Jumper Maybech
Nipote prediletto del grande clown americano “Bezo” e amico di Pierre Cardin, Jumper Maybech espone per la prima volta in Italia per iniziativa del Museum of the Americas di Miami.
Comunicato stampa
JUMPER MAYBACH Italia 2014
12 - 25 giugno 2014
Spazi per l’Arte Contemporanea del Museo Nazionale di Villa
Pisani, INGRESSO LIBERO
Mostra d’arte contemporanea a cura di Bruno Francisci e Raul Oyuela
testi catalogo di Pier Luigi Fantelli e Adone Brandalise
Nipote prediletto del grande clown americano “Bezo” e amico di Pierre Cardin, Jumper Maybech espone per la prima volta in Italia per iniziativa del Museum of the Americas di Miami . Dal 12 al 25 giugno, negli Spazi per l’Arte Contemporanea del Museo Nazionale di Villa Pisani, si svolte la prima mostra personale nel nostro Paese di questo incredibile pittore e performer.
La mostra viene curata da Bruno Francisci e Raul Oyuela, mentre il catalogo è arricchito da interventi critici di Pier Luigi Fantelli e Adone Brandalise, nonché dello stesso curatore Francisci che spiega: “Quella di Jumper Maybach è una figura singolare di artista, non solo per la particolarità della sua pittura, ma anche per l’intento di trasformare costantemente se stesso facendo del proprio viso una vera e propria opera.”
Con il nome d’arte di Jumper Maybach si è andato durante gli ultimi anni affermando nell’ambito delle arti contemporanee e dello spettacolo americani un singolare personaggio, Ben Workmann, la cui creatività spazia tra la realizzazione dell’opera d’arte come oggetto, sostanziata nella produzione di dipinti e disegni, e come gesto del loro conseguimento. Per sottolineare compiutamente il senso preciso del suo nome d’arte pare utile annotare come l’aver sposato al termine “Jumper” (clown, saltimbanco) quello di “Maybach” (una suggestiva denominazione riferita a una blasonatissima auto di gran lusso leggendaria per gli appassionati al pari di Rolls- Roys e Bentley e prodotta in Germania dal marchio Maybach-Motorenbau, fondato nel 1909 da Wilhelm Maybach e dal conte Ferdinand von Zeppelin) rappresenta una sorta di curiosissimo mélange fra dimensione umana e dimensione tecnologica, fra arte e tecnica, nonché un’interessante commistione di arte accademica e di arte pop.Ben Workmann è il nipote prediletto del famoso clown americano Earl Readdy, notissimo con il nome di “Bezo” soprattutto sul finire del secolo scorso grazie a una serie di apparizioni televisive sui
network americani. Ben apprende fin da bambino, guardando il nonno mentre si trucca, l’arte del travisamento e della trasformazione del volto, restando affascinato dalla faccia di “Bezo” che diventa bianca e poi si colora fino a trasformare l’aspetto della persona in quello del suo personaggio: è l’arte della pittura in embrione che si fa anche arte di mutamento del corpo dell’artista.
Con il nonno “Bezo” il giovane Ben Workmann instaura e mantiene un rapporto strettissimo, affascinato da quel volto che si trasforma, finché il nipote chiede al nonno di dipingere anche il suo volto e di insegnargli i segreti del trucco. Il che avviene e la giovinezza di Ben trascorre ammirando e provocando la continua metamorfosi del volto che diventa dapprima bianco e poi si colora come una tela dipinta.In questo modo comincia l’avventura dell’artista che non riuscirà più a scindere il suo percorso estetico nel mondo da quello tracciato su di sé e dentro di sè, esercitando così in maniera personalissima l’arte della pittura in questa duplice direzione. Sia pure osteggiato dalla famiglia che vuole per lui una carriera di tutt’altro tipo, comincia presto a studiare professionalmente disegno e pittura nella città natale di Corpus Christi in Texas, anche se per sopravvivere deve adattarsi a lavori che, benché remunerativi, non gli piacciono, al contrario di quanto
invece accade con l’attività artistica che lo attrae irresistibilmente.
A ciò si aggiunge il trauma della discriminazione di cui viene fatto oggetto nell’ambito di lavoro per essersi dichiarato omosessuale, un trauma che, oltre al disagio economico e sociale, incide dolorosamente e conflittualmente tra il mondo incantato della bellezza dei colori che fanno festa sul volto suo e del nonno, nonché sulla superficie dei suoi dipinti, e la crudele, durissima realtà sociale che lo ferisce e lo prostra. Fortunatamente per la discriminazione subita si conclude positivamente per Ben, il quale viene risarcito anche sul piano economico potendosi così dedicare totalmente alla sua vocazione artistica. Nello stesso periodo conosce Raul Oyuela, direttore del Museum of the Americas del quale Ben diventa in breve tempo amico: intuendo subito il valore della sua arte, il dott. Oyuela decide di promuoverlo come uno degli artisti seguiti dal museo, organizzandogli importanti mostre e facendolo conoscere in ambito internazionale. Sospinto anche da questi positivi accadimenti Ben Workmann esce vittorioso dalla grave depressione che lo aveva travolto: conscio e orgoglioso del valore e dell’originalità, anzi dell’unicità della propria arte e del singolarissimo iter formativo di essa, “divorzia” da sé stesso e diventa Jumper Maybach: l’artista.