Le Ragioni dello Spazio #2
La mostra accoglie circa quaranta lavori, che affrontano in modo diretto e indiretto il tema centrale della mostra: quello dello “spazio”. Uno spazio vissuto come un elemento vivo, attivo e vibrante, verso il quale gli artisti invitati in mostra hanno sviluppato diverse strategie di risposta creativa a quella che il critico d’arte Angerame ha chiamato “le ragioni dello spazio”.
Comunicato stampa
La Galleria Civica di Andora “Palazzo Tagliaferro”, diretta da Nicola Davide Angerame, inaugura sabato 8 giugno 2013 alle ore 18 (e fino alla 21), la mostra dal titolo “Le ragioni dello spazio #2” che propone le opere di Maura Biava, Jean-Marie Haessle, Filippo Manzini. Georges Rousse e Vano Alto.
La mostra accoglie circa quaranta lavori, che affrontano in modo diretto e indiretto il tema centrale della mostra: quello dello “spazio”. Uno spazio vissuto come un elemento vivo, attivo e vibrante, verso il quale gli artisti invitati in mostra hanno sviluppato diverse strategie di risposta creativa a quella che il critico d’arte Angerame ha chiamato “le ragioni dello spazio”.
Il titolo di questa mostra proviene da una mostra precedente, una personale di Filippo Manzini curata da Nicola D. Angerame presso lo spazio non profit “C2” di Firenze. “Le ragioni dello spazio” sono quelle “ragioni” che l’artista e il curatore avevano individuato come momento di incontro tra il “fare” e il “percepire”: l’artista, dal canto suo, è solito captare questa impercettibili forze spaziali grazie a un lavoro “site specific”, che prevede la creazione dell’opera a partire da un dialogo con lo spazio, seguendo le logiche di un incontro tra le ragioni interiori della sensibilità creativa e le “ragioni” esteriori offerte dallo spazio, ogni volta diverso. Un dialogo che si riverbera anche sulla scelta dei materiali da costruzione delle opere.
Il curatore, dal canto suo, trovava interessante come queste forze del “cubo bianco”, della sala espositiva e del luogo de-antropomorfizzato (ovvero privato della sua funzione originaria e traghettato verso lo spazio vuoto e neutrale tipico della finalità espositiva) potessero farsi chiare grazie al processo artistico creativo. Il risultato di quella mostra dava adito ad una volontà di ricognizione che ad Andora si
“La mostra Le ragioni dello spazio – spiega il curatore e critico d’arte Nicola Davide Angerame – accoglie inedite installazioni site specific, opere scultoree, fotografie, video e dipinti di artisti italiani e internazionali la cui ricerca è segnata da una sensibilità nei confronti dello spazio, sia esso quello del museo, della tela o dell’ambiente naturale. Questi artisti declinano, in modi e forme differenti, il loro rapporto con questo tema. Siamo abituati a pensare lo spazio come un “vuoto” dentro il quale l’attività umana crea luoghi di vivibilità, occupando il vuoto con una pienezza di oggetti, di simboli e di corpi in attività. Lo spazio è per questi artisti, invece, più spesso un silenzio “già sempre” pieno di suoni, una oscurità popolata da fievoli luci. La mostra riflette su come l’arte possa farsi ricettiva rispetto a queste vibrazioni che lo spazio è in grado di dare, e su come si possano tradurre in opere (oggetti, visioni, pittura) tali sensazioni”.
LE RAGIONI DELLO SPAZIO #2
Maura Biava | Jean-Marie Haessle | Filippo Manzini |Georges Rousse | Vano Alto
Maura Biava
Il lavoro di Maura Biava (Reggio Emilia, 1970, vive e lavora ad Amsterdam) sonda aspetti mitologici e scientifici relativi al mondo sottomarino. I suoi video e le sue fotografie ritraggono personaggi mitologici immersi in spazi naturali inconsueti. Uno dei suoi riferimenti principali è la mitologia come forma di legame tra la divinità e la natura, declinato nelle figure di dee e ninfe legate alle acque o ai differenti luoghi naturali. Grazie a ciò, le opere di Biava presentano un forte legame con lo spazio inteso come spazio vitale, luogo della stratificazione culturale di una storia che si perde nell’origine dei tempi.
In questa mostra, l’artista presenta una serie di sculture recenti e un video inedito per l’Italia, nei quali la percezione dello spazio avviene tramite un gioco di forme e di sculture che usano la matematica e la geometria euclidea elementare per tradurre i contenuti di un’antichità mitologica che ritroviamo nella nostra cultura e che Biava legge a partire da una forte connotazione spaziale. Le profondità marine, caratterizzate da un colore blu intenso e avvolgente, sono usate dall’artista come “lavagna” su cui disegnare con il latte, in un video di grande forza evocativa.
Nelle sculture, Biava ha decostruito alcune colonne di tempi antichi viste a Roma durante la sua residenza presso l’Accademia Americana nel 2011. Queste colonne sostengono sculture ceramiche che traducono in forme astratte alcune formule semplici dei matematici dei secoli passati. “Il lavoro mi ha portato a trovare formule e forme che sembrano quelle delle creature iniziali apparse nell’immenso spazio spopolato della Terra primigenia”, sostiene l’artista.
Maura Biava si è laureata all’Accademia di Brera, Milano. Ha poi seguito un Master alla Rijksakademie di Amsterdam, in Olanda. Vive a lavora tra Milan e Amsterdam. Dal 2005 insegna alla Koninkijke Academie van Beeldende Kunsten, Den Haag, Olanda.
Filippo Manzini
Manzini presenta una sensibilità unica per quelle che sono le identità degli spazi espositivi, da lui considerati non come “luoghi” antropomorfizzati ma come vuoti vibranti e pieni di invisibili forze astratte. L’artista entra in risonanza con loro e progetta forme che sono in dialogo con l’identità più profonda dello spazio, esaltando e scoprendo le “bellezze” nascoste di queste identità astratte che sono gli spazi di gallerie e musei.
L’arte di Filippo Manzini si presenta come una interessante versione “calda” del minimalismo di tradizione americana. Il suo è un “minimalismo lirico” (come lo definisce il critico Angerame) in cui le forme essenziali e primarie si concretizzano dentro materiali poveri ma nobili, per consistenza e per forza estetica. Per Palazzo Tagliaferro, l’artista toscano creerà lavori “site specific” che dialogheranno con l’identità spaziale del palazzo e ne tradurranno l’identità fisica in opere capaci di svelare parte di quelle forse invisibili che lo attraversano.
Filippo Manzini è nato a Firenze, nel 1975, Attualmente vive e lavora tra Firenze e Los Angeles. Il suo lavoro è stato esposto in Italia da diversi spazi pubblici e molte gallerie private. Collabora con ADC Contemporary Art Gallery di Los Angeles.
Jean-Marie Haessle
La pittura di Jean-Marie Haessle (nato in Francia, vive e lavora a New York) si fonda su una intensa percezione dello spazio della tela come campo di forze. La sua pittura luminosa e vibrante è composta di migliaia di pennellate che si intrecciano e sovrappongono fino a saturare lo spazio della tela aprendo una tridimensionalità data dalla stratificazione dei colori ad olio utilizzati. Haessle è un pittore che appartiene a quella generazione di artisti formatisi negli anni settanta a New York, con studio nel quartiere di SoHo, dove come artista ha partecipato alla trasformazione del quartiere negli anni Ottanta, che sarà poi il modello di tutti i successivi “recuperi” dei quartieri newyorkesi avvenuti da parte degli artisti (Lower East Side, Williamsburg e ora Dumbo e Bushwick). Questo dialogo con lo spazio abbandonato della città (poi diventato quartiere della moda come SoHo appunto) si ritrova dentro i quadri di Haessle sotto forma di “melting pot” multicolore.
Le opere di Haessle sembrano fondere due tradizioni enormi della pittura: l’impressionismo francese, con la sua sensibilità per il colorismo atmosferico e l’espressionismo astratto americano, con la sua poetica del gesto e della pennellata incisiva, spesso violenta. Haessle trasforma così la tela in uno spazio agitato, dentro il quale siamo chiamati a sentire impressioni, sensazioni e quelle “ragioni” che lo spazio della tela porta con sé e l’artista traduce in questo caso in un campo di forze “scritto” attraverso l’uso del colore steso direttamente dal tubo che lo contiene.
Jean-Marie Haessle ha esposto in decine di musei e gallerie d’arte negli Stati Uniti e in Europa, partecipato a decine di fiere d’arte internazionali e vanta recensioni sulle riviste d’arte internazionali più importanti.
Georges Rousse
Georges Rousse è uno die grandi maestri dell’arte Francese degli ultimi decenni. Maturata a New York durante gli anni Ottanta, la sua fotografia sorge come riflessione sulla allora diffusa pratica della “graffiti art”, che occupava i muri e gli spazi abbandonati della Grande Mela. La fotografia di Rousse si è poi evoluta fino a divenire una forma d’arte complessa che connette in modo originale la pittura, l’architettura e la fotografia. Il tutto pervaso da una sensibilità spaziale che lo lega ai grandi maestri rinascimentali della prospettiva. Come scrive Nicola D. Angerame nel catalogo della grande mostra personale di Torino 2006, presso lo Spazio Ersel: “L’opera di Georges Rousse trova nell’astrazione geometrica il linguaggio adatto ad esprimere i propri sentimenti spaziali. (…) L’arte scenica di Rousse si esprime al suo apice nell’uso della prospettiva, che trasforma uno spazio piano in profondità, e l’anamorfosi, un enigma che si scioglie se osservato dal giusto punto di vista, dove si recuperano il senso e la coerenza che parevano disperse nel caos più desolante. Rousse raccoglie le disjecta membra del corpo pittorico-architettonico creato nell’immagine rassicurante di una forma illusoriamente piana. Noi vediamo soltanto ciò che sembra, ma come stanno davvero le cose? Spostando la macchina fotografica di un passo l’immagine che ne risulta è una caotica esplosione di frammenti colorati disposti a caso nello spazio. Impossibile leggerne un ordine coerente.
Il potere culturale dell’anamorfosi consiste in questo suo essere diventata una metafora del nostro stare al mondo e affrontare la vita. Il senso dell’universo e del nostro essere ci sfuggono: il caotico ammasso di materia ed il fluire ininterrotto di esperienze non hanno trovato un punto di raccolta sufficiente a dispiegarli completamente. Queste anamorfosi ci tormentano, ci rendono cinici o fatalisti, ma la nostra natura razionale si ostina a supporre che deveesistere un ordine definitivo, una spiegazione della totalità. L’arte di Rousse è nel suo complesso il simbolo di questa nostra ricerca ostinata quanto “disperata”. L’armonia mundi supposta da Democrito e da Leibniz, sarebbe per il filosofo tedesco Immanuel Kant soltanto una “idea costitutiva” del nostro intelletto, una sorta di illusione razionale che proietta davanti a noi un Senso ultimo che potrebbe anche non esistere. Queste discipline magiche dell’anamorfosi e della prospettiva nascono agli albori del Rinascimento come frutto di una scienza capace di regolare il mondo secondo i nuovi criteri oggettivi e razionali della mente umana. Lo storico dell’arte Erwin Panofsky ha definito la prospettiva come “forma simbolica” della nostra civiltà, come schema ordinatorio del nostro modo di vedere e quindi di conoscere il mondo: un’ipotesi confermata da Marshall McLuhan secondo cui le evoluzioni tecniche, anche nel campo dell’arte, trasformano il nostro approccio cognitivo alla realtà influendo sull’idea che di essa ne abbiamo. Le prime anamorfosi della storia, contenute nel “Codice Atlantico” di Leonardo Da Vinci, o le prospettive monumentali di Piero della Francesca segnano l’ingresso della geometria come nuovo fondamento del mondo dell’arte, di cui viene celebrata l’alleanza con la scienza durante tutto il Rinascimento. Oggi, dopo secoli di evoluzioni, di trattati e di studi sull’ottica applicata all’arte, Rousse compie un ulteriore passo avanti dentro il territorio di una malia metamorfica, un jeu savant costruito per l’obiettivo fotografico, verso il quale tutto converge in un lavorio millimetrico di proporzioni, di luci e di colori”
Opere di Georges Rousse sono presenti in decine di importanti musei e collezioni internazionali, tra cui Centre Goerges Pompidou, Musée du Louvre, Guggenheim Museum di New York, De Menil Collection, UBS Collection e Museo Pecci di Prato.
Vano Alto
Vano Alto è un progetto nato dalla collaborazione di Vittorio Cavallini e Paola Mariani rivolto alla creazione di nuovi oggetti e alla interpretazione dello spazio o del contesto che lo ospita. Attraverso riattivazioni, minimi spostamenti e poetiche rivelazioni, Vano Alto produce collezioni di oggetti a tiratura limitata, oggetti unici, installazioni. Il progetto ha recentemente esposto al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano in occasione di “Most” a cura di Tom Dixon.