La città che sale. The City Rises

Informazioni Evento

Luogo
BID PROJECT
via Fara 12, Milano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

Martedì—Sabato 15—19 o su appuntamento

Vernissage
28/05/2015

ore 18,30

Artisti
Valerio Rocco Orlando, Ahmet Öğüt, Dor Guez, Zoe Beloff, Katarina Burin, Ali Cherri, Amie Siegel
Curatori
Chelsea Haines
Generi
arte contemporanea, inaugurazione, collettiva

Gli artisti nella mostra, La città che sale/The City Rises—che provengono dall’Europa, dal Nord America e dal Medio Oriente—rivisitano la storia inquieta del secolo precedente, non per riprodurre il passato in modo non critico, ma per svelare il suo possibile impatto sull’oggi.

Comunicato stampa

Nel 1910 Umberto Boccioni dipinse la sua prima composizione futurista, La città che sale. Un dipinto monumentale, di due metri di altezza e quasi tre di larghezza, che cattura il modello frenetico del paesaggio urbano di una Milano all’inizio del ventesimo secolo, ritraendo l’azione della costruzione di un impianto elettrico come una fusione di lavoratori blu, gialli e rossi insieme ai loro cavalli. Questa scena dal volto di Giano dell’architettura moderna costruita attraverso mezzi pre-moderni è caratteristica della stessa Milano, il luogo dove è nato il movimento dell’avanguardia italiana più significativo, descritta da Marinetti contemporaneamente “tradizionale e futurista”. Nonostante un secolo di distanza che ha ripetutamente e anche catastroficamente rivelato imperfezioni e fallimenti della modernità, la neutrale celebrazione della tecnologia e dello sviluppo urbano, in generale promosso dai futuristi, prosegue nella società odierna, frenetica, “accelerazionista” e globale.

Gli artisti nella mostra, La città che sale/The City Rises—che provengono dall’Europa, dal Nord America e dal Medio Oriente—rivisitano la storia inquieta del secolo precedente, non per riprodurre il passato in modo non critico, ma per svelare il suo possibile impatto sull’oggi.
Gli artisti esplorano i possibili futuro del passato, presentando lavori che guardano agli archetipi della modernità—l'architettura, la città e lo spazio “altro” —per rivelare e criticare molteplici storie di guerra, politica, migrazione ed emarginazione, spiritualità, e la tensione fra la memoria individuale e l’identità collettiva. La mostra considera la moderna città non un sito che emerge dal basso ex nihilo, ma uno che, nonostante l’ “epurata” infrastruttura d’acciaio della modernità, porta sempre i segni di un passato che minaccia di rivelare se stesso.

Zoe Beloff presenta il suo più recente lavoro The Glass House (2015), una rielaborazione creativa degli appunti e dei disegni per un film non realizzato dallo stesso nome. La prima concettualizzazione di “The Glass House” di Eisenstein a Berlino nel 1926, era inspirata dalla nuova architettura modernista e da una visita al set di Metropolis di Fritz Lang. Egli ha immaginato una grande torre in cui non solo i muri, ma anche i pavimenti e i soffitti erano fatti di vetro: una struttura di completa visibilità.

Le installazioni di Katarina Burin sfidano il canone convenzionale dell’architettura che, mentre danno voce a designer donne, esplorano l’autorità storiografica, destabilizzano la ricerca convenzionale, e creano uno spazio di gioco intorno al mito dell’ “architetto”. I suoi progetti dimostrano quanto i movimenti storici e l’ideologia utopica siano complicati, contraddittori e in flusso costante.

Nella scultura di ottone cromato Heroes—The Rise and Fall (2013), Ali Cherri esplora l’eredità dello spazio che compete in tandem con il passato e le recenti rivolte in Syria. Il lavoro di Cherri connette le rivendicazioni nazionali terrestri and extraterresti per lo spazio−un elemento risuona palesemente datato, l’altro acutamente presente.

Dor Guez presenta degli elementi da The Sick Man of Europe (2015), un progetto di ricerca continuo che esplora le storie militari del Medio Oriente attraverso le vite e le pratiche creative dei soldati individuali. Gli “scanograms” di Guez−un format inventato dall’artista per produrre stampe digitali ad alta risoluzione da materiali di archivio−in mostra qui riflettono le memorie di un giovane architetto turco alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale.

Wikipolis (2011) è un film collage su 16mm di Ahmet Ögüt che collega una scena da Metropolis con l’immagine di un precedente bunker nucleare a Stoccolma che adesso ospita un centro dati con 8,000 server, due dei quali appartengono a WikiLeaks.

La scultura neon bianca di Valerio Rocco Orlando Truth is a pathless land (2015), riflette sui temi dell’ educazione alternativa internazionale al centro della sua recente mostra al Museo Marino Marini a Firenze. La scultura cita il moderno pedagogo riformista Indiano Jiddu Krishnamurti, la cui scritta appartiene ad uno degli studenti che l’artista ha incontrato in un workshop mentre era professore in residenza a Bangalore.

Nel video a cinque schermi Deathstar/Todesstern (2005), Amie Siegel giustappone segni di colpi da sparo sui corridoi di edifici della prima modernità tedesca appropriati dal Terzo Reich e i loro associati (o più tardi la Repubblica Democratica Tedesca), a una traccia audio in loop della versione doppiata in tedesco di Star Wars. Questi edifici condividono uno stile indicativo sia dell’architettura socialista nazionale che di un programma modernista di edifici sanitari, entrambi macchine che cercano di liberarsi dal passato.

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Chelsea Haines è una curatrice e scrittrice di base a New York. Dal 2009, ha organizato mostre e public programs per istituzioni come l’Independent Curators International, Portland State University, la biennale di Shangai, e il Vera List Center for Art and Politics alla New School. Haines è attualmente candidato PhD in Storia dell’Arte al The Graduate Center, CUNY, dove è Presidential Research Fellow al The Center for the Humanities. Ha frequentato residenze curatorial e ottenuto research fellowships presso l’International Studio and Curatorial Program (ISCP), Residency Unlimited, and Artport Tel Aviv.