L’Arte in scena – parte seconda
Mostra collettiva
Comunicato stampa
Quando ho intrapreso questa avventura in Baccina Techne, ovvero predisporre una
stagione espositiva che avesse un filo conduttore comune per le varie iniziative, non ho fatto altro che trasporre in una diversa dimensione quanto aveva caratterizzato nel tempo la mia collaborazione con gli artisti, ovverosia il modo di rapportarmi con l'immagine visiva che ha accompagnato la mia vita di regista come supporto e ispirazione per tutti i miei spettacoli, da sempre.
La prima esperienza a cavallo tra Teatro e Arte, fu quella che mi legò per alcuni anni con Achille Perilli, amico e maestro di vita, all'interno di una delle più belle invenzioni nella storia del teatro in Italia degli “Anni'70”: il Gruppo Altro.
Ispirato alla Bauhaus, Altro univa ed interpretava le esperienze di pittori, architetti, coreografi, musicisti, attori, poeti e altre forme artistiche in una forte attività di ricerca espressiva. Quella commistione tra Teatro e altre forme e tecniche di comunicazione visiva, ha caratterizzato da allora il mio lavoro di regista nei successivi trentanni di attività. Da sempre quello che mi attirava e coinvolgeva di un artista era la sua capacità di evocare atmosfere, rimandi, citazioni, di provocare quelle emozioni che stimolassero il mio modo di affrontare la preparazione e costruzione dell'evento scenico. Ciò che da allora ha guidato il mio lavoro è stata quindi la possibilità insita nell'opera di un artista di farmi subito pensare ad un testo da interpretare, quello sguardo, come guidato, che mi trasferiva dalla tela all'interno di uno scenario, una tridimensionalità scenografica, su cui inquadrare azioni, innestare dialoghi e,viceversa , ogni qualvolta analizzavo un testo, eccolo da me subito inserito all'interno di un contesto pittorico visivo conosciuto dove far scivolare l'ispirazione. In alcuni casi la scena è già pronta ed evidente e serve solo una leggera trasposizione tecnica, come in Di Stasio, Knap, Barni, in altri il passaggio avviene in forme e modi più sottili e misteriosi, enigmatici , maliziosi e ammiccanti come nella Montessori, Fiorentino, Donzelli, Gandolfi, Mondino, Collini e dove non sempre la figurazione è necessaria, come in Guerrini, Consolazione, De Luca, Pupillo, Bianchi. In questa ottica hanno condiviso il mio lavoro e collaborato ai miei spettacoli tra gli altri, Barni, Donzelli, Dorazio,Tadini.
Nella stagione di apertura di questa nuova galleria, il mio compito sarà proprio, allora, quello di proporre il lavoro di quegli artisti che per me meglio rappresentano ed evidenziano, all'interno della loro opera e attività, questa duplicità, questa espressività, questa alterità di fondo.
Cominciato con la Montessori, che si inserisce per le sue caratteristiche di ambivalente collocazione in entrambe le mostre successive, con due carte sempre in bilico tra la riconoscibilità e l'indefinibilità del segno, il programma continua con una collettiva di artisti suddivisa in due parti: una prima di autori di derivazione aniconica, astratta, subito seguita da una seconda di connotazione invece decisamente figurativa.
Claudio Bianchi, anch'egli presente in entrambi i momenti espositivi, nell’opera della seconda mostra “Aldilà del Monte Qaf”, inserisce enigmatiche figure tra scenari di oscura ed intima evocazione che rimandano ad una visione immaginale contenuta in un racconto* di Sohrawardi. Anche in essa sono presenti quegli elementi di adimensionalita’ ottenuti con sottili asticelle che nell’opera della prima mostra (Uomo che teme i propri cavalli) si raccordano con la ricchezza dei broccati traslucidi della pelle e materiali di riporto che evidenziano e supportano con la loro matericità la sua duplice ispirazione segnica e immaginifica. Così come pure Leoncillo che camuffa dietro velari di astratta leggerezza, forme e figure di derivazione classicheggiante.
Gli uomini incappucciati, incamminati su sentieri di sprezzante solitudine, quasi monaci salmodianti dei paesaggi di Ubaldo Bartolini, ci introducono in un mondo arcano di scenari evocativi di profonda misteriosità che ritrova le sue radici nella pittura del '600 e '700. Di contro, quasi contrappunto, Paolo Fiorentino ci trasporta su un piano alieno, un'ambientazione da Metropolis del futuro, dove però anche per lui si ritrova l'origine antica, verso cui decisamente indirizzano le sue asettiche e perfette prospettive rinascimentali.
In alcuni casi poi, la trasposizione scenica è evidente in tutta la sua chiarezza senza bisogno di artificio tecnico. Sono questi i personaggi di Stefano Di Stasio, figure moderne di simbolica derivazione, appuntate su fondali di surreale collocazione storica, già preordinate all'azione, con la parola in bocca pronta ad essere formulata.
A volte, come nelle larghe pennellate di Accatino e Guerrini, la materia e il colore hanno tale robustezza e potenza da diventare supporto ideale per la granitica forza mitica ed evocativa della tragedia. Il segno diventa pressante in Salvatore Pupillo, dove su fredde tele impermeabili di cinerea levigatezza e profondità, esplodono come spari nel buio spruzzi di colore che anelano alla vita. Per una scena giocosa tutta pause e scatti, contrariamente al materiale metallico utilizzato, sembrano costruite e indirizzate sia le linee dinamiche di Ettore Consolazione, spezzettate come uno “shangai” che aspetti di essere ricomposto, che le geometriche rispondenze segniche di Iginio De Luca, quasi pezzi di una dama predisposta per una partita tutta mentale. Vittoria del colore e del “tratto”, profuso a piene mani nel groviglio formale, quasi una foresta india di impenetrabile luminosità, nell'opera di Sergio Salvatori.
Bruno Donzelli inquadra dentro cornici, nella cornice, personaggi grotteschi mediati dall'arte del '900 (da Depero a Picasso, da Carrà a Matisse a Klee) inserendo una favola gioiosa di meta-arte in un metateatro che sfuma e si trasforma nel mistero del colore. Dalle marionette di Depero, quasi soldatini comandati di un esercito livido e pauroso, derivano pure le maschere di Concetto Pozzati. Quasi un teatro dell'assurdo dove bene si inserisce anche l'opera di Mondino che danza con i suoi ieratici dervisci o ti guarda perplesso attraverso i suoi ritratti feticcio.
Discorso a parte per Paola Gandolfi, il cui senso della scena è da ricercare nello scandaglio labirintico della mente, la cui teatralità sparge sulla tela anatomie spezzettate come pensieri allo sbando in una mappa dell'inconscio. Inconscio e invisibili profondità, ove pure sembrano muoversi e articolare i “tedofori” di Roberto Barni, simulacri totemici che vagano e si muovono tra le nebbiose velature del tempo, utilizzando simboli e segnali di una religione sconosciuta.
Quasi sempre, insomma, l'autore sottende a qualcosa d'altro dall'evidenza delle sue immagini, che è proprio la bellezza e il mistero dell'apparizione teatrale. Le invenzioni sceniche traducono a volte solo in parte le profondità del testo visivo, come in Jan Knap con le sue leggere, eteree e vagamente sfumate scene campestri, ma il cui gioioso idillio potrebbe far presagire inattese tragedie, o come in Paolo Collini, le cui metamorfosi spianano la strada ad un'interpretazione “altra” della realtà.
La consapevolezza di essere qui e altrove, di sentirsi sempre se stessi e altri, in un universo pirandelliano imperscrutabile, tutto da scoprire e decifrare. Il Teatro appunto
della vita e del mondo.
Gianfranco Evangelista