla filosofia, dalla letteratura alla scienza, attraverso una pratica multimediale che ingloba pittura, assemblaggio, film, installazione e performance. Parola, linguaggio e sistemi letterari sono entrati nelle rispettive analisi dei limiti della comunicazione linguistica in relazione ai meccanismi dell'inconscio. Le due mostre vogliono riflettere la necessità di un sapere complesso che superi i confini disciplinari e mettere in luce pratiche artistiche in grado di affrontare un’articolata visione della realtà.
La Triennale di Milano presenta la prima mostra antologica che un’istituzione pubblica italiana dedica al lavoro dell’artista inglese John Latham. La mostra, a cura di Alessandro Rabottini, è realizzata in collaborazione con la John Latham Foundation.
John Latham (Livingstone, Zambia, 1921 – Londra, 2006) è una delle figure più affascinanti della scena artistica europea dal secondo dopoguerra: instancabile sperimentatore, Latham ha attraversato i decenni senza appartenere ad alcuna corrente artistica, esercitando una profonda influenza sulle generazioni a lui successive pur restando tuttora poco conosciuto al pubblico italiano. La singolarità e la visionarietà della sua opera – che ha unito la riflessione teorica alla sperimentazione di linguaggi e materiali – lo rende un artista che esula dalle facili classificazioni: sin dagli anni cinquanta, infatti, Latham ha esplorato pittura, scultura, assemblaggio, performance, film e installazione testando i limiti formali e concettuali di ciascun medium.
Il lavoro di Latham è una riflessione poetica e provocatoria sulla natura della conoscenza umana, sugli strumenti e sui sistemi con cui l’uomo tenta di comprendere l’universo e il proprio destino (dalla scienza alla filosofia passando attraverso la religione) e sull’arte come forma di intuizione in grado di superare i confini tra le discipline.
John Latham: Great Noit presenta oltre quaranta opere, tra le più emblematiche dell’intero percorso dell’artista e realizzate tra il 1955 e il 1998. L’allestimento segue tanto un criterio cronologico quanto un raggruppamento tematico tra i lavori, chiarendo così i temi fondamentali della ricerca di Latham: la riflessione sul tempo, l’esplorazione dei materiali e dei mezzi artistici, la natura trasformativa della pittura e della scultura, e una riflessione sulla possibilità che la realtà possa essere rappresentata all’interno di un unico sistema totalizzante, sia esso scientifico, filosofico o politico.
La sperimentazione di tecniche e materiali ha accompagnato l’artista lungo tutta la sua carriera: dal 1954 al 1958 egli realizza dipinti astratti con l’uso della vernice a spruzzo – collegandosi alle visioni cosmologiche della pittura di Lucio Fontana – ma è nel 1958 che giunge a una delle invenzioni che più caratterizza il suo lavoro, ossia l’utilizzo di libri bruciati, sezionati e dipinti come materiale pittorico e di assemblaggio. Di questa serie di opere sono esposti, tra gli altri, esemplari estremamente significativi come Shaun (1958, proveniente dalla collezione dell’Arts Council of England), Fly Fishing (1959) e Philosophy and the Practice of (1960). Queste opere sono un contributo fondamentale alla storia della pittura come pratica “espansa” – che abbandona gradualmente la parete per diventare installazione – e alle contemporanee sperimentazioni del Nouveau Réalisme. I libri sono quindi utilizzati come metafore dei sistemi razionali di conoscenza e, attraverso la loro manipolazione, Latham esplora il meccanismo della distruzione come parte integrante del processo di creazione, collegandosi in questo modo all’arte di Alberto Burri e alla sperimentazione che l’artista italiano ha operato sui materiali e le tecniche della pittura, attraverso inclusione della saldatura e della combustione.
Altre opere in mostra – come l’imponente Story of RIO (1983) di oltre 14 metri di lunghezza e la grande scultura They’re All There (1998) ai confini con l’intervento architettonico – esprimono l’insistenza sul tema dei limiti della conoscenza umana attraverso l’utilizzo del libro combinato con il vetro, altro materiale ricorrente nel lavoro di Latham sin dai primi anni ottanta. Il vetro è qui usato come metafora della fragilità della conoscenza umana ed esplorato nella sua relazione con i meccanismi della visione e della trasparenza, in un evidente riferimento all’opera di Marcel Duchamp. Come molte altre opere dell’artista, anche queste si ricollegano alla sua visione poetica e cosmologica e rivelano un profondo scetticismo nei confronti degli strumenti che l’uomo utilizza per indagare e classificare la realtà.
Durante gli anni sessanta e settanta John Latham si dedica anche alla realizzazione di film e video sperimentali, che costituiscono un aspetto meno noto ma altrettanto importante della sua ricerca. Attraverso l’esposizione di cinque opere filmiche – su un totale di sei prodotte dall’artista – possiamo comprendere il suo interesse verso l’immagine in movimento colta nella sua materialità e l’esplorazione delle relazioni tra luce, forma e suono. Tra tutti spicca il film Erth (1971), una misteriosa meditazione sulla distanza siderale tra l’uomo e la luna e sulla tensione mai sopita verso la conoscenza e la trascendenza.
La mostra comprende inoltre la parziale ricostruzione dell’esposizione personale che l’artista tenne nel 1992 presso la Lisson Gallery di Londra e che segnò l’approdo definitivo al linguaggio dell’installazione ambientale: oltre a presentare nove opere della serie Cluster (su un totale di undici esemplari realizzati) sarà ricreato eccezionalmente Long Painting, con cui Latham realizzò una sintesi di pittura, performance e intervento installativo. I lavori della serie Cluster sono un’esplorazione formale delle possibilità espressive e simboliche dell’oggetto-libro, modificato in questo caso all’interno di sculture che, pendendo dal soffitto, costruiscono l’immagine di un sistema di pianeti. Questa spettacolare installazione chiude un percorso espositivo dominato dalla fascinazione che il lavoro di Latham esprime per la dimensione del cosmo e per il ruolo della comprensione umana nel determinare il futuro del nostro pianeta.
Al lavoro di John Latham sono state dedicate mostre personali e retrospettive da istituzioni internazionali quali la Whitechapel Art Gallery di Londra nel 2010, il MoMA PS1 di New York nel 2006, la Tate Britain di Londra nel 2005, la Staatsgalerie di Stoccarda e il Museum of Modern Art di Oxford nel 1991 e la Kunsthalle di Düsseldorf nel 1975. L’artista ha inoltre preso parte a Documenta 6 a Kassel nel 1977.
In collaborazione con la John Latham Foundation.
Si ringrazia la Lisson Gallery.