L’assedio
La mostra si ripropone come obiettivo quello di assediare ancora una volta la torre, e di lasciare che, a sua volta, la torre possa assediare i pensieri e le sensibilità individuali dei cinque artisti partecipanti.
Comunicato stampa
L’ASSEDIO
MANUEL BALDASSARE
FRANCO GALANTI
PATRIZIA POLESE
MARCO TRACANELLI
BEPPO ZUCCHERI
A cura di Matilde Cerruti Quara
TORRE SBROJAVACCA
Via Udine, 33083
Torrate di Chions (PN), Italia
OPENING
Sabato 6 settembre / Ore 18,00
6 > 21 settembre 2014
Sabato - Domenica 10.00 > 20.00
www.assedio5.wordpress.com
[email protected]
www.insospeso.it
www.manuelbaldassare.com
www.patriziapolese.com
www.beppozuccheri.com
In occasione del restauro e della riapertura al pubblico - ad uso culturale - della Torre Sbrojavacca, la mostra collettiva L’ASSEDIO si ripropone come obiettivo quello di assediare ancora una volta la torre, e di lasciare che, a sua volta, la torre possa assediare i pensieri e le sensibilità individuali dei cinque artisti partecipanti: Manuel Baldassare, Franco Galanti, Patrizia Polese, Marco Tracanelli e Beppo Zuccheri.
Tempo di assedio
Correva un anno di data incerta - come vuole ogni buona leggenda, taluni dettagli rimangono avvolti nella misteriosa nebbia del tempo che li ha ospitati - ma certo è che l’assedio di cui parliamo avvenne prima dell’anno mille.
Qui nasce la storia della torre, e qui prendono origine il cognome e lo stemma dei Conti Sbrojavacca, antichi signori di quel luogo che ad oggi ha nome Torrate.
Narra dunque la leggenda, che la vacca arrabbiata che campeggia sullo stemma della famiglia sia dovuta ad un lungo assedio del castello di cui la Torre faceva parte, vinto infine con l’inganno. Per scoraggiare gli assedianti che credevano di prenderli per fame e sfinimento, il signore del castello comandò, a dimostrazione delle sue (inesistenti) ingenti riserve, che l’ultima vacca rimasta fosse gettata dalle mura, e così ordino ad un suo milite: “Sbroja la vaca!” (“Squarta la vacca!”).
In occasione del restauro, e della riapertura al pubblico - ad uso culturale - della Torre Sbrojavacca, la mostra collettiva L’ASSEDIO si ripropone come obiettivo quello di assediare ancora una volta la torre, e di lasciare che, a sua volta, la torre possa assediare i pensieri e le sensibilità individuali dei cinque artisti partecipanti: Manuel Baldassare, Franco Galanti, Patrizia Polese, Marco Tracanelli e Beppo Zuccheri.
Del resto, anche questi sono tempi assedianti, o forse assediati dallo stesso genere umano, e molti sono i tipi di assedio a cui siamo sottoposti. Senza poi dimenticare il tormento interno di ogni intellettuale, quell’assedio incessante dell’arte a cui nessun vero artista può scampare.
Dalla percezione di un assalto mediatico e religioso, che ha ispirato i lavori presentati da Manuel Baldassare (n. 1979), all’assedio alimentare che campeggia sulle tavole imbandite da vivarie biomeccaniche-radioattive dell’artista, che attualmente vive e lavora tra Parigi e Salonicco e non esclude un assedio dell’ultimo minuto, di matrice critica socio-politica. Artista polivalente, ha esposto le sue opere sia a Miami che a New York e presentato, nel corso dell’ultima Biennale di Venezia (2013), la sua Reanimation Art, volta a scuotere un mondo dell’arte contemporanea che Baldassare percepisce caduto in coma, nel corso di una mostra anti Biennale nel Padiglione del Costarica.
È anche musicista e poeta:
Fase illusoria apparente.
Applaude monca la platea assente,
saccente.
In liberata palude
la gente s’immerge e deterge
pelli cosparse di cloro e cemento.
Assedio virulento.
Deforme avvento del Cristo omicida,
potere di razza circoncisa.
Trasfusione al cobalto,
nell’aria solventi e smalto.
Cibo radioattivo, in assedio vivo.
(Manuel Baldassare)
Più pacato, riflessivo, sembrerà invece l’assedio di Franco Galanti (n. 1961): tuttavia, è solo apparenza. I visitatori, invitati a sedersi ad una scrivania volutamente scomoda, si troveranno innanzi parole forti, fogli di grande formato fitti di autodenunce all’intera umanità, a riguardo del male con cui stiamo assediando un pianeta che va soffocando, dilaniato da catastrofi ambientali, dall’inquinamento, dallo sterminio di specie protette e ancora, da disparità economiche fatte di madri senza bambini e bambini senza futuro, come nel caso del Burkina Faso. Paese questo, caro all’artista, che alterna creatività e pragmaticità nel suo mestiere di chirurgo. Ancora, la possibilità di un foglio bianco. Di una grande tela dove profeti antichi e dittatori recenti si mescolano. Di un omaggio allo scultore Rondanini, assedio della replica di una grande opera del passato.
Delicati sono i lavori di Patrizia Polese (n. 1973), ma anche la sua è una delicatezza in maschera. L’assedio dell’artista trevigiana infatti, è la danza di un ragno, la delicatezza di una tela tessuta per nascondere una trappola, un leit motif interiore dove crudeltà e pace infinita si alternano in una trama magica, i cui fili avvolgeranno gli stessi assedianti, il pubblico che si arrischierà su sino all’ultimo piano della Torre, là di dove si vede verso l’infinito, l’orizzonte.
Eppure l’aracnide di Patrizia è presente, non molla, sorveglia severo le altre opere, chiare fotografie di volti amici, avvolte da tessuti invadenti la loro stessa cornice.
In questa folle lotta
tra il me artista e sognatrice
e il me padre cinico e miscredente
chi vincerà?
Ho paura, ma meno di prima.
Ho certezze, ma folli.
Ho solo sogni
e mani che intrecciano fili arrugginiti,
mentre la mente carica di dubbi divora il terreno tessuto.
Occhi di sangue,
stomaco di metallo,
gambe di legno,
cuore di paglia,
solo le mani vivono la certezza della mia anima che brilla,
ancora,
sempre.
Brilla senza stanchezza.
Solo lei non ha dubbi
ha solo strada
e cammina.
Non ode i lamenti e le lodi.
Non vive l'incertezza.
Sente tutto,
vive tutto,
ma senza capire
si ritrova in quella strada
e cammina,
cammina,
verso il suo ricominciare.
(Patrizia Polese)
Marco Tracanelli (n. 1956), di assedi ne ha vissuti tanti, spesso combattendoli in prima persona. Tra questi, è stato da poco fautore de la Corazzata Potëmkin, un’installazione dall’aspetto di una barchetta di carta di giornale, abbastanza grande da essere fatta navigare a vista di fronte ai Giardini della Biennale: un atto assediante, dal sapore rivoluzionario, in occasione della 55esima Biennale d’Arte di Venezia (2013). Per la rinascita della Torre, Marco scandaglia a fondo le inquietudini che attanagliano i paesaggi del nostro animo, persi in una nebulosa grigia che cade dal soffito, e che portati all’esasperazione finiscono per ridurre l’animo in macerie.
Così come sarebbe stata ridotta la Torre senza l’aiuto della narrata beffa, così come è finito, in tempi antichissimi ma più recenti del famoso assedio, il resto del castello Sbrojavacca. Non solo: simboli di innocenza atavici, un fiore, una bambina, un palloncino, assumono connotazioni impreviste, subiscono attacchi inaspettati. E così anche le installazioni esterne dell’artista sanvitese richiamano ai costumi di un tempo medievale, in cui i prigionieri divenivano scheletro assediato dalla morte, appesi fuori dall’entrata della torre. Ma le gabbie di Marco contengono un imprevisto, una speranza fluttuante che assume la forma di un palloncino rosso, forse di una bambola.
L’assedio di Beppo Zuccheri (n. 1973) è quello delle bugie ricevute, fatto di malcelate verità, apparenti certezze e rifiuti alla luce che hanno assediato lui quanto, forse, i suoi personali assedianti. È suo il piano sotterraneo, dall’illuminazione fioca: metafora forse di quel buio che divora la luce intesa non solo come purezza, vera verità, ma anche come conoscenza. Il sapere è infatti l’unico riscatto, per l’artista, dal tormento esistenziale che lo divora, dall’incedere di quel tempo cronologico che Beppo, nato dalle acque del Fiume Tagliamento, non sente come suo. L’assedio di Beppo Zuccheri si schiera con Aion, tifa per il suo trionfo sulla persistente insistenza di Kronos. Un salotto del tempo, o forse delle bugie.
Un’ alcova dove i fantasmi si ritrovano e si mostrano, aggrappandosi ai muri antichi, alle forme in divenire e alla materia manipolabile, per divenire antimateria.
Testo a cura di Matilde Cerruti Quara