Justin Peyser – Diaspora e stanzialità nella terra dei Bruzi
I temi della Diaspora e dello Sterminio sono da lui rappresentati attraverso la metafora di un ballo struggente e corale. Le sue sculture sono partite dal porto di New York e hanno attraversato l’Oceano Atlantico e il Mar Mediterraneo per approdare come prima tappa al Collegio degli Armeni di Ca’ Zenobio a Venezia, giungere al Maschio Angioino e al PAN di Napoli e proseguire il loro viaggio dando vita ad una nuova mostra ospitata al MAB e al Palazzo dei Bruzi di Cosenza.
Comunicato stampa
Justin Peyser
“Diaspora e stanzialità nella terra dei Bruzi”
a cura di Francesca Pietracci e Roberto Bilotti
Justin Peyser vive e lavora a New York, si è laureato ad Harvard presso il Department of Visual and Environmental Studies e si occupa dello spazio in relazione all'architettura, in particolare alle periferie e alle aree urbane in disuso. È impegnato con una banca etica in progetti di restauro e riqualificazione delle aree neglette della città di New York (Bronx, Brooklyn, Newark). I temi della Diaspora e dello Sterminio sono da lui rappresentati attraverso la metafora di un ballo struggente e corale. Le sue sculture sono partite dal porto di New York e hanno attraversato l’Oceano Atlantico e il Mar Mediterraneo per approdare come prima tappa al Collegio degli Armeni di Ca’ Zenobio a Venezia, giungere al Maschio Angioino e al PAN di Napoli e proseguire il loro viaggio dando vita ad una nuova mostra ospitata al MAB e al Palazzo dei Bruzi di Cosenza. Al MAB sono presenti 9 grandi sculture che rappresentano personaggi danzanti misteriosi e senza volto, in grado di ricordare ai passanti la danza della vita e, ad un pubblico più esperto, l’indimenticabile canzone di Leonard Cohen intitolata “Dance me to the end of love”, ripresa dal motivo suonato da un quartetto d’archi di musicisti ebrei alla soglia di un forno crematorio. Al Palazzo dei Bruzi sono ospitate 7 sculture concepite come testimonianza dei ruderi della nostra vorticosa civiltà. Un’eco di ciò che abbiamo ascoltato e abbiamo visto, ciò che in definitiva resta concretamente delle nostre esperienze e delle nostre protesi tecnologiche. Le opere sono realizzate in lamiere metalliche e sono tenute insieme da spesse saldature lasciate ruvide, con la bruciatura della fiamma visibile, perché, come sostiene l’artista stesso, l’andare vagabondando nella diaspora lascia cicatrici, così come il loro sbilanciamento da un lato rappresenta l’essere in bilico tra due patrie. Da ebreo Peyser conosce infatti il sacrificio di un popolo che lotta per non perdere la propria identità etnica e culturale ed è solidale con i figli di tutte le diaspore. Per questo motivo la mostra è dedicata a tutte le minoranze etniche presenti a Cosenza e a tutti coloro che operano nel settore dell’inclusione sociale. (…)
Francesca Pietracci (Storica dell’arte e Curatrice)
Le opere di Justin Peyser rivelano una ricerca etica ed estetica in continuo divenire, ispirata ai principi di Pietro Consagra, uno degli scultori più radicali e innovativi dell’arte plastica della seconda metà del Novecento. Peyser lo ha infatti conosciuto e frequentato a New York e le sue prime opere prendono il via proprio dal concetto di Città Frontale, come simbolo di uguaglianza in grado di colmare il divario tra arte e vita. Il ruolo dell’arte nella città costituisce da sempre il suo interesse primario e questo è uno dei motivi per cui la sua presenza risulta particolarmente appropriata al contesto progettuale di Cosenza, unitamente al fatto che, essendo un artista di cultura ebraica, dà modo di approfondire la conoscenza di una minoranza etnica presente nella città sicuramente fin dal XIII sec., come testimoniato ancora oggi dal nome dal quartiere Cafarune (da Cafarnao) centro dell’antica Giudecca.
Roberto Bilotti (Fondatore del costituendo Museo Etnografico di Cosenza)
Il sentirsi in esilio è un’esperienza che in diversa misura tocca ogni essere umano, ma l’esilio come esperienza di un’intera collettività è un fenomeno specifico soltanto di alcuni popoli e di alcune etnie. Uno degli esempi più eclatanti è quello del popolo ebraico e in particolare della Comunità ebraica che è vissuta e ha prosperato fino alla fine del quindicesimo secolo nel Regno delle due Sicilie. (…)
Scialom Bahbout (Rabbino Capo Comunità Ebraiche di Napoli e del Sud Italia)