Le figlie di Eva
Un percorso espositivo tutto al femminile che vede protagoniste sei giovani artiste italiane. Un progetto che non intende, però, rinverdire un post-femminismo d’annata, bensì evidenziare la validità della pratica creativa caratterizzata da una sensorialità riconducibile alla forma, dalle variabili aperte nel linguaggio e dalla forza espressiva nell’impiego del medium.
Comunicato stampa
"La luna appariva ogni tanto da dietro una cortina spessa di nuvole scure… Si trattava di non svegliare nessuno: il silenzio era così assoluto che anche un sussurro sarebbe sembrato un grido. E d’altro canto non c’era nulla da dire. Venivamo entrambi da mondi pieni di parole che non ci avevano salvato dal dolore e dalla paura e in quell’amore muto e soffocato cercavamo una conferma alla promessa, nata col mondo, che l’amore non finisce, che la morte non è l’ultima parola."
Mariapaia Veladiano, Il tempo è un dio breve
Comunicato stampa
Venerdì 18 gennaio 2013 FaMa Gallery inaugura la mostra a cura di Andrea Bruciati, LE FIGLIE DI EVA. Un percorso espositivo tutto al femminile che vede protagoniste sei giovani artiste italiane - Paola Angelini, Elenia Depedro, Sara Enrico, Mariangela Levita, Silvia Mariotti, Giusy Pirrotta - scandito da pratiche artistiche eterogenee, pittura, performance, fotografia, video, installazione. Un progetto che non intende, però, rinverdire un post-femminismo d’annata, bensì evidenziare la validità della pratica creativa caratterizzata da una sensorialità riconducibile alla forma, dalle variabili aperte nel linguaggio e dalla forza espressiva nell’impiego del medium.
Nel contesto odierno in cui anche le parole sono immagini e si è arrivati al punto di non ritorno per postulare un nuovo e differente alfabeto, scevro da compromessi emotivi, il progetto LE FIGLIE DI EVA pone in risalto e, allo stesso tempo, problematizza, alcune pratiche mediali quali il video, la pittura e la pratica performativa, secondo soluzioni immaginative inedite proposte dalle artiste coinvolte.
Come sottolinea il curatore Andrea Bruciati "alle artiste invitate non interessa catturare la realtà ma crearla secondo nuove ipotesi ricostruttive. Non interessa rappresentare ma ‘presentare’ un linguaggio attraverso modalità mimetiche che aderiscano all’infinita ricerca d’identità che connota la forza delle singole poetiche. In fondo, come amava ripetere Louise Bourgeois,‘il fare è uno stato attivo', è un’affermazione positiva, dove si procede verso uno scopo, una speranza o un desiderio. Per tutte si tratta di riscoprire una diversa sintassi che consenta di dare voce ai particolari e corpo al racconto, inteso quale relazione, attenzione, esistenza. Ogni opera è un esercizio di sensibilità e non è intesa quale indizio di perdita ma come area di possibilità per costruire febbrilmente una dimensione alternativa. In fondo lo spazio non esiste ed è sempre una metafora della struttura della nostra esistenza. Qualsiasi soluzione ipotizzata dalle artiste, conduce sempre a un racconto mediato dall’esperienza personale, lieve e feroce che sia, apparentemente fragile ma non per questo inevitabilmente crudele e autentico".
Così, l'approccio di Paola Angelini (San Benedetto del Tronto, 1983), in cui l'utilizzo del mezzo pittorico permette di rendere materia quelle esperienze intime che sono il punto di partenza del suo lavoro. Muovendo dall'osservazione delle immagini fotografiche, l'artista ne mette in discussione l'illusoria capacità a esse attribuita di rappresentare gli oggetti, per riappropriarsi, invece, della realtà, grazie a un processo di sottrazione teso a coglierne, attraverso la pittura e il disegno, la vera essenza.
Anche la ricerca di Sara Enrico (Torino, 1979) muove dalla pittura e, in particolare, dalla tela e dai colori a olio - vocabolario di base di questa pratica - per sperimentare nuove letture della realtà che la circonda. Le sue tele, dipinte, rivestite, tagliate, ma che si fanno anche scultura, testimoniano di una pratica artistica che procede per intuizioni e che, lungi dal voler rappresentare il reale, è, invece, tesa a una ricerca estetica in continua evoluzione.
Seppur in modo differente anche il lavoro di Elenia Depedro (Breno, 1976) si struttura intorno a una radicale ridefinizione della realtà. La sua pratica artistica - incentrata sulla performance ma che spazia tra vari linguaggi, dalla pittura, alla fotografia e al video - risponde, infatti, all'esigenza di dare forma e rendere reale il lato invisibile del mondo. L'atto performativo, nella sua immaterialità, unicità e irripetibilità, corrisponde per Depedro all'autentico gesto artistico capace di creare uno scambio di idee ed energie con il pubblico.
Le fotografie di Silvia Mariotti (Fano, 1980) ritraggono una realtà spesso nuda e desolata. Paesaggi avvolti nella nebbia e ruderi attraversati dal silenzio - che sembrano non serbare traccia di una presenza umana, ma che nascondono storie e avvenimenti a noi sconosciuti - uomini e donne bloccati in una fissità quasi innaturale, apparentemente estranei al contesto che li circonda. Il lavoro di Mariotti sembra voler svelare una sorta di inganno, raccontando, attraverso le immagini, la realtà così come essa è e mettendo lo spettatore di fronte alla verità di un mondo precario e artificiale che sembra appartenere a verità lontane.
In maniera per certi versi analoga Giusy Pirrotta (Reggio Calabria, 1982) parte per la realizzazione dei propri lavori video dallo studio dei codici di rappresentazione e dalla manipolazione delle immagini per indagarne la natura effimera. Nei suoi lavori, la struttura delle immagini in movimento viene studiata e costruita in relazione allo spazio espositivo, dando vita a film e video - sovente realizzati con installazioni multi canale - che mirano a scardinare l'assolutezza di ciò che è rappresentato attraverso l’analisi degli elementi che compongono le immagini stesse, come la luce e il linguaggio filmico.
Il lavoro di Mariangela Levita (Aversa, 1972), infine, nota per le importanti opere pubbliche realizzate sia all'estero sia in Italia - tra cui i wall-paintings per il Padiglione Palermo dell'Ospedale Cardarelli e l'installazione per il Ponte Don Bosco, entrambi a Napoli - pone al centro della propria ricerca la pittura, procedendo a una ridefinizione del ruolo che essa riveste nella società contemporanea, attraverso una radicale messa in discussione della pittura stessa e dei suoi codici linguistici. Partendo da un dialogo serrato con la tradizione, che ritorna in maniera più o meno esplicita nella maggior parte dei lavori, l'artista dà forma a un affascinante quanto complesso universo compositivo, fatto di colore e pattern geometrici.