La stella di Zorio
A margine della mostra Poveri Ricchi. Arte Povera italiana e dintorni – visibile da Spazio 88 sino alla fine di febbraio – Enrico Mascelloni racconta nascita, vicende e aneddoti relativi al movimento artistico che, alla fine degli anni ’60, scompaginò lo scenario artistico italiano.
La conversazione sarà completata da una visita alle opere più significative in esposizione e da un cocktail.
Comunicato stampa
LA STELLA DI ZORIO
E ALTRE STORIE DELL’ARTE POVERA
Nascita, vicende e aneddoti del movimento
che rivoluzionò lo scenario artistico italiano di fine’900
Conversazione di
Enrico Mascelloni
a margine della mostra
POVERI RICCHI
Arte Povera Italiana e dintorni
Giovedì 2 febbraio ore 18,30
Spazio 88 – Via dei Cappellari, 88 – 00186 Roma
Tel. +39 06 68805846
e-mail: [email protected]
www.spazio88.it
Ingresso libero
Ufficio stampa: Scarlett Matassi – 345 0825223 [email protected]
Giovedì 2 febbraio, a margine della mostra Poveri Ricchi. Arte Povera italiana e dintorni – visibile da Spazio 88 sino alla fine di febbraio – Enrico Mascelloni racconta nascita, vicende e aneddoti relativi al movimento artistico che, alla fine degli anni ’60, scompaginò lo scenario artistico italiano.
La conversazione sarà completata da una visita alle opere più significative in esposizione e da un cocktail.
LA MOSTRA
Da Spazio 88 sino al 29 febbraio Poveri Ricchi, una mostra che ripercorre l’esperienza dell’Arte Povera sul filo della memoria e dell’emozione. Senza intenti di filologica ricostruzione, Laura Maggi, Patrizia Zoratti ed Enrico Mascelloni, rispettivamente ideatrici e curatore della rassegna, compongono una pagina che restituisce il senso del movimento artistico fondato da Germano Celant insieme al sapore di un’epoca cruciale, gli anni a cavallo del ’68 e il decennio dei ’70. A riportarci indietro nel tempo una scelta selezione di venti opere e musica di sottofondo anni ’70.
Mentre l’ambiziosa operazione istituzionale Arte povera 2011 consegna alla dignità ma anche alla rigidità della storicizzazione il movimento dell’arte che volle soprattutto essere fluida, aperta ed elastica, il frastagliato universo delle gallerie e delle associazioni culturali private non cessa di dire la sua sull’argomento, anche in polemica con lo storico fondatore del gruppo, Germano Celant.
La persistente carica di passionalità attorno all’arte che divise l’opinione pubblica italiana è facilmente spiegata dalla relativa giovinezza dell’urticante movimento, costituitosi nel 1967 e, dunque, in un passato recente e ancora vivo nel ricordo di molti. Anche nella memoria degli organizzatori di Poveri Ricchi. Per rendersene conto basta chiedere a Laura Maggi di raccontare l’episodio della sua conversione all’arte contemporanea: una giovane antiquaria folgorata sulla via di Damasco dall’incontro con le scandalose installazioni di Jannis Kounellis. Una con un passato così ha maturato opinioni ben precise sull’argomento Arte Povera e potrebbe sostenerle in contraddittorio con chiunque. Così se Celant si affanna a fissare paletti e consegna l’elenco ufficiale degli artisti del gruppo, nella mostra sui Poveri Ricchi troveremo in aggiunta anche Mario Ceroli e Sergio Lombardo, inseriti per via della forte consonanza linguistica con i magnifici tredici del catalogo celantiano.
Anche il titolo un po’ irridente della mostra testimonia una affettuosa familiarità verso quel tipo di estetica e gli artisti che la praticarono ma, dietro all’ironia, tanti sono i richiami agli elementi rappresentativi dell’identità e della storia del gruppo.
Poveri di fatto oltre che di nome al momento dell’esordio, il successo arrivò relativamente presto per i ragazzi di Celant, abilissimo nell’imporre i suoi pupilli a livello internazionale. La ricchezza alla quale fa riferimento il nome della mostra è però anche quella di un’esteticità debordante. Per rendersene conto sarà sufficiente un’occhiata d’insieme alle opere esposte: gli umili materiali utilizzati per realizzarle danno vita ad un insieme sontuoso ed elegante, di un gusto molto italiano che forse è la chiave per comprendere il successo dell’Arte Povera sul mercato straniero.
Celant ha sempre sostenuto che quel nome semplice e folgorante, Arte Povera, si era affacciato da solo, con la massima naturalezza: “ I pop erano arrivati da noi attraverso Sperone e stavano arrivando i minimal. Tra il 66 e il 67 sentii che stava succedendo qualcosa di nuovo nell’arte, che non era né il minimal né il pop…Vedevo gli artisti che mi interessavano usare materiali come il carbone, le fascine di legno, i giornali e mi venne in mente il termine povera”. Un termine in effetti perfetto per evidenziare le caratteristiche comuni di artisti impegnati in ricerche tra loro anche assai diverse e condotte in piena autonomia. Una visita alla mostra di Spazio 88 sarà sufficiente per comprendere come quegli artisti per niente simili siano stati però tutti poveri nel preferire all’utilizzo dei materiali e delle tecniche dell’arte tradizionale materiali antiartistici: scarti industriali, plastiche, materie umili ed oggetti del lavoro e della vita quotidiana, elementi della natura come l’acqua, la terra, il ghiaccio. Tutto era ammesso, perché il punto centrale della questione non era la scelta dei materiali ma l’enfatizzazione del gesto creativo. L’Arte Povera sottolineava la possibilità di creare con qualsiasi mezzo, o addirittura con nessuno. Una possibilità da cui discendeva la sua valenza politica di arte replicabile anche in situazioni di assoluta povertà e quindi esportabile ad ogni latitudine.
Era d’altronde povera anche in quanto arte interessata a raccontare la povertà in una dichiarazione di impegno politico in linea con i tempi e che Enrico Mascelloni legge, nel testo in catalogo, soprattutto come brillante espediente estetico.
Era povera per l’estrazione sociale dei suoi protagonisti, tutti figli di operai o impiegati.
Ed era povera per via della sua tensione all’azzeramento di tutte le stratificazioni culturali e sociali legate alla società patriarcale.
Nelle venti opere scelte da Spazio 88 per raccontare, per sensazioni ed emozioni, un fenomeno artistico probabilmente privo di paragoni nella storia dell’arte italiana del dopoguerra non vi è però solo dissacrazione. C’è anche molta poesia e la capacità di tenere sempre desta l’attenzione dello spettatore.
E’ difficile sottrarsi alla magia di due Quadri Specchianti di Michelangelo Pistoletto, opere mai uguali a se stesse, in continuo divenire mentre tendono lusinghieri agguati ai visitatori nel tentativo di indurli a transitare dall’altra parte del vetro. Pochi oggetti sanno essere più lirici di una imponente Stella su cuoio di Gilberto Zorio. Ed è pura poesia il modo sempre diverso in cui Pier Paolo Calzolari, presente con quattro grandi dipinti e un Materassino del 1970, si confronta con la precarietà di materiali effimeri o singolari come, nel caso del Materassino, un mollettone, una piastra di ferro, lumini ad olio e persino un motore frigorifero con struttura ghiacciante. Oltre a loro Pino Pascali, Giuseppe Penone, Jannis Kounellis, Mario Ceroli, Sergio Lombardo e un grande dipinto su carta di Alighiero Boetti, un artista capace di vedere oltre il suo tempo. I suoi lavori afghani appaiono, a posteriori, delle sorprendenti premonizioni di ciò che il mondo sarebbe diventato nel terzo millennio.