Leggere l’arte – Marina Abramovic
Dedicata a una delle maggiori artiste viventi a livello internazionale, Marina Abramović, la serata è condotta da due personalità d’eccellenza della critica e del mercato dell’arte contemporanea: Lia Rumma, storica gallerista del panorama italiano nonché amica e rappresentante di Marina Abramovic, e Francesca Pini, brillante giornalista culturale del Corriere della Sera e del settimanale Sette.
Comunicato stampa
Ultimo appuntamento al Museo d'Arte Contemporanea di Lissone per la rassegna "Leggere l'arte: biografie d'artista" organizzata da Johan & Levi Editore in collaborazione con il Museo. Dedicata a una delle maggiori artiste viventi a livello internazionale, Marina Abramović, la serata è condotta da due personalità d'eccellenza della critica e del mercato dell'arte contemporanea: Lia Rumma, storica gallerista del panorama italiano nonché amica e rappresentante di Marina Abramovic, e Francesca Pini, brillante giornalista culturale del Corriere della Sera e del settimanale Sette. Spunto per la serata la biografia di James Westcott "Quando Marina Abramović morirà". L'iniziativa si avvale del patrocinio dell'Assessorato alla Cultura del Comune di Lissone e della Provincia di Monza e della Brianza.
Giovedì 24 novembre ore 21:00
Museo d'arte contemporanea
Viale Padania 6, Lissone - MB
Tel. 039 2145174 - 039 7397368
Un racconto intenso che porta alla luce le emozioni profonde di una donna, Marina Abramović, autoproclamatasi “nonna dell’arte performativa”, che ha trasformato il proprio corpo in medium artistico. Dall’infanzia e giovinezza nella Jugoslavia di Tito, dove Marina, allevata dalla nonna e in balia di un ambiente familiare freddo e in continua tensione, vive i contrasti interni alla famiglia e alla società, al suo successo internazionale nel mondo dell’arte, si percorre una vita intensa contrassegnata dalla propensione alla scenicità, presente in lei fin da bambina. Il sangue e il corpo sono la cifra di tutta la sua esistenza e diventeranno materia di perfomance intense, dolorose e coinvolgenti. Il sanguinamento compare nei primi anni di vita come manifestazione di un disagio emotivo nei rapporti familiari e rimarrà successivamente un suo “mezzo di comunicazione” mentre la conoscenza del proprio corpo sarà la molla che la spingerà a testarne costantemente i limiti. Se negli anni all’Accademia d’arte di Belgrado si dedica con interesse alla pittura, Marina comprende presto che il proprio corpo è il miglior strumento per esprimersi artisticamente; nascono quindi le performance, per il cui sviluppo è fondamentale il rapporto con l’artista tedesco Ulay, suo partner nella vita e in scena per dodici anni. Con il crescere della sua arte e della sua notorietà le performance divengono sempre più estenuanti ed estreme (a Napoli nel 1975, il pubblico presente in galleria può utilizzare liberamente contro una Marina immobile una serie di oggetti, tra i quali una pistola carica, che qualcuno le punterà effettivamente alla testa), in una continua fusione tra vita e arte, verità e finzione, come in una dimensione parallela in cui Arte è Vita: chi rischia nell’arte rischia nella vita. Quando il legame con Ulay termina, Marina prosegue da solista, lanciata verso la fama mondiale fino al Leone d’oro alla carriera; le performance crescono ancora in intensità e spostano il baricentro nel rapporto con il pubblico che diventa, come nelle più recenti esperienze, l’elemento con cui l’artista si confronta.
Il testamento di Marina Abramović è già pronto, e recita esattamente così:
In caso di mia morte, desidero che si svolga la seguente cerimonia commemorativa:
Tre bare.
La prima con il mio vero corpo.
La seconda con un’imitazione del mio corpo.
La terza con un’imitazione del mio corpo.
Tre persone si occuperanno di portare le tre bare in tre diversi luoghi del mondo (America, Europa e Asia). I loro nomi e le istruzioni da seguire saranno conservati in una busta sigillata.
La cerimonia commemorativa si terrà a New York, alla presenza di tutte e tre le bare chiuse. Dopo la cerimonia le persone indicate seguiranno le mie istruzioni per la collocazione delle bare. È mio desiderio che tutte e tre vengano sepolte nella terra.
Tutti coloro che parteciperanno alla cerimonia finale dovranno essere informati che non devono vestirsi di nero e che s’incoraggia l’uso di qualsiasi altro colore. Desidero che i miei ex studenti… creino un progetto per questa occasione. Per l’inizio della cerimonia voglio che Antony di Antony and the Johnsons canti My Way di Frank Sinatra. La cerimonia sarà insieme una celebrazione della vita e della morte. Al termine seguirà una festa con una grande torta di marzapane che avrà la forma e le sembianze del mio corpo. Voglio che la torta sia distribuita tra tutti i presenti.
Francesca Pini
Giornalista del Corriere della Sera, scrive di arte e cultura per il quotidiano, il settimanale Sette e l’online. Nel corso degli anni ha intervistato numerosi personaggi tra cui il Dalai Lama e il filosofo francese Jean Guitton con il quale ha scritto un libro di dialoghi sul tema della religione e della contemporaneità pubblicato in Francia, Portogallo e Italia (L’infinito in fondo al cuore, Mondadori, 1998). È autrice e regista di video e di documentari, andati in onda in Francia sul canale televisivo Arte. Si ricordano in particolare i suoi filmati dedicati al grande Giorgio Strehler, i suoi dialoghi con il maestro sono stati raccolti nel volume Il tempo di una vita. Conversazione con Giorgio Strehler, pubblicato dalla De Ferrari Devega nella collana Palcoscenico.
Lia Rumma
Negli anni Sessanta Marcello e Lia Rumma, giovani collezionisti poco meno che ventenni, organizzano a Salerno le prime mostre su una nuova generazione di artisti emergenti e diventano sponsors di una importante rassegna negli antichi Arsenali di Amalfi. Nel 1970, dopo la morte di Marcello, Lia Rumma si trasferisce a Napoli e apre una galleria d’arte nel 1971 con la mostra di un giovane artista americano, Joseph Kosuth. La galleria focalizza da subito la propria ricerca sui movimenti internazionali di quegli anni: Arte Povera, Minimal Art, Land Art, Conceptual Art. Napoli ha così la possibilità di conoscere tempestivamente le novità che emergono nelle grandi capitali del “sistema dell’arte”. Da allora si susseguono mostre di artisti del calibro di: Alberto Burri, Donald Judd, Robert Longo, Gino De Dominicis, Michelangelo Pistoletto, Haim Steinbach, Cindy Sherman, Anselm Kiefer, Reinhard Mucha, Enrico Castellani, Thomas Schütte, Günther Förg, Andreas Gursky, Ilya Kabakov, alcuni dei quali alla loro prima esposizione in una galleria privata in Italia e in Europa. A partire dal 1999 la galleria Lia Rumma ha sede anche a Milano. Nel corso degli anni ha ospitato esposizioni personali di Enrico Castellani, Clegg & Guttmann, Vanessa Beecroft, Gary Hill, Shirin Neshat, William Kentridge, Marina Abramovic’, Granular Synthesis, Thomas Ruff, Alfredo Jaar, dei giovani artisti Hendrik Krawen, Sabah Naim, Tessa M. den Uyl, Drè Wapenaar, Tobias Zielony. Nel 2004 Lia Rumma ha curato l’installazione permanente di Anselm Kiefer I Sette Palazzi Celesti presso l’Hangar Bicocca di Milano, sponsorizzata dalla Pirelli Real Estate. A maggio 2010 ha aperto una nuova sede a Milano, in un’ex fabbrica nei pressi della Fabbrica del Vapore.