La ripetizione differente
La Fondazione Marconi ripropone al pubblico una rassegna tenutasi quarant’anni fa negli spazi dello storico Studio Marconi di via Tadino, costituito nel 1965, e ora sede della Fondazione.
Comunicato stampa
Trovare nuove vie d’espressione,
nuove possibilità d’immagine, eliminare
dalla propria opera quanto sappia
di “già fatto” o di codificato...
(Renato Barilli, La ripetizione differente, 1974)
La ripetizione differente
Inaugurazione: 10 giugno 2014 dalle ore 18.00
Dall’11 giugno al 18 luglio 2014
La Fondazione Marconi ripropone al pubblico una rassegna tenutasi quarant’anni fa negli spazi dello storico Studio Marconi di via Tadino, costituito nel 1965, e ora sede della Fondazione. Il titolo, La ripetizione differente, era tratto da un saggio del filosofo francese Gilles Deleuze, ma in sostanza segnava un netto anticipo di quello che si sarebbe detto il postmoderno, o con termini più legati al mondo dell’arte, citazionismo, mode rétro, retour à.
Si trattava di cogliere un fenomeno naturale e inevitabile, un ritmo dialettico o bipolare che vuole che quando ci si è spinti troppo in una direzione, scatti una manovra al rientro, e da uno sguardo proteso verso il futuro, si ritorni a saccheggiare il passato.
Era l’operazione magistrale svolta da De Chirico nell’intero corso della sua carriera, che proprio in quei giorni si stava recuperando in toto.
La mostra aveva l’ambizione di rintracciare i segni manifesti di questo ritorno al passato entro i vari livelli in cui esso poteva essere svolto. E dunque, un livello legato alle immagini, dove quelle di una urlante attualità, rubate ai media “popolari”, non mancavano di associarsi a reperti del passato, o comunque rivedevano i miti pop con mano leggera e dissacrante (Enrico Baj, Valerio Adami, Tadini, Richard Hamilton, ovvero la squadra sostenuta con tenace amore proprio da Giorgio Marconi).
Gli si potevano accostare l’estroso e divertito spagnolo Eduardo Arroyo e l’arguto e provocante Ugo Nespolo, ma anche lo spirito del ’68, con la sua dichiarazione della “morte dell’arte”, insediato soprattutto nell’ambito dell’Arte povera, non era riuscito a chiudere le porte a questi sussulti di retrospezione, come dimostravano eloquentemente Giulio Paolini, Luciano Fabro, Jannis Kounellis. E nel medesimo spirito l’indagine poteva estendersi pure al tedesco Gerhard Richter, allo statunitense John Baldessari, a Bruno Di Bello, ai coniugi Anne e Patrik Poirier.
Tutto ciò, se si vuole, nel rispetto del dogma sessantottesco dell’abolizione del colore. Ma i più giovani della compagnia, quali Salvo e Luigi Ontani, osavano già reintrodurre una splendente policromia, aprendo le porte ai fenomeni collaterali allora solo in germe, Transavanguardia, Nuovi-nuovi, Anacronisti.
Allora a spalleggiarli c’erano solo i lussuosi ritratti di immaginari personaggi redatti da Giancarlo Croce, o le epidermidi tatuate di Plinio Martelli, o infine la pioggia di rose che Urs Lüthi contrapponeva alle volgarità della vita quotidiana.
Per l’occasione sarà pubblicato il Quaderno della Fondazione n. 14, con un testo di Renato Barilli, illustrato dalle opere degli artisti in mostra, e la riproduzione fotostatica della prima pubblicazione del 1974 dedicata dallo Studio Marconi alla Ripetizione differente.