Liam Gillick / Sol Lewitt
In occasione dell’apertura della nuova sede presso il Palazzo Principe Raimondo De Sangro, Piazzetta Nilo 7, la Galleria Alfonso Artiaco è lieta di annunciare l’inaugurazione della mostra di Liam Gillick e di Sol Lewitt.
Comunicato stampa
LIAM GILLICK - Four Propositions Six Structures, 2012
SOL LEWITT – Pyramids, 1986
24 novembre 2012 - 26 gennaio 2013
In occasione dell’apertura della nuova sede presso il Palazzo Principe Raimondo De Sangro, Piazzetta Nilo 7, la Galleria Alfonso Artiaco è lieta di annunciare l’inaugurazione della mostra di Liam Gillick e di Sol Lewitt, sabato 24 novembre alle ore 19.00, in presenza dell’artista Liam Gillick.
LIAM GILLICK - Four Propositions Six Structures, 2012
Nel 2013 Liam Gillick terrà il ciclo di lezioni per le prestigiose Bampton Lectures alla Columbia University. E’ la ultima di una serie che è cominciata nel 1948 e che ha visto partecipare l’astronomo Fred Hoyle, lo storico delle scienze Jacob Bronowsky e il filosofo Paul Ricouer.
Per la sua prima mostra alla Galleria Alfonso Artiaco, Gillick presenterà le linee guida delle sue quattro lezioni, le quali toccano i principali temi della sua produzione degli ultimi venticinque anni: semplici proposizioni che vengono combinate con una serie di strutture astratte. Le opere testuali e quelle formali non hanno una connessione diretta – ciononostante nessuna sarebbe possibile senza le altre. Gillick ha affermato di aver scritto numerosi testi che toccavano vari aspetti strutturali dell’arte come l’ astrazione, le modalità del fare arte, il rapporto tra lavoro e vita, la collaborazione e lo stato dell’arte contemporanea. L’artista però continua dicendo che uno dei problemi di questo approccio è che porta a focalizzarsi troppo sul recupero e sulla reiterazione, poiché questi sono due aspetti dell’arte che possono essere verificati indipendentemente. “Io mi voglio rivolgere alle strutture sottostanti i miei principali progetti degli ultimi venti anni. Questo significa dunque che le lezioni non saranno tanto sull’arte ma riguarderanno piuttosto ciò che è successo e succede per realizzare la possibilità dell’arte. O più precisamente, il modo in cui l’arte esiste come un problema e una costante attività umana che è essenzialmente connessa al rifiuto e alla reinvenzione piuttosto che alla classificazione e al giudizio”. (Liam Gillick, intervista di Tom Eccles, in: Art Review, volume 63, novembre 2012)
Gillick (1964, Aylesbury, Inghilterra, UK; vive e lavora tra Londra e New York) è un artista che spazia dall’arte alla musica, dal design all’architettura, alla scrittura. C’è una profonda rottura nel lavoro di Gillick che egli stesso ammette di non poter risolvere. Da un lato c’è il desiderio di mantenere vivo il potenziale dell’ astrazione che può funzionare al di fuori dei sistemi standardizzati di verifica, rimanendo specifica piuttosto che avere pretese universali. Dall’altro però l’artista è interessato ad entrare in dialogo con il contesto in una maniera che sia funzionale e con valore d’uso. Questi due aspetti sono sempre esistiti nella sua produzione e vengono sviluppati parallelamente ai temi della partecipazione e della la critica istituzionale, altrettanto centrali nel suo lavoro.
SOL LEWITT – Pyramids, 1986
Fin dagli anni ’60 Sol LeWitt (1928, Hartford, Connecticut, USA – 2007 New York, USA) concentra la sua arte sulle possibili combinazioni delle forme geometriche e sulla lenta derivazione da esse di quelle non-geometriche. LeWitt è universalmente riconosciuto come il fondatore ed il principale sperimentatore dell’arte concettuale che si manifesta, agli inizi della sua opera, con le caratteristiche del minimalismo.
“Nell’arte concettuale l’idea o il concetto costituiscono l’aspetto più importante dell’opera. (...) Se l’artista porta avanti la sua idea e la trasforma in una forma visibile, allora tutti gli stadi del processo sono importanti. L’idea in sé, anche se non resa visibile, è un oggetto artistico quanto il prodotto finito. Tutti i passaggi che intervengono - scritti, schizzi, disegni, lavori errati, modelli, studi, pensieri, conversazioni – sono interessanti. Quelli che mostrano il processo del pensiero dell’artista sono a volte più interessanti del prodotto finale.” (Sol LeWitt “Paragraphs on Conceptual Art”, in: Artforum, vol. 5, 10 giugno 1967)
La serie di gouaches Pyramids, esposta per la prima volta presso la galleria Peter Pakesch nel 1986 a Vienna, inedita in Italia, sviluppa le possibilità della forma del triangolo, solitamente acuto, affiancandone diversi sempre per il lato lungo e mai per quello corto. Disponendo i triangoli in questo modo risulta che questi convergano in una punta che irradia dal basso da una specie di curva angolare composta da linee corte allineate secondo diverse angolazioni. In questo modo si ottiene una forma che si muove isolata sullo sfondo. La relazione dei colori, che costituiscono il tono dello sfondo, non viene ripetuta in nessuno dei triangoli.
I segni costituenti dell’opera portano lo spettatore alla costruzione di spazi possibili che danno alle forme bidimensionali una funzione di comunicazione come corpi tridimensionali. Usando differenti gradazioni di colore nei diversi triangoli, la percezione cromatica può intensificare, modificare o indebolire il senso di plasticità provocata dalle forme. Se si legge una qualità tridimensionale in una Pyramid, l’effetto di profondità dovuto alla distorsione ottica o ai gradienti percettivi può intensificare o alterare la costruzione della forma a livello psicologico. La somma dei triangoli può, dunque, evocare forme familiari quali ventagli, piramidi, appunto, o tende. In una lettera a Thomas Dreher del 13 ottobre 1986, Lewitt ha affermato che “le piramidi sono create senza un sistema ma da una serie di triangoli interrelati”. Mettendosi in relazione con il lavoro di LeWitt, lo spettatore può sempre stabilire un rapporto di costruzione diretta o indiretta tra i segni autonomi nell’opera e i segni comunicativi nello spazio tridimensionale. Nelle Pyramids c’è una sospensione tra la possibilità bi– o tri –dimensionale di leggere l’opera: la doppia funzione semiotica dei segni si fa quindi evidente.
La sospensione tra sistemi lineari aperti o chiusi è un aspetto saliente dell’opera di Sol LeWitt.: “Ci sono vari modi di costruire un’opera d’arte. Uno è quello di prendere decisioni ad ogni passo, un altro è quello di inventare un sistema per prendere decisioni” (ibidem). LeWitt usa tutte le possibilità dei sistemi aperti o chiusi senza un giudizio estetico come guida di scelta di uno di questi o di un equilibrio tra i due. Questa indifferenza concettuale contro i giudizi estetici è un salto cieco al di fuori delle consuetudini estetiche. I risultati possono essere molto vicini o molto lontani da tali consuetudini. LeWitt non calcola quanto lontano questo salto lo debba portare verso nuove regioni. Così la sua indifferenza concettuale verso il giudizio estetico è allo stesso tempo un’indifferenza verso la distinzione fra vecchio e nuovo.
Il rapporto di Sol LeWitt con la Galleria Alfonso Artiaco si è consolidato nel tempo attraverso una lunga serie di mostre nel 1989, nel 1995, nel 1998, nel 2000, nel 2002, nel 2005 e che perciò viene oggi omaggiato in occasione dell’apertura della nuova sede in Piazzetta Nilo 7.