Karen Stuke – Hotel Bogotà
The last check-out. Mostra personale di Karen Stuke
Comunicato stampa
Per tre anni la fotografa berlinese Karen Stuke, dal novembre 2012, ha alloggiato in 45 camere dell’iconico hotel della città di Berlino: l’Hotel Bogota. L’accordo con Joachim Rissmann, albergatore e anima del Bogot, era di poter alloggiare in una camera diversa ogni notte dei suoi temporanei soggiorni. Ogni notte uno scatto con il tempo di esposizione che corrispondeva alla durata del pernottamento, il tempo dell’incoscienza del sonno e del sogno. La cifra di questa artista è anche nel dispositivo che utilizza, la fotocamera a foro stenopeico, una tecnica che richiede un tempo di esposizione estremamente lungo affinché dell’immagine si percepisca qualcosa di riconoscibile: deliberatamente ricerca di un tutto che si fonde in unità.
Karen Stuke era all’Hotel Bogota anche l’ultima notte prima della sua definitiva chiusura. Quando il giorno della vigilia di Natale del 2013 a Berlino dall’Hotel Bogota, al 45 della Schlüterstraße, partì l’ultimo scatolone che conteneva, dopo estenuante e doloroso trasloco, i centocinquantacinque batacchi e le relative chiavi delle stanze fu come vedere la nottola di Minerva iniziare il suo volo sul far del crepuscolo. La realtà aveva compiuto il suo processo cancellando per sempre un luogo che per più di cento anni era stato uno dei simboli della Berlino del XX secolo. Come ormai più di sovente accade lo Spirito del luogo si ritrovò trucidato dalla gentrificazione e dal profitto.
In quel luogo, a pochi passi dalla lussuosa Kurfürstendamm, Benny Goodman aveva suonato il suo clarinetto, la fotografa ebrea Else Ernestine Neuländer-Simon, conosciuta con lo pseudonimo Yva, negli anni’30 aveva lì il suo studio e suo aiutante era il giovane Neustädter più tardi noto come Helmut Newton. Nel 1942 Yva fu condotta in un campo di sterminio e assassinata dai nazisti. In quegli anni bui l’edificio di Schlüterstraße fu requisito e ‘arianizzato’ dai nazisti divenendo sede della Camera della Cultura del Reich, l’istituzione alla quale era affidato il compito di sradicare e punire ‘l’arte degenerata’. Durante la seconda guerra mondiale la maggior parte dei grandi alberghi furono distrutti così molti edifici furono convertiti in hotel e a quell’indirizzo, ai vari piani, c’erano quattro alberghi che successivamente furono accorpati sotto il nome Hotel Bogota.
Il nome era stato dato dall’albergatore Heinz Rehwald che era scappato dai nazisti negli anni ’30 nella capitale colombiana. L’ultimo a gestire l’hotel, dal 1976 alla chiusura, è stato Joachim Rissmann.
Karen Stuke con questo corpus di opere restituisce per sempre quello che il mercato sottrae seguendo le sue leggi cieche e ignominiose facendoci vivere le atmosfere dell’Hotel Bogota. I luoghi di transito temporaneo quali sono le camere di un albergo diventano palinsesti delle esistenze che lì hanno risieduto e al Bogota, raschiando come su un codice di pergamena, si ritrovano le tracce di Helmut Newton, di Yva, di René Burri, Martin Parr, Hanna Schygulla, Nan Goldin…una lista che sarebbe stata infinita se quel mattino della vigilia di Natale del 2013 non si fosse stati costretti a fare l’ultimo check-out.