La luce del mondo
Tra il XII e il XIII secolo cambiano profondamente i rapporti fra potere temporale e spirituale e La luce del mondo – epiteto che si riferisce a Federico II di Svevia, ma che richiama allo stesso tempo la figura di Cristo – si propone come stimolo alla riflessione su questo cambiamento. Tra i delicati equilibri che vengono stabiliti e talvolta rotti in questo periodo, c’è quello fra committenza imperiale e committenza ecclesiastica nel campo dell’arte. Il sottotitolo Maioliche Mediterranee nelle terre dell’Imperatore spiega meglio il contenuto della mostra.
Comunicato stampa
Sabato 2 marzo 2013, al palazzo Grifoni di San Miniato di Pisa, si apre la mostra La luce del mondo. Maioliche Mediterranee nelle terre dell’Imperatore, a cura di Marta Caroscio e Fausto Berti con il coordinamento scientifico di Franco Cardini. Promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato e dalla Fondazione Museo Montelupo Onlus, con il sostegno del Comune di Montelupo e del Comune di San Miniato, la mostra fa parte del progetto Il Mare tra le Genti. Rotte di cultura, arte e ceramica tra Islam e Toscana, che si è inaugurato lo scorso anno per indagare le potenzialità di dialogo tra i diversi luoghi del Mediterraneo e riscoprire questo mare come canale di comunicazione fra culture diverse.
Tra il XII e il XIII secolo cambiano profondamente i rapporti fra potere temporale e spirituale e La luce del mondo - epiteto che si riferisce a Federico II di Svevia, ma che richiama allo stesso tempo la figura di Cristo - si propone come stimolo alla riflessione su questo cambiamento. Tra i delicati equilibri che vengono stabiliti e talvolta rotti in questo periodo, c’è quello fra committenza imperiale e committenza ecclesiastica nel campo dell’arte. Il sottotitolo Maioliche Mediterranee nelle terre dell’Imperatore spiega meglio il contenuto della mostra. Le maioliche esposte, così come gli altri oggetti, sono produzioni di ambito mediterraneo. I bacini murati sulla facciata della cattedrale di San Miniato sono importazioni giunte dalla Tunisia, che vengono accostate a manufatti delle terre che all’epoca gravitavano sotto l’influenza politica normanno-sveva, la Sicilia in primo luogo. Terre nelle quali si trasmettevano saperi artigianali e tecniche, grazie al contatto fra maestranze diverse e alla circolazione degli stessi modelli culturali. San Miniato, sede del vicariato imperiale, assume un ruolo di particolare rilevanza. Proprio in ragione di questo legame, il complesso dei bacini decorativi inseriti nella facciata di Santa Maria, è messo a confronto con i bacini di altre chiese romaniche presenti in Valdelsa, lungo la via Francigena. Lo stesso tema, ossia la committenza, è affrontato in maniera trasversale attraverso un bacile di rame dorato che reca simboli e un’iscrizione di chiaro rimando al potere imperiale.
Il percorso espositivo prende avvio dalla valorizzazione dei bacini (ossia stoviglie come ciotole e catini) un tempo murati nella facciata della cattedrale di Santa Maria a San Miniato, rimossi in occasione del restauro del 1979, sostituiti da copie e oggi conservati presso il locale Museo Diocesano. Si tratta di ceramiche rivestite con decorazione in cobalto e manganese di produzione tunisina, databili fra il 1165 e il 1220. Gli stessi oggetti erano utilizzati sulle mense, sebbene, trattandosi di importazioni, si trovassero solo in contesti di un certo livello. L’importanza di queste ceramiche consiste nell’essere un nucleo omogeneo utilizzato in architettura con finalità decorative.
San Miniato riveste un ruolo importante perché Federico II, cui si deve l’edificazione della rocca, elesse questo luogo a vicariato imperiale, fece cioè risiedere nella città il suo vicario per la Toscana. La chiesa di Santa Maria, attestata per la prima volta in un documento del 1195, presenta strutture romaniche e un impianto databile all’epoca di Federico I (1122-1190), sebbene il suo aspetto attuale sia frutto di rifacimenti e modifiche di epoca rinascimentale e moderna.
La decorazione della facciata, così come di altre parti delle chiese romaniche, con ceramiche smaltate e invetriate, è un tratto comune alle chiese pisane dalla fine del X secolo. Una “moda” che da Pisa si diffonderà anche in altre zone della Toscana, come ad esempio in Valdelsa. Fino al Duecento il ruolo di elementi decorativi è assolto dalle ceramiche d’importazione, che solo da questo momento iniziano a essere affiancate dalle produzioni locali. I contatti di Pisa con il mondo islamico e le importazioni da queste aree sono senz’altro favoriti dal ruolo di spicco della città marinara nei commerci mediterranei.
Le immagini dipinte sui bacini della cattedrale sono immediatamente riconoscibili come elementi di matrice islamica: decorazioni zoomorfe, oculi con reticolo (forse un riferimento all’occhio di Allah), motivi geometrici e vegetali stilizzati. Questi oggetti, che rappresentano il nucleo centrale della mostra, sono messi a confronto con ceramiche provenienti da altre terre dell’imperatore (come le proto-maoliche siciliane), e con importazioni giunte a Pisa da altri contesti Mediterranei. Fra i bacini di San Miniato spiccano due grandi ciotole decorate con felini, un catino con una gazzella colta nella corsa e dipinta con tratti essenziali ma che rendono in tutto la dinamicità del movimento. Il nucleo dei bacini sanminiatesi (tutti illustrati nelle schede del catalogo) viene esposto quasi nella su interezza.
Questi oggetti sono messi a confronto con alcuni bacini inseriti nelle murature delle chiese pisane ed oggi conservati presso il Museo Nazionale di San Matteo. Il percorso espositivo prosegue con ceramiche prodotte in Sicilia, scegliendo di dare particolare risalto alla produzione di Gela, a cavallo tra XII e XIII secolo. Nell’ultima sala un gruppo di ceramiche smaltate provenienti da Fostat (Il Cairo) e databili principalmente al XII secolo, ossia coeve alle produzioni tunisine importate a San Miniato, viene accostato a tessuti di produzione italiana e di altre manifatture mediterranee (Iran, Penisola Iberica). L’intreccio di scambi relazioni mediterranee è così ripercorso attraverso le decorazioni che accomunano ceramiche e materiali tessili.
È proprio il dialogo fra i diversi materiali (tessuto, ceramica, metallo) a essere il filo conduttore che attraversa l’intero percorso espositivo. Il grande catino di rame dorato recante l’iscrizione “Karolus Imperator” è centrale in questo senso e mette in luce anche il ruolo delle manifatture di matrice imperiale e delle committenze cui già abbiamo fatto riferimento.
I simboli veicolati dagli oggetti diventano quindi il mezzo privilegiato di circolazione delle idee in una temperie culturale tanto articolata quanto varia.