Laurie Rubin – What Remains
Nove scatti: nove pezzi. Il Museo del Louvre di Roma offre uno sguardo sul lavoro di Laurie Rubin che con le sue immagini traccia un percorso nella storia americana. Un progetto, What remains, che ci riporta indietro nel tempo, riaprendo casi e cassetti che sembravano chiusi, risolti o maledettamente archiviati.
Comunicato stampa
A cura di Fabbe (Ass. Cult. Surya/Panasuez, Roma)
Inaugurazione 23 maggio ore 19.00 fino al 12 giugno dal lunedì al sabato dalle ore 11,00 alle ore 13.00 e dalle 15.00 alle 19.00. Il museo del louvre. Via della Reginella 28 Roma [email protected] www.ilmuseodellouvre.com
Nove scatti: nove pezzi. Il Museo del Louvre di Roma offre uno sguardo sul lavoro di Laurie Rubin che con le sue immagini traccia un percorso nella storia americana. Un progetto, What remains, che ci riporta indietro nel tempo, riaprendo casi e cassetti che sembravano chiusi, risolti o maledettamente archiviati. Un'archeologia fotografica realizzata meticolosamente attraverso la raccolta di oggetti superstiti, che una volta recuperati e sottratti all'oblio vengono chiamati ad essere testimoni del '900. Così dovrebbe essere anche il museo di cui parla Orhan Pamuk nel suo manifesto: un luogo dove invece di raccontare la Storia della nazione si parte dalle storie individuali e dai particolari. Il lavoro presentato al Museo del Louvre presenta alcuni "paragrafi" di questo percorso: nuove possibili versioni dei fatti. In questa operazione gli oggetti scelti trascendono il loro ruolo originario per assumere lo status di artefatti: cocci di bottiglia, una fotocamera, un cappello, un teschio, una molotov, ecc. Si parte dai resti, dai relitti che nello sguardo della Rubin diventano simboli visuali che sintetizzano un'epoca, una persona, un evento. Pezzi di cronoca nera, storie di solitudine, scheletri in forma di immagine che ci raccontano dei proprietari e dei loro drammi. Reperti che una volta estratti dal particolare diventano simboli sociali (vedi le prove di reato contro i Chicago 7). Laurie Rubin sceglie i suoi oggetti visceralmente invocando quel gioco ideale tra bellezza e memoria in cui gli oggetti sono belli perché ricordano qualcosa di familiare. Un filo sottile lega gli oggetti e ci riporta alla semplicità che la vita può o dovrebbe avere (vedi l'immagine della Rolleiflex con cui Vivian Maier realizzò 100.000 negativi rimasti al buio per anni). La stessa Rubin racconta che nei suoi viaggi le piace cercare piccoli musei domestici e collezioni personali. Ephemera a metà strada tra il personale e il collettivo, tra l'intimo e l'universale. Gli oggetti personali ci offrono sempre uno sguardo sulle passioni dei proprietari. Qui si avverte ancora la durezza dei colpi, degli schianti, delle botte. Grazie alla magistrale restituzione fornita dalla Rubin i corpi del reato sono ancora lì davanti ai nostri occhi. E che tutto questo disastro sia trasformato in qualcosa di così bello e vivido non guasta affatto. In questo museo di oggetti irripetibili, consunti e usurati tutto è reperto e souvenir. Un Ready Made al passato remoto dove si fa riconoscimento e autopsia di oggetti uccisi, naufragati, scomparsi (vedi i resti della aereo di Amelia Earhart: carlinga e cocci di bottiglia).E quale miglior resto del proprio teschio donato al teatro affinché interpreti per sempre il ruolo di Yorick? Chiamatelo feticismo, chiamatelo attaccamento ai simulacri, ma "è proprio qui l'ostacolo; perché in quel sonno di morte, tutti i sogni che possan sopraggiungere quando noi ci saremo liberati del tumulto, dal viluppo questa vita mortale, dovranno indurci a riflettere"
Fabrizio Gaggini