Laura Bisotti – Riscrivere
Laura Bisotti ha dedicato la propria ricerca artistica alle “isole che non ci sono”, se così si può dire: terre realmente esistenti ma ignorate dai più e perfino da Google Earth.
Comunicato stampa
Tedofra Art Gallery di Bologna inaugura venerdì 6 marzo 2015 alle ore 18.30 la mostra personale di Laura Bisotti dal titolo: Riscrivere, a cura di Michele Tavola. La mostra proseguira’ fino al 18 aprile 2015.
Laura Bisotti ha dedicato la propria ricerca artistica alle “isole che non ci sono”, se così si può dire: terre realmente esistenti ma ignorate dai più e perfino da Google Earth.
“…esistono lembi di terra che neppure questa sorta di grande fratello spaziale si degna di osservare. Piccole porzioni di terraferma completamente circondate dalla massa d’acqua sterminata e continua che costituisce gli oceani. Isole minuscole, di dimensioni così ridotte e talmente lontane dalla patria di appartenenza da non trovare spazio nelle carte geografiche nazionali. Spesso sono politicamente ed economicamente insignificanti o così inospitali da risultare inabitabili. Dimenticate da (quasi) tutti gli uomini perché lì si trova “un bel niente”. È come se non esistessero e proprio la loro estrema marginalità le rende luoghi dell’anima, oasi di pura poesia, propellente per l’immaginazione.…”
La mostra prende vita da un progetto il cui Big Bang, come lo definisce Michele Tavola nel suo saggio, è stato un libro di incredibile fascino: L’Atlante delle isole remote di Judith Schalansky edito da Bompiani.
Il catalogo della mostra e il libro Atlante delle isole remote di Judith Schalansky saranno disponibili in galleria durante l’inaugurazione e per tutto il periodo dell’esposizione.
Laura Bisotti è nata a Piacenza, Italia, nel 1985. Vive e lavora a Bologna.
Frequenta l’Accademia di Belle Arti di Bologna dove, nel 2010, consegue il Diploma di Secondo Livello in Arti Visive. Terminati gli studi, ottiene alcune borse di ricerca e finanziamenti da enti pubblici e privati che le consentono di vivere esperienze di residenze artistiche sia in Italia, sia all’estero (Fundación BilbaoArte – ES, Slade School of Fine Arts – Londra, UK, Accademia Reale di Spagna – Roma). Negli stessi anni partecipa a esposizioni collettive in Italia e Spagna e, nel 2010, tiene la sua prima mostra personale a Bilbao, ES, curata da Roberto Daolio. Nel 2013 inizia una collaborazione con la galleria Zak Project Space di Siena che la presenta ad Arte Fiera Bologna 2014. Oggi continua a lavorare unendo l’attività di ricerca e formazione alla collaborazione con nuove gallerie tra cui Tedofora Art Gallery di Bologna e Marignana Arte di Venezia.
Le isole remote di Laura Bisotti
seguendo le infinite rotte di chi viaggia entro i confini di un foglio
di Michele Tavola
Niente è più liberatorio della solitudine che ci siamo scelti da soli
Alfred van Cleef
Un presidente della repubblica indiana, il governo della Corea del Sud e i servizi segreti israeliani hanno avuto modo di lamentarsi a più riprese dello sguardo invadente dell’occhio satellitare di Google Earth, che secondo alcuni mostra zone del pianeta che, per la sicurezza di tutti, sarebbe meglio non far vedere pubblicamente. Eppure esistono lembi di terra che neppure questa sorta di grande fratello spaziale si degna di osservare. Piccole porzioni di terraferma completamente circondate dalla massa d’acqua sterminata e continua che costituisce gli oceani. Isole minuscole, di dimensioni così ridotte e talmente lontane dalla patria di appartenenza da non trovare spazio nelle carte geografiche nazionali. Spesso sono politicamente ed economicamente insignificanti o così inospitali da risultare inabitabili. Dimenticate da (quasi) tutti gli uomini perché lì si trova “un bel niente”. È come se non esistessero e proprio la loro estrema marginalità le rende luoghi dell’anima, oasi di pura poesia, propellente per l’immaginazione.
Laura Bisotti ha dedicato la propria ricerca artistica alle “isole che non ci sono”, se così si può dire: terre realmente esistenti ma ignorate dai più. Con una simile premessa mi auguro di non avere suscitato aspettative destinate a cocenti delusioni. Mi scuso con tutti coloro che, a questo punto, immaginano di incontrare paesaggi che ritraggono lontani e sconosciuti paradisi terrestri o scorci esotici e romantici: niente di più diverso da ciò che stiamo andando a svelare. Per evitare ulteriori eventuali fraintendimenti è opportuno ripercorrere, passo per passo, l’iter creativo della Bisotti, cominciando da un libro di incredibile fascino che è stato il Big Bang di questo progetto.
L’artista piacentina, ormai bolognese d’adozione, si è cimentata con un lavoro di riscrittura per immagini di un testo che l’ha portata a intraprendere un improbabile giro del mondo. Per comprendere il senso del suo tragitto espressivo è indispensabile partire dalla fonte con la quale si è confrontata. L’Atlante delle isole remote non è un libro di geografia, non è un saggio scientifico, non è un romanzo. È senza dubbio un’opera letteraria, ma dalla natura parecchio bizzarra: temo che non esistano etichette o formule per definirla in maniera chiara e sintetica. Tanto che l’autrice Judith Schalansky ha sentito il bisogno di far precedere il libro vero e proprio da una lunga introduzione in cui spiega cosa ha fatto e perché. Tedesca nata nella Germania dell’Est, per sua stessa ammissione non ama particolarmente viaggiare e sicuramente non ha la vocazione dell’esploratore, come molti di coloro che amano far scorrere le dita e la fantasia lungo le superfici delle mappe o che acquistano compulsivamente carte geografiche senza una reale necessità: “Sono cresciuta con l’atlante. E naturalmente, da figlia dell’atlante, non andavo mai all’estero. Che una bambina della mia classe fosse nata davvero a Helsinki, come c’era scritto sul suo documento d’identità, aveva per me dell’incredibile. [...] e ancora oggi mi capita di trattare con mal celato stupore i tedeschi che, per esempio, sono nati a Nairobi o a Los Angeles [...]. Naturalmente so che Nairobi e Los Angeles esistono davvero. Queste città infatti sono segnate sulle carte. Ma che qualcuno possa esserci stato realmente, o che addirittura ci sia nato, per me è inconcepibile, oggi come allora. Probabilmente amavo tanto gli atlanti perché le loro linee, i colori e i nomi rimpiazzavano i posti reali dove, in ogni caso, non potevo andare. E rimase così anche quando tutto cambiò e fu possibile viaggiare per il mondo e il mio paese natale sparì dalle carte insieme ai suoi confini, tracciati e sentiti. Mi ero già abituata a viaggiare con le dita sull’atlante, a conquistare mondi lontani nel soggiorno dei miei genitori”. Del resto il sottotitolo del suo libro è eloquente: Cinquanta isole dove non sono mai stata e mai andrò, frase che possiamo serenamente sottoscrivere anche Laura Bisotti e io.
Chiarito e spiegato il fascino irresistibile del viaggio mentale al quale ci invita una proiezione cartografica, fatta di linee e segni dietro i quali si celano luoghi e storie reali, siamo pronti a sfogliare l’Atlante delle isole remote di Judith Schalansky. A ogni isola sono dedicate due pagine. Quella di sinistra offre una breve narrazione, mai di ordine enciclopedico e sempre evocativa: un episodio, un’immagine, un frammento di storia che suggeriscono lo spirito del posto presentato. Nella pagina di destra è pubblicata la carta dell’isola che si staglia al centro del foglio, circondata da una superficie azzurra omogenea, nella quale l’occhio si tuffa come in un mare vero. Il piacere fisico che si prova sfogliando il libro e il viaggio ideale che ci si trova a compiere leggendolo sono stati il motore per la singolare operazione di riscrittura visiva compiuta dalla Bisotti, che ha riprodotto e reinterpretato due volte ciascuna isola, dando vita a due serie complementari di opere.
La prima è composta da telai di legno, su ciascuno dei quali sono state montate leggere e raffinate carte giapponesi, una per lato, colorate con una campitura di inchiostro blu e successivamente lavorate con olio, acquarello china e collage. Le scritte e i disegni che vergano le carte ripercuotono le forme delle mappe delle singole isole ma, rispetto alle pagine del libro, assumono nuova ariosità e nuova leggerezza conferite dal delicato intervento dell’artista, oltre che dalla peculiarità materica del supporto. I telai sono installati a parete in maniera tale che si possano sfogliare come un libro e si possano leggere recto e verso, come le pagine di un volume. La seconda presenta “ritratti” di ogni isola dal fare sciolto e pittorico, stesi all’acquarello su fogli di più piccolo formato e dalla tonalità calda: in questo secondo ciclo l’artista sembra voler uscire dall’astrazione cartografica per indagare le forme plastiche delle terre rappresentate. Nelle scelte stilistiche della Bisotti tutto, anche i dettagli che possono sembrare minimali, è calibrato con scrupolosità maniacale. Nulla è lasciato al caso. La scelta di ogni singolo materiale utilizzato è frutto di uno studio finalizzato a ottenere effetti estetici precisi. E ogni segno, ogni macchia di pigmento lasciata sulla carta sono parte integrante di un processo compositivo meticolosamente curato passaggio per passaggio.
Le opere di Laura Bisotti rievocano le sensazioni e le emozioni dell’Atlante della Schalansky e ne condensano le storie. Lo spettatore, di fronte a questi fogli, pur senza avere letto il libro, viene trasportato in luoghi e tempi remoti. E così, anche per chi si allontana malvolentieri da casa e non ama prendere aerei e navi, il viaggio comincia. Verso la mitica Terra Australis, lo sconosciuto continente che si sarebbe dovuto trovare ancora più a sud dell’Australia e della Nuova Zelanda, fertile e ricco di risorse con il solo difetto di non esistere: siamo a bordo della Resolution insieme al capitano James Cook che per primo avvistò la Thule meridionale: tetra, fredda e disabitata, ricoperta di nevi e ghiacci che non si sciolgono mai. Oppure, alla volta di climi e paesaggi fortunatamente molto diversi, possiamo partire insieme a Charles Darwin, che con la Beagle approdò nelle paradisiache Isole Keeling, alla scoperta di nuove specie animali e vegetali. A Trindade, un fazzoletto di terra a circa millecinquecento chilometri dalla costa brasiliana che la Schalansky definisce “un disastro topografico”, il fotografo Almiro Barauna il 6 gennaio 1958 immortalò alcuni misteriosi e inquietanti oggetti volanti non identificati. A Pitcairn gli ammutinati del Bounty si uccisero a vicenda nel giro di pochi anni e scenari tristi si profilano anche a Santa Kilda, “nel cui cimitero giace il futuro dell’isola” e dove i neonati non superano il nono giorno di vita. Va molto meglio sui tre chilometri quadrati di Pakapuka, nel mezzo dell’Oceano Pacifico, dove le donne girano nude e a nessuno importa se una ragazza sia ancora vergine quando si sposa. È ancora più piccola la protuberanza di sabbia al largo del Madagascar che prende il nome dal capitano Chevalier de Tromelin, al quale va il merito di avere tratto in salvo gli schiavi di colore abbandonati quindici anni prima su quella striscia di sabbia grande meno di un chilometro quadrato. Doveva essere minuscolo e splendido anche l’atollo di Fangataufa, prima di diventare insieme a Mururoa un campo di prova per le bombe atomiche francesi. E ogni anno infuria la guerra sull’Isola di Natale, dove nel mese di novembre centoventi milioni di granchi rossi escono dalle loro tane e per raggiungere il mare devono combattere contro lo sterminato esercito delle formiche gialle pazze, il cui morso, nel giro di tre giorni, si rivela mortale.
L’isola, specie se piccola e abbandonata, è lo scenario ideale per storie e drammi, ma non c’è bisogno di andarci di persona per sublimarla in opera d’arte. Un racconto e un rilievo cartografico possono bastare per mettere in moto l’atto creativo. Judith Schalansky conclude le sue riflessioni affermando che “la cartografia dovrebbe essere annoverata finalmente tra i generi poetici e l’atlante tra la bella letteratura”. Di fronte al lavoro di Laura Bisotti viene spontaneo parafrasare la scrittrice tedesca dicendo che la cartografia merita un posto tra le belle arti.