La realtà e il suo artificio
Cos’è l’artificio della realtà ? Una falsificazione ? No. Per capire di cosa si tratta, dobbiamo ricorrere all’etimologia e scoprire che il termine è composto di due parole latine: ars e facio che si possono tradurre come «arte» e «faccio». Dunque, l’artificio, prima di essere l’espediente con il quale si ottiene un risultato all’interno di un sistema dato, sia esso linguistico, musicale, ingegneristico, architettonico e via di questo passo, è l’abilità nel fare arte; meglio: è «fare arte».
Comunicato stampa
Cos'è l'artificio della realtà ? Una falsificazione ? No. Per capire di cosa si tratta, dobbiamo ricorrere all'etimologia e scoprire che il termine è composto di due parole latine: ars e facio che si possono tradurre come «arte» e «faccio». Dunque, l'artificio, prima di essere l'espediente con il quale si ottiene un risultato all'interno di un sistema dato, sia esso linguistico, musicale, ingegneristico, architettonico e via di questo passo, è l'abilità nel fare arte; meglio: è «fare arte». Allora, l'artificio della realtà è prendere le mosse dalla realtà per «fare arte» e sentirci un po' "artefici" a nostra volta; ovvero dar voce a quella spinta creativa che, senza voler per forza debordare nel trascendente, tanto assomiglia a quell'élan vital che il filosofo Henri Bergson individuava come caratteristica sia della Natura sia dell'Uomo, entrambi incapaci di arginare il loro incoercibile slancio vitale e creativo. Pertanto, «la realtà e il suo artificio», più che un titolo è la chiave di lettura per interpretare il confronto fra il mondo e l'arte, nell'accezione che hanno voluto proporre tre giovani talenti i quali, fra le aule dell'Accademia di Belle Arti di Roma, hanno sentito l'obbligo di offrirsi al confronto. Così, Luca Bartoli, Michele Bellini e Saverio Sallusti, felicemente travolti dall'entusiasmo spavaldo della loro età, hanno iniziato quella lotta corpo a corpo con il mondo che è sfociata in una serie di dipinti, da considerarsi i loro personali «artifici della realtà». I risultati sono apprezzabili e costituiscono un buon inizio che, con perseveranza e applicazione, non potrà che dar buoni frutti. Di sicuro, questi giovani ‘moschettieri' dell'arte, da una parte hanno capito che il lavoro sistematico e continuo, è l'unico viatico per arrivare a risultati veri; dall'altra, hanno ben chiaro davanti agli occhi che è il mondo reale il punto di partenza da cui partire per elaborare una poetica personale, non banale. I riferimenti culturali sono la grande tradizione italiana dell'Ottocento, sia pure aggiornata ad oggi, con tanto di fumetto, cinema (ormai dvd), fiction televisiva e computer arricchito dalla connessione internet. I pennelli, però, sono quelli di sempre come pure i colori ad olio e le tele, sulle quali s'imprime quella loro idea del mondo e dell'arte, a prescindere dal soggetto che affrontano. Così, il Giuda di Michele Bellini, con la camicia color militare segnata dagli straccali, sta fra il guerrigliero mercenario e lo spacciatore di droga; fra l'avido trafficante e il mariuolo borseggiatore che a malapena riesce a mascherare l'imbarazzante somiglianza con l'autoritratto del pittore al quale pesano in mano quei trenta denari trasformati in euro dal cambio della Storia. La Jasminka di Luca Bartoli, invece, sfida la luce impietosa del sole che non riesce a scalfire la gioia sensuale della sua grazia. Monumentale ed intima ad un tempo, questa giovane donna troneggia al centro della tela, ma la sua immagine plastica subito si sfalda nel verde dilavato dello sfondo, sicché le notevoli dimensioni del quadro (120 x 90) felicemente contrastano con una pittura rapida e fresca che assai rimanda al bozzetto. Sicuro e temerario, Bartoli si presta a sostenere il confronto con la millenaria tradizione del tema del ritratto che affronta duellando con la Storia. Non è meno ardito Sallusti che sulla tela dipinge la ‘sua' Crocifissione dove è forse ‘buon ladrone' come denuncia l'autoritratto da nudo che tanto rimanda al celebre disegno di Albrecht Dürer conservato allo Schlossmuseum di Weimar. Un uomo che è stato crocifisso dal mondo quello dipinto da Sallusti, con le braccia aperte e volte in basso, quasi ad arrendersi ai casi della vita che gli fanno reclinar la testa. Una condiscendenza che il pittore sente come limite e che, infatti, al giovane artista pare estranea.
Prof. Marco Bussagli