La Regola della Mano Destra
La mostra presenta l’esperienza comune e consolidata di un gruppo di sette artisti che lavorano sul suolo nazionale.
Comunicato stampa
LA REGOLA DELLA MANO DESTRA
Sette artisti - Una ricerca - Sette soluzioni formali
Il Museo MAGI ‘900 - Museo delle Eccellenze Artistiche e Storiche di Pieve di Cento (BO), il più importante e ricco Museo privato d’Arte Moderna e Contemporanea in Italia, presieduto da Giulio Bargellini e diretto da Vittoria Coen, inaugura sabato 3.12.2011 la mostra:
"LA REGOLA DELLA MANO DESTRA" che presenta l’esperienza comune e consolidata di un gruppo di sette artisti che lavorano sul suolo nazionale.
Partendo da comuni basi estetico-filosofiche Milena Barberis, Angiola Churchill, Behnam Ali Farahzad, Annamaria Gelmi, Giuliano Giuman, Silvestro Lodi e Lucia Pescador proporranno opere recenti e site-specific per introdurre al pubblico del MAGI ‘900 la loro singolare avventura artistica.
Ciascun artista ha alle proprie spalle una carriera lunga e proficua, ma ha ritenuto opportuno rivedere la propria esperienza creativa allacciandola ad altre contigue per qualità e temperamento. L’esito è stimolante e sottende una rinnovata vivacità non solo del linguaggio poetico tout-court ma anche del modo di concepire la comunione degli artisti e la possibilità di creare, se non un vero e proprio movimento, una piattaforma d’intenti che apra a tutti una diversa percezione del processo creativo, propositiva e comunicativa.
Utilizzando la geniale intuizione del filosofo Massimo Donà (Università San Raffaele, Milano) che presentò il Gruppo nella sua prima apparizione milanese, attraverso l’icastica denominazione di “Scale Mobili”, e mantenendo distinta l’eterogenea molteplicità di risultati stilistici, si ricostruisce la diaspora dei percorsi che affrontano le opere d’arte in corso di compimento e poi terminate, e si individuano le soluzioni formali verso cui gli Autori indirizzano decisamente il proprio fare artistico.
La mostra è concepita dagli stessi Artisti e curata da Cristiana Curti, che cercherà di rintracciare, dei Sette, il filo comune d’Arianna.
In questo senso (teorico e fenomenico, estetico e fisico, esperienziale e formale), alla curatrice viene in aiuto la nota Regola della Mano Destra, la legge fisica declinata attraverso un algoritmo, che permette di individuare le relazioni fra due vettori proiettati nello spazio semplicemente connesso (come quello di un labirinto mono o policursale – con una o più uscite) per ottenere un prodotto vettoriale che corrisponde a un terzo piano perpendicolare a quello denominato “alfa” su cui i due primi vettori insistono: la terza dimensione che istruisce un sistema di riferimento (altezza, larghezza, profondità) cui far capo per successive analisi.
Mantenendo la metafora dell’algoritmo, e traslandola alla ricerca artistica, si otterrà il “prodotto vettoriale dell’arte” per ciascuno degli artisti, l’uscita sicura dal Labirinto della Realtà apparente e della Realtà fenomenica. Senza ombra d’indecisione, chiunque entri in un percorso labirintico ha ragione dell’ottundimento dei propri sensi ed è corroborato dalla scelta razionale, sempre seguendo la propria mano destra (o sinistra) appoggiata al muro destro (o sinistro) d’ingresso. La regola è di non staccare mai la mano dal muro. Questa conduce il viaggiatore verso il punto in cui o troverà l’uscita o, finito nel vicolo cieco, tornerà sui propri passi e quindi a “riveder le stelle” della realtà che lo circonda.
Per gli artisti, la soluzione della formula consiste nella póiesis, mezzo e fine al tempo stesso, che li obbliga, quasi come condanna, a procedere nel proprio compito sulla Terra.
Milena Barberis (Monza, 1951) da una formazione accademica pura, giunge all’arte digitale dopo un corso alla School of Visual Arts di New York: la tecnica cambia profondamente, ma i contenuti e gli stilemi rimangono tutti italiani, con la possibilità incrementata di narrazione per frammenti o fotogrammi. La misura conclusa della tela esorbita in quella indefinita dell’episodio, reso mediante la virtuale molteplicità e variabilità dei dati formali inseriti nelle opere.
Angiola Churchill (New York, 1922) lavora su e con la carta e con questa costruisce città; il collage rappresenta la modalità privata della terza dimensione di tutta la ricerca maggiore, mentre il gesto, pittorico, proviene dall’esperienza dell’Espressionismo astratto di cui assume i connotati formali e trova corrispondenze nella Op Art degli Anni Sessanta che “fece della tecnica un soggetto”.
Per Behnam Ali Farahzad (Sari, Iran, 1951, dal 1980 vive a Milano) la compulsione accumulatoria di segni porta a definire l’universo concettuale entro cui ogni progetto può reperire il proprio materiale per essere compiuto. L’uso di diversi media espressivi è funzionale al processo accumulativo. Ma l’accumulazione in un “luogo” serve per liberare la realtà apparente da inutili orpelli. L’accumulazione di segni costruisce una realtà parallela alla nostra esistenza, che possiede caratteri di realtà più consistenti e veritieri di quelli della vita quotidiana. Con sistematicità, l’artista organizza il proprio percorso seguendo tematiche interconnesse sullo sfondo dell’argomento principe, la Metamorfosi.
Anche per Annamaria Gelmi (Trento, 1948) il senso del costruire si sviluppa nella ripetizione dei segni, ma è soprattutto lo strettissimo rapporto che essa ha con il materiale che utilizza (in particolare ferro e acciaio) e con la scelta dei colori che fa sì che la sua poetica assuma la complessità di una “struttura metaforica” dell’arte.
Per espressa dichiarazione di Giuliano Giuman (Perugia, 1944), la musica è la musa abbandonata solo per rintracciare altrove la medesima scansione tonale dell’esistenza artistica. Ma se per anni la sperimentazione attraversa i più diversi ambiti espressivi, è a partire dalla metà degli anni ’80 dello scorso secolo che il vetro diventa il linguaggio “musicale” per eccellenza. La musica, tuttavia, scandisce anche nelle ultime opere il ritmo della procedura, dell’azione artistica.
Il mondo iconografico di Silvestro Lodi (Marostica, 1947) è colto e organizzato. Lo studio della materia e della sua manipolazione diventa il perno intorno cui modulare l’universo di segni che popolano tele, video e installazioni. Le “forme” sono l’ossessione dell’artista, metafore delle idee platoniche, archetipi della costruzione del mondo.
L’attenzione compilativa per i segni della cultura del XX secolo costituisce il cuore dell’esperienza artistica di Lucia Pescador (Voghera, 1943) che dell’inventariare ha fatto un destino. La carta è la materia prima del compilatore, la pellicola fotografica contiene in sé la potenzialità dell’immagine, i muri (dello studio, delle sale espositive) sono i classificatori.